sabato 13 dicembre 2008

IL MESSIA ANALISI DEL TERMINE

IL MESSIA ANALISI DEL TERMINE



Il termine Messia deriva da un vocabolo ebraico che significa «unto», cioè consacrato mediante unzione. In origine indicava la particolare relazione tra il re della Casa di Davide e Dio: al momento di salire al trono, il re diventava il rappresentante divino, l’intermediario tra Dio e la comunità. Quando Israele fu completamente soggiogata e perse la sua autonomia, il popolo cominciò ad attendere un discendente della Casa di Davide che ne avrebbe ristabilito il potere politico portando a compimento la vittoria delle forze dell’ordine contro quelle del caos.
Così, dopo la disintegrazione del regno nel 586 a.C., i capi spirituali di Israele presero a confortare il loro popolo con la speranza messianica. Questa speranza era talvolta presentata in riferimento ad una figura regale, l’unto di Dio portatore di salvezza, altre volte come un’Età Aurea in cui la potenza di Israele sarebbe stata restaurata e il paese avrebbe conosciuto la pace, la giustizia e l’abbondanza. Comunque la speranza messianica, che fosse vista come legata a un individuo o generalizzata come un’era, conteneva sempre gli ideali del trionfo di Dio sul male, della fondazione di un giusto ordine mondiale e, soprattutto, dell’universalità: il patto stretto con Abramo sarebbe infatti stato messo a disposizione di tutti, la salvezza estesa a tutte le nazioni. Ma vi è talvolta un altro elemento nella raffigurazione del Messia, quello della sofferenza. Questo aspetto è efficacemente descritto nel libro dal profeta Isaia nella figura del Servo Sofferente. I canti del Servo, scritti durante la cattività di Israele, assicuravano al popolo che Dio non lo aveva abbandonato e che, attraverso questo Servo, avrebbe risollevato Israele ed esteso la salvezza a tutti i pagani. Il ministero del Servo, malgrado la sua particolare relazione con Dio, comportava in qualche misterioso modo una grande sofferenza. Ma è proprio questa sofferenza che lo rende capace di servizio: la sua vita è divenuta un’offerta vicaria per tutta l’umanità, ha fatto di lui un «Uomo per gli altri». Molti ravvisano in questa misteriosa figura un’allegoria di Israele; altri vi vedono un profeta maggiore dello stesso Mosè, destinato a rendere universale il messaggio di Dio. Parecchi secoli più tardi, nel periodo della rivolta dei Maccabei, si fa strada un altro concetto del Messia, che appare per la prima volta nel Libro di Daniele. Anche questa figura è un «Unto di Dio» destinato a realizzarne il Regno. La differenza sta nel fatto che questa realizzazione non avverrà nel contesto della storia ma alla fine dei tempi, mediante un intervento soprannaturale. Daniele descrive questa figura in termini simbolici, come un redentore molto potente, al quale tutti gli imperi del mondo renderanno omaggio. Il Figlio dell’Uomo, come appunto viene chiamato, appare anche in altri scritti, non compresi nella Bibbia, dove l’attesa di un messia politico, intensificata da molti secoli di oppressione, si impernia su questa figura soprannaturale. Quando i Romani successero ai Seleucidi nel governo di Israele, lo scontento degli Ebrei raggiunse il culmine. Le idee sul Messia, e l’attesa della sua venuta, conobbero una diffusione incredibile. Nella letteratura dell’epoca egli è visto in modi diversi: come il tradizionale Figlio di Davide che purificherà Israele dai pagani e dai peccatori; come un essere sovrumano operatore di potenti prodigi; e anche come una figura guerriera, che introdurrà il regno messianico con la forza, lasciando al suolo cadaveri nemici. Farisei e Sadducei dimostravano scarso interesse per l’avvento del Messia; i Farisei cercavano di realizzare il regno di Dio attraverso la preghiera e l’osservanza della Legge. Gli Zeloti sognavano un capo nazionale. Gli Esseni credevano nella venuta di due Messia, un sacerdote e un discendente di Davide. Ma l’attesa messianica era certo più forte in mezzo alla gente qualsiasi, ai poveri, agli emarginati, ai malati che invocavano un liberatore capace di riscattarli dalla loro misera condizione.
La riluttanza di Gesù a dichiararsi apertamente Messia è comprensibile alla luce delle mutevoli circostanze politiche del tempo. Se egli avesse liberato il suo popolo in senso letterale, avrebbe vanificato il suo messaggio per le generazioni successive, legandolo ad un tempo particolare e ad un particolare regime politico. Perciò sofferenza ed esaltazione sono compresenti nella comprensione che Gesù ha di se stesso: egli è insieme un «Uomo per gli altri» e il glorioso Figlio dell’Uomo. Quando altri cominciarono a capire le implicazioni di questo nodo, Gesù fu visto come il Messia non in un unico senso, ma in molti sensi: egli era il Figlio di Dio che manifestava il suo potere divino, era il punto d’arrivo delle speranze dell’Antico Testamento, era il salvatore dei poveri e degli oppressi e, soprattutto, era la rivelazione estrema che Dio aveva fatto di se stesso.



http://vangelo.wordpress.com/2008/06/15/il-messia/

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