sabato 13 dicembre 2008

Il fatto della risurrezione di Gesù

LA STORICITÀ DI GESÙ

Il fatto della risurrezione di Gesù


Gesù morì sulla croce verso le tre del pomeriggio del venerdì 14 Nisan (7 aprile), vigilia della Pasqua dell’anno 30 (cfr. Gv 19,31-34). Il cadavere avrebbe dovuto essere tolto dalla croce e gettato nella fossa comune. Invece Giuseppe di Arimatea, un personaggio ragguardevole, membro del Sinedrio e discepolo di Gesù, ma di nascosto, si presentò a Pilato e gli chiese di poterlo seppellire in una tomba nuova, scavata nella roccia e posta in un giardino, vicino al luogo della crocifissione. Tutto fu fatto in gran fretta, perché al tramonto iniziava il giorno della Pasqua, nel quale era proibito prendersi cura dei cadaveri. Alcune donne tennero ben in mente il luogo del sepolcro, perché avevano intenzione di tornare il giorno dopo il sabato per rendere al cadavere di Gesù gli onori dovuti. Ma, giunte al sepolcro, trovarono la pietra ribaltata e il cadavere di Gesù era scomparso. Solo le bende che lo avevano avvolto e il sudario erano al loro posto. Ricevettero pure un annuncio: “Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui” (Mc 16,6).


Il crocifisso è risorto
"Gesù Nazareno, il crocifisso, è risorto”. Questa piccola frase costituisce l’annuncio del fatto più incredibile della storia umana: la risurrezione di Gesù di Nazareth, la sua vittoria sulla morte, in virtù della quale Gesù oggi è “vivente”. Fatto incredibile, perché se c’è una cosa di cui siamo assolutamente sicuri è che dalla morte non si ritorna alla vita, salvo un miracolo – evento assolutamente eccezionale – da parte di Dio. E tuttavia, per quanto incredibile, il fatto della risurrezione è affermato a proposito di Gesù: proprio su di esso da 20 secoli poggia il cristianesimo, al punto che, se Cristo non fosse risorto, tutta la fede cristiana crolla. Quale fondamento ha tale affermazione?

IL NUOVO TESTAMENTO – L’unica testimonianza storica che abbiamo della risurrezione di Gesù è quella del Nuovo Testamento: tutti i libri neotestamentari ne parlano, e non come uno dei fatti riguardanti Gesù, ma come il fatto centrale e costitutivo della fede cristiana. Alcuni testi sono più recenti ed elaborati, ma altri sono assai antichi e primitivi.

LA PRIMA LETTERA AI CORINZI – La testimonianza più antica è contenuta nella Prima lettera di san Paolo ai cristiani di Corinto (cfr. 1Cor 15,1-11). Questa lettera, secondo la grande maggioranza degli studiosi, è stata scritta da Paolo tra il 55 e il 57 d.C. Egli parla in essa dei problemi sorti nella città di Corinto, dove era giunto negli anni 50-51 e nella quale, con grande fatica, aveva costituito una comunità. Un problema assai vivo era quello della risurrezione dei credenti (cfr. 1Cor 15,12). Alcuni “illuminati” e “spiritualisti” ritenevano di essere già giunti alla salvezza “spirituale” e di non aver bisogno di una risurrezione “corporea”. Per combattere tale idea, Paolo ricorda la Buona Notizia che egli, fin dall’inizio del suo apostolato, aveva trasmesso, e che, a sua volta, aveva ricevuto dalla primitiva comunità cristiana, dai “ministri della Parola” con i quali era venuto a contatto sia nel soggiorno ad Antiochia (verso gli anni 40-42), sia verso l’anno 35, al tempo della sua conversione. Siamo in una data estremamente vicina ai fatti, poiché Gesù – con molta probabilità – è stato crocifisso il 7 aprile dell’anno 30. Gli scritti di Paolo sono stati dunque composti in una data che dista appena pochi anni (5-10) dalla morte di Gesù, e in cui il suo ricordo è ancora vivissimo. Ora, che cosa ha ricevuto Paolo? Un breve riassunto della fede cristiana:
1. Cristo è morto per i nostri peccati secondo le Scritture;
2. Cristo fu sepolto;
3. Cristo è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture;
4. Cristo è apparso a Cefa (cioè Pietro) e quindi ai Dodici.


Il primitivo “credo” cristiano
CRISTO È MORTO PER I NOSTRI PECCATI SECONDO LE SCRITTURE – Abbiamo già esaminato in precedenza gli avvenimenti della passione e morte di Gesù sulla croce e non c’è bisogno di ritornarvi. Ma Paolo aggiunge due affermazioni che chiedono di essere spiegate. Dice anzitutto che Cristo è morto “per i nostri peccati”: è una affermazione di fede che sottolinea il valore salvifico della morte di Gesù, in quanto è in forza della morte che Cristo ha sofferto “per noi” che noi riceviamo il perdono di Dio e la riconciliazione con Lui. E tale affermazione di fede è “secondo le Scritture”, poggia sulla rivelazione di Dio, è il naturale compimento delle Scritture. In particolare, l’affermazione “per i nostri peccati” poggia su una parola di Gesù (cfr. Mc 10,45) e il fatto che egli è venuto “per dare la propria vita in riscatto per molti”, cioè per la totalità degli uomini, è qualcosa di totalmente estraneo alle attese giudaiche: il Messia non solo non poteva morire, ma non doveva neppure morire per loro (in riscatto dei loro peccati), né tanto meno per tutti.

CRISTO FU SEPOLTO – Questo secondo punto del primitivo “credo” cristiano indica la definitività della morte di Gesù. La sua non è stata una morte apparente, da cui avrebbe potuto riprendersi. Non solo egli, mentre peneva morto dalla croce, ha ricevuto il colpo di lancia da un soldato, ma è stato calato dalla croce e deposto in un sepolcro, un sepolcro “nuovo” perché il cadavere di un giustiziato non doveva contaminare quello degli altri defunti. La sepoltura del cadavere esprime la definitività della morte, nel senso che con essa si perde anche l’ultimo legame – il cadavere – che unisce il defunto al mondo dei viventi. Con la sepoltura l’uomo non c’è più, neppure in quella “cosa” fredda e inanimata che non è più il suo “corpo”, ma che tuttavia lo ricorda e lo raffigura: egli è veramente e definitivamente morto. Questa affermazione di Paolo è storicamente certa, affermata da tutti e quattro i Vangeli con abbondanza di particolari.

CRISTO È RISUSCITATO IL TERZO GIORNO SECONDO LE SCRITTURE – Il terzo punto del primissimo “credo” cristiano merita un esame più approfondito. Esso pone tre problemi.
1. Il verbo eghêghertai (perfetto passivo di egheirô, risuscitare) deve essere inteso in senso passivo (“è stato risuscitato”) o in senso intransitivo (“è risorto”)? Le due traduzioni sono ugualmente accettabili sotto il profilo grammaticale, ma sotto quello teologico hanno un senso diverso: nel primo caso la risurrezione di Gesù è attribuita a una azione di Dio (“Dio lo ha risuscitato dai morti”: At 4,10; cfr. 1Ts 1,10; Rm 4,24; At 2,32; 13,37); nel secondo la risurrezione di Gesù è attribuita alla sua propria potenza. La prima formula è la più antica (il Padre ha risuscitato Gesù da morte), la seconda è la più recente (Gesù è risorto da morte).
2. Le parole “il terzo giorno” indicano la data della risurrezione o hanno un significato non “storico”, ma “metastorico” e quindi “teologico”? Gli esegeti sono divisi. Alcuni vedono non l’indicazione della data della risurrezione (nessuno ha visto Gesù risorgere e non si può quindi sapere il quando) ma l’indicazione che il suo soggiorno nella tomba è stato breve, non ha superato “il quarto giorno”, dove si può parlare di una dimora “stabile” nel sepolcro (cfr. Gv 11,39). Ad altri sembra meno artificioso vedere una vera indicazione cronologica (ripresa da Os 6,2), che colloca la risurrezione in una serie di fatti (morte, sepoltura, risurrezione, apparizioni) per dire che anch’essa è un fatto realmente avvenuto e quindi databile.
3. L’inciso “secondo le Scritture” si riferisce al “terzo giorno” oppure alle parole “è risuscitato”? La maggioranza degli studiosi propende per l’attribuzione delle parole “secondo le Scritture” alla frase “è risuscitato”, perché è la risurrezione che per sé realizza le Scritture e ne fa comprendere il compimento, e non il fatto, per sé accessorio, che sia avvenuta “il terzo giorno”, anche se il riferimento ad Osea farebbe propendere, secondo altri esegeti, per questa soluzione.

CRISTO È APPARSO A CEFA E QUINDI AI DODICI – Ma quello che più importa è precisare il senso di “risurrezione”: Gesù, dopo essere realmente morto, ha vinto la morte ed è tornato alla vita. Non però alla vita precedente alla sua morte, ma nella pienezza della vita divina. Il suo corpo è sì reale, è il corpo di Gesù di Nazareth che ha subito la crocifissione, ma è pure un “corpo di gloria”. Ed è questo ciò che fu visto dai molti testimoni, come avremo modo di analizzare in seguito, prendendo in esame i “segni” della risurrezione.


I “segni” della risurrezione di Gesù
La Chiesa primitiva ha affermato – e lo afferma anche la Chiesa di oggi – che Gesù è risuscitato da morte. Ma in base a quali elementi ha fatto tale affermazione? In base a un atto di fede o in base a fatti storici, a esperienze storicamente documentabili?

LA RISURREZIONE DI GESÙ È UN FATTO STORICO – Precisiamo che la storicità di cui parliamo non riguarda il “modo” della risurrezione, che per noi resta assolutamente misterioso e in attingibile, ma il “fatto”, l’avvenimento storico in se stesso. E parlando di “fatto” storico, intendiamo dire che Gesù è risorto obiettivamente, nella realtà e non solo nella coscienza di coloro che hanno creduto nella sua risurrezione. Intendiamo dire che qualcosa di obiettivo e di reale è avvenuto nella persona di Gesù, per cui dalla condizione di morto sulla croce e deposto nel sepolcro è passato alla condizione di Vivente e di Signore della storia.

UNA OPPORTUNA DISTINZIONE – Per rispondere alla domanda dobbiamo distinguere tra ciò che è storico e direttamente verificato, e ciò che è storico anche se non direttamente verificato. In altre parole: tra ciò che è “storico” e ciò che è “reale”. È storico e direttamente verificato ciò che è collocabile nell’ambito dell’esperienza e della verificabilità umana, mediante i metodi della ricerca storica. È invece storico, anche se non direttamente verificabile – cioè è “reale” – ciò che, pur non attingibile in se stesso direttamente, lo è però indirettamente, mediante la riflessione su fatti storicamente accaduti che sono in relazione con esso. Ora, la risurrezione di Gesù è un fatto storico – nel senso di “reale” – anche se non direttamente verificato. E ciò per il fatto che essa non è solo un avvenimento di questo mondo (perché Gesù non è tornato alla vita di prima), ma anche “escatologico”, definitivo (perché è entrato nella vita eterna e definitiva di Dio). Perciò, la risurrezione non può essere messa sullo stesso livello di tutti gli altri avvenimenti storici direttamente verificabili che, appunto perché tali, sono passeggeri. In questo senso la risurrezione si pone al di sopra delle categorie della storia umana: è “metastorica” e “trans-storica”.

LA CERTEZZA MORALE – Dobbiamo quindi affermare che la risurrezione è un fatto storico, anche se non direttamente verificato. Infatti, riflettendo sui fatti storici del sepolcro trovato vuoto, delle apparizioni di Gesù ai suoi discepoli, del mutamento avvenuto in questi rispetto a ciò che erano stati durante la vita di Gesù e, soprattutto, durante la sua passione e la sua morte, della nascita e dell’espansione della Chiesa primitiva, noi possiamo avere la certezza morale del fatto storico della risurrezione. Cioè questa ha lasciato nella nostra storia “tracce”, “segni”, riflettendo sui quali noi possiamo avere la certezza morale, e quindi storica, che Gesù è realmente risorto. Evidentemente, la certezza storica o morale non è la certezza della fede: questa è di un altro ordine e ha la sua giustificazione nella testimonianza che Dio stesso dà al credente, attirandolo con la sua grazia interiore a compiere l’atto di fede in Cristo risorto. Proprio per questo la certezza del credente è assoluta. La certezza morale costituisce la giustificazione della fede sul piano razionale, facendo sì che l’adesione alla fede nella risurrezione sia non assurda né infondata, ma ragionevole e razionalmente valida.

LA DISPONIBILITÀ DI CUORE – Ovviamente, i “segni” della risurrezione, per essere percepiti, richiedono una mente e un cuore “purificati”: una mente purificata dai pre-giudizi contro il soprannaturale e un cuore purificato dalle passioni e dal peccato. Chi fosse pregiudizialmente materialista e positivista, negando un intervento di Dio nella storia, non può vedere alcun “segno”, così come chi è immerso nel male è chiuso a Dio.


I “segni” e le “tracce” della risurrezione
Esaminare i “segni” e le “tracce” della risurrezione significa esaminare i racconti che i vangeli ci hanno lasciato circa questo evento.

LA SCOPERTA DEL SEPOLCRO VUOTO – Si tratta di un dato tradizionale che appartiene a uno strato antico delle tradizioni pasquali. Alcuni esegeti moderni (Dibelius e Bultmann) lo hanno messo in dubbio, ritenendolo una “leggenda”. È possibile che istanze apologetiche abbiano portato a dare una notevole importanza alla scoperta del sepolcro vuoto: se il cadavere fosse rimasto al suo posto, data anche la mentalità ebraica del tempo, secondo la quale la resurrezione comportava la rianimazione del cadavere, non si sarebbe potuto parlare di risurrezione. Tuttavia la storicità del ritrovamento della tomba vuota non può essere negata perché:
1. stando alla narrazione della sepoltura di Gesù, la sua tomba era conosciuta e corrispondeva all’uso del tempo che le donne visitassero la tomba di un defunto: non si può quindi negare che alcune donne siano andate al sepolcro di Gesù che esse conoscevano bene;
2. la scoperta del sepolcro vuoto non può essere fatta risalire a una trovata apologetica della Chiesa primitiva, perché le donne a quel tempo non erano ritenute testimoni attendibili;
3. i nemici di Gesù non negarono il fatto che la sua tomba fosse vuota, ma lo giustificavano con il trafugamento del cadavere da parte dei suoi discepoli. Il ritrovamento della tomba vuota è dunque un fatto storico ben fondato e se non è una prova storica della risurrezione, tuttavia è pur sempre una “traccia”, un “segno” che, pur ambiguo in se stesso, “orienta” verso di essa: dice che qualcosa è avvenuto.

LE APPARIZIONI DEL RISORTO – Il “segno” storico più importante, più chiaro e più evidente che la risurrezione di Gesù ha lasciato nella storia è costituito dalle sue “apparizioni”. Se infatti nessuno ha visto risorgere Gesù, i suoi discepoli lo hanno visto risorto: Gesù è apparso ai suoi discepoli molte volte e in diversi luoghi (cfr. 1Cor 15,1-11 dove Paolo, coerentemente, non cita le donne, ma testimoni autorevoli e viventi). Da notare che Paolo usa il verbo ôphthê (aoristo passivo di horaô) che deve essere tradotto non con “fu visto”, ma con “si fece vedere”, “apparve”, “si lasciò vedere”, perché è costruito col dativo (“a Cefa”, “ai Dodici”, “ai 500”, “a Giacomo”). Non furono Cefa, Giacomo e gli altri a “vedere” Gesù risorto, ma fu Gesù che “apparve” loro: non si trattò di una “visione” soggettiva dei discepoli, ma di una “apparizione” oggettiva, reale, di Gesù che s’impose loro. La stessa testimonianza è affermata dai vangeli con diversi linguaggi, anche molto “realisti” (cfr. Lc 24,36-43). In tutti i racconti due elementi sono essenziali e costanti:
1. anzitutto l’iniziativa è sempre e solo di Gesù: appare quando meno te lo aspetti e scompare quando lo si vuole trattenere;
2. un secondo elemento è il riconoscimento. In colui che si mostra loro in forme diverse, i discepoli riconoscono il Gesù che era stato con loro e che era stato crocifisso, non subito e spontaneamente, ma lentamente e con molta difficoltà, tanto che Gesù deve rimproverarli e convincerli che non è un fantasma (cfr. Lc 24,13-35; Gv 20,11-18). I discepoli sono talmente sconcertati delle apparizioni di Gesù che di fronte alle prove più evidenti fanno fatica a credere; sentono di trovarsi di fronte a un mistero, perché il Gesù che sperimentano è, certo, il Gesù col quale sono vissuti, ma anche qualcosa di “più” e di “diverso”, come appare dalle affermazioni di Tommaso e di Maria di Magdala (cfr. Gv 20,28 e Gv 20,7).

LA TRASFORMAZIONE DELLA VITA DEI DISCEPOLI – Il terzo “segno” che la risurrezione di Gesù ha lasciato nella storia è la radicale trasformazione avvenuta nei suoi discepoli immediatamente dopo tale avvenimento. Durante la vita di Gesù essi appaiono meschini e interessati; nella passione hanno paura di esporsi e lo abbandonano, fuggendo; a deporre Gesù dalla croce e a seppellirlo non sono i Dodici, ma due discepoli “nascosti”. Dopo la risurrezione avviene in loro un inspiegabile mutamento. Contro tutto il loro passato, accettano l’idea – per loro assolutamente inconcepibile – di un Messia crocifisso, così come affermano che Gesù è “il Signore” (una vera e propria bestemmia per degli ebrei rigidamente monoteisti). E fanno tutto ciò con estremo coraggio, affrontando i capi del popolo e subendo persecuzione e morte.

La risurrezione di Gesù è dunque un fatto reale, non mitico né soggettivo. Quale ne è il significato?


Il “significato” della risurrezione di Gesù
La risurrezione di Gesù è un fatto storico: egli è veramente risorto dalla morte. Ma quale è il significato di tale avvenimento? Che cosa significa per la persona di Gesù, per la vita della Chiesa, per la nostra vita e per la storia del mondo? Cambia qualcosa o tutto resta come prima?

CHE COSA SIGNIFICA PER LA PERSONA DI GESÙ? – Abbiamo visto che la vicenda storica di Gesù si è svolta nella sofferenza e nella contraddizione ed è culminata nel “fallimento” della crocifissione. Storicamente, agli occhi del mondo, Gesù è apparso un vinto e un fallito: il suo messaggio è stato accettato d pochi; i suoi miracoli sono stati ritenuti opere diaboliche da molti; è stato odiato, deriso, calunniato, accusato di essere un bestemmiatore dal massimo tribunale ebraico e condannato a morte da un tribunale romano come ribelle. Sulla croce Gesù non rispose alle accuse che gli venivano rivolte e non accettò la sfida di scendere per essere creduto. Emise invece un grande grido che ai suoi nemici dovette sembrare di suprema disperazione (cfr. Mc 15,37). Era per loro il segno che Dio lo aveva rigettato come Messia.

Che cosa fu allora la Risurrezione per Gesù crocifisso? Fu un gesto col quale Dio – autore della Risurrezione – diede ragione a Gesù contro tutti i suoi avversari, mostrando che si erano sbagliati nei suoi confronti. Facendolo risorgere da morte, Dio mostrava che Gesù aveva insegnato al verità, aveva compiuto i miracoli con la sua potenza, aveva annunziato il suo disegno di salvezza.

In particolare, Dio mostrava che quella morte era stata opera della malvagità umana, ma che rientrava nel disegno di amore e di salvezza che Egli aveva concepito per l’umanità peccatrice: la croce sulla quale era morto, se agli occhi degli uomini rappresentava il supplizio più ignominioso e crudele, agli occhi di Dio era lo strumento dei salvezza con cui Gesù avrebbe attirato tutti a sé. Nella Risurrezione, o meglio in Cristo risorto, la crocifissione e la morte di Gesù compiono la salvezza degli uomini, poiché Cristo morto e risorto è “spirito datore di vita” (1Cor 15,45), cioè Salvatore degli uomini.

RISURREZIONE E GLORIFICAZIONE – Per Gesù la Risurrezione non è solo il “sì” di Dio alla sua vita e alla sua morte, è anche, e soprattutto, la sua glorificazione. Infatti, con la Risurrezione, Gesù, nella sua umanità, è stato costituito “Figlio di Dio con potenza” (Rm 1,4), “Signore e Cristo” (At 2,36), “capo e salvatore” (At 5,31), “giudice dei vivi e dei morti” (1Cor 2,8). Egli è stato “sovra-esaltato” e ha ricevuto un “nome – il nome proprio di Dio, Kyrios (Signore) – che è al di sopra di ogni altro nome” (Fil 2,9). Nella sua natura umana, Gesù è stato elevato alla “destra” di Dio e tutto è stato posto sotto i suoi piedi. Con la sua Risurrezione, Gesù è passato dallo stato di kenosis allo stato di Kyrios: dallo stato di spogliazione, di svuotamento, di umiliazione (tutto questo indica il termine paolino di kenosis), che ha caratterizzato la vita terrena di Gesù e ha avuto il culmine nella sua morte in croce, allo stato di “Signore”, uguale nella gloria e nella potenza di Dio Padre. In tal modo la Risurrezione ha rivelato hi era veramente Gesù di Nazareth: non solo un Giusto, non solo un grande Profeta, ma il Figlio stesso di Dio, il “Signore”.

RILEGGERE LA STORIA DI GESÙ ALLA LUCE DELLA RISURREZIONE – “Gesù è il Signore”: è questo dunque il senso della Risurrezione. Ma, se è così, la vicenda di Gesù acquista una nuova e diversa dimensione: non è la vicenda di un semplice uomo, per quanto grande possa essere, ma è la vicenda di un uomo che nello stesso tempo è il Signore, il Kyrios, il Figlio di Dio. Egli vive la sua vita sulla terra nella “condizione di servo” (Fil 2,7), dunque in tutta la meschinità e la povertà della condizione umana: soffre la stanchezza, la fame e la sete; gioisce ed è angosciato; sente l’amicizia e soffre per l’avversione e per l’odio).

Ma nello stesso tempo c’è in lui qualcosa che sconcerta: egli infatti parla come nessuno ha mai parlato, si arroga il diritto di cambiare la Torah data da Dio a Mosé, si dichiara padrone del sabato, compie opere straordinarie; in altre parole risplende nella sua persona qualcosa della “gloria” di Dio. La Risurrezione ne spiega la causa: nella sua condizione di “servo” Gesù è il “Signore”.

Ciò significa che la vita terrena di Gesù – dalla sua concezione alla sua morte – dev’essere letta alla luce della Risurrezione: non deve allora fare meraviglia che la sua concezione sia stata “verginale” (cfr Lc 1,26-35), cioè senza concorso d’uomo; che alla sua nascita gli angeli abbiano cantato: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama” (Lc 2,14); che quando è presentato al Tempio il vecchio Simeone abbia esclamato: “Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori” (Lc 2,34-35); che al momento del battesimo una voce abbia detto: “Tu sei il Figlio mio prediletto, in te mi sono compiaciuto” (Mc 1,11). Così la vita di Gesù si comprende nella sua profonda verità solo se la si legge alla luce della Risurrezione. Ha dunque ragione la Chiesa primitiva e hanno ragione i quattro vangeli a proiettare sulla vicenda terrena di Gesù la luce che promana dalla Risurrezione e a vedere nell’uomo Gesù il Figlio di Dio. In conclusione, la Risurrezione svela l’enigma che costituisce per lo storico la figura di Gesù, gettando su questa una luce che la rende comprensibile; tale anzi che non avrebbe potuto essere diversa da quella che è stata. Essa risponde dunque alla domanda che tante volte ci siamo posti dinanzi alla meraviglia che le parole e le azioni di Gesù producevano in noi: “Chi è Gesù di Nazareth?”.


Che cosa significa per la nostra storia?
Ma la Risurrezione non riguarda solo la persona e l’opera di Gesù di Nazareth. Essa è un fatto di portata universale, che concerne l’intera storia umana e il destino di ogni uomo. La Risurrezione, infatti, ha radicalmente trasformato la situazione del mondo e quella di ogni uomo. Fin dall’inizio della storia umana, quella del mondo è stata una situazione di peccato e di morte. Indubbiamente, sia pure con alti e bassi e continue cadute, l’umanità nel suo insieme è stata in ascesa, ha progredito. E tuttavia è stata sotto il dominio del peccato e della morte. Troppo spesso in essa il male ha prevalso sul bene, lo ha irriso e se ne è fatto beffe; la giustizia è stata sopraffatta dall’ingiustizia; l’innocenza ha dovuto soccombere sotto i colpi della malvagità. Soprattutto nella storia ha dominato la morte. Non solo sono morti gli uomini, ma sono scomparse nel nulla tutte le grandi costruzioni umane, i grandi imperi, le civiltà che sembravano dover sfidare i secoli ed essere immortali. Quel che è più triste è che la morte ha dominato nella storia nelle forme più orrende e crudeli: la condizione dominante dell’umanità è stata la guerra, col seguito orribile di mali che essa si porta dietro. I periodi di tregua – non di pace – sono stati brevi e agitati.

RILEGGERE LA NOSTRA STORIA ALLA LUCE DELLA RISURREZIONE – In questa storia di peccato e di morte ha fatto irruzione la Risurrezione di Gesù. Essa ne ha cambiato il corso, dando inizio a una nuova storia. Infatti la Risurrezione è la “vittoria” sul peccato e sulla morte. Ancora una volta la storia umana ha seguito il suo corso: i malvagi hanno vinto, infliggendo la morte all’innocente e al giusto. Gesù ha condiviso in tutto il suo orrore la sorte di tutti i vinti della storia umana. Ma la vittoria della morte è stata momentanea: “al terzo giorno” egli è risuscitato alla vita di Dio e in tal modo ha conseguito sulla morte una vittoria splendida e definitiva: “Cristo risuscitato dai morti non muore più; la morte non ha più potere su di lui” (Rm 6,9). La liturgia pasquale celebra la Risurrezione come un duello tra la Morte e la Vita: “La Morte e la Vita hanno ingaggiato un mirabile duello. Il Signore della Vita, morto, regna vivo” (Mors et Vita duello conflixere mirando / Dux Vitae, mortuus, regnat vivus). Risorgendo dalla morte, Cristo ha vinto la morte, non solo per sé, ma per tutti gli uomini e per l’intero cosmo. Indubbiamente, la vittoria di Cristo risorto sul peccato e sulla morte è stata decisiva, ma non definitiva: lo sarà solo alla fine dei tempi, quando Cristo “porrà sotto i piedi tutti i suoi nemici” (cfr Sal 109[110]) e l’ultimo di essi sarà la morte (cfr 1Cor 15,26). Il male avrà ancora la sua parola da dire e “sapendo che gli resta poco tempo” (Ap 12,12) si scaglierà con forza contro gli uomini. Ma, ormai, l’ultima parola non sarà la sua: appartiene al Cristo risorto. E su questa parola si fonda la speranza cristiana.

http://holy.harmoniae.com/gesu_10_risurrezione.htm

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