giovedì 23 aprile 2009

Un Papiro rivoluzionario: 7Q5




intervista al P. José O'Callaghan, S.J.
di Germán Mckenzie González.


Le scoperte delle undici grotte di Qumran, nei pressi del Mar Morto, in Israele, avvenute dal 1947 al 1956, hanno rappresentato certamente un fatto della più grande importanza per la miglior comprensione della Sacra Scrittura e dell'ambiente storico nel quale si è sviluppata la Chiesa della prima ora. Si tratta della più grande scoperta di manoscritti antichi. Sono i testi della biblioteca della comunità di Qumran, una sorta di monastero in cui, secondo l'opinione dei più eminenti specialisti, una parte della famiglia degli Esseni conduceva una vita dedicata al lavoro e alla preghiera. I suoi abitanti appartenevano a uno dei principali gruppi religiosi in cui si divideva il giudaismo, prima della distruzione del tempio di Gerusalemme, nel 70 d.C.



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La quasi totalità dei testi e dei frammenti contenuti nelle 11 grotte del complesso di Qumran è stata redatta in ebraico o aramaico, e si tratta di pergamene (pelli di animale opportunamente trattate e utilizzate per scriverci sopra). Solo la grotta 7, scoperta nel 1955, presenta la particolarità di contenere, nella sua totalità, dei papiri, una sorta di carta composta con le fibre di una pianta detta "cyperus papyrus", e, per di più scritti in greco. È precisamente questa grotta che ha richiamato l'attenzione dell'esperto papirologo José O'Callaghan, sacerdote gesuita spagnolo, che iniziò la sua ricerca su di essa quando stava elaborando un catalogo dei papiri contenenti sezioni della cosiddetta versione dei LXX (una traduzione dell' A.T. in greco, eseguita ad Alessandria, da dei giudei, nel III secolo a.C., per l'utilizzo da parte dei correligionari più familiarizzati con il greco che con l'ebraico o l'aramaico.

Appassionato dall'investigazione papirologica, il P. O'Callaghan si diede allo studio approfondito della grotta 7, familiarizzandosi con i frammenti ivi contenuti. Un giorno cominciò a trascorrere il suo tempo libero - come egli stesso dice - «a distrarsi», tentando una identificazione del papiro inventariato con il numero 5, cercando cioè di determinare di quale libro dell'Antico Testamento facesse parte questo frammento di papiro. Esso era datato al più tardi come dell'anno 50 d.C. e misurava 3,9 cm di altezza e 2,7 cm di larghezza. Il punto di partenza per lo studioso fu la combinazione delle lettere "NNES", che apparivano chiaramente leggibili nella quarta riga.

Dopo successivi tentativi falliti nei passi che considerava più probabili, ebbe l'idea di cercare tra i testi del Nuovo Testamento. Inizialmente nessun riscontro, poiché la sua chiave di ricerca si orientava sulle genealogie, ma in seguito arrivò la sorpresa; in un primo momento il risultato lo tenne tra lo stupore e l'incredulità: 7Q5 corrispondeva a Mc 6,52-53. Dopo nuove e più rigorose interpretazioni, nonché reiterate consultazioni con altri esperti, pubblicò, nel 1972, un articolo, in cui spiegava i risultati del suo lavoro. Questo si allargava all'intenzione di trovare altri frammenti del NT, su consiglio di (altri) accademici con i quali si era consultato.

A lato della chiara identificazione di 7Q5, buona parte degli altri tentativi di identificazione dei papiri greci della grotta 7 restavano alquanto insicuri. Fu l'inizio così di una intensa polemica, sorprendente per l'asprezza e l'abbondanza di argomentazioni ad hominem ­ piuttosto che scientifiche ­ utilizzate da alcuni dei suoi oppositori. In seguito vi furono maggiori studi. Oggi, dopo oltre venti anni, le ricerche rigorose di O'Callaghan vengono sempre di più appoggiate da un crescente numero di papirologi di gran fama. Malgrado tutto questo, numerosi biblisti, qumranologi, esperti di critica testuale mantengono un atteggiamento di resistenza. Le conclusioni definitive del P. O'Callaghan non hanno fatto altro che confermare quella identificazione iniziale di 7Q5 come corrispondente a Mc 6,52-53.

"...perchè non avevano capito il fatto dei pani, essendo il loro cuore indurito. Compiuta la traversata, approdarono e presero terra a Genèsaret..."

Dottore in filosofia presso l'Università di Madrid, Dottore in filologia classica presso l'università di Milano, il P. O'Callaghan ha insegnato in importanti centri di studio europei. Egli è professore emerito del Pontificio Istituto Biblico di Roma, dove ha insegnato Papirologia e Paleografia Greca, nonché Critica Testuale. Qui è stato anche decano della Facoltà Biblica. Attualmente è impiegato come direttore del Seminario di Papirologia dell'istituto di Teologia Fondamentale di S. Cugat del Vallès, in Barcellona.

Qual è la ragione di tanto subbuglio? Come è venuta maturandosi l'identificazione di 7Q5 fino alle conclusioni definitive? Quali implicazioni comporta, per la scienza biblica, il ritrovamento di un frammento del testo di S. Marco datato, al più tardi, come del 5O della nostra era?

Questi e altri interrogativi sono stati affrontati nell'intervista che gentilmente il P. O'Callaghan ha concesso a «Vida y Espiritualidad»1 e che noi pubblichiamo grazie alla cortesia di Fabiano Gritti


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Come definirebbe, in sintesi, l'aver identificato il frammento 7Q5 con Mc 6,52-53?

L'apporto dell'identificazione di 7Q5 sta nell'esserci avvicinati al Gesù storico, che questa identificazione permette. Secondo alcuni studiosi si era interrotta la linea di unione con il Cristo storico, perché -secondo questi autori- non sapremmo niente di Lui. Invece risulta che, se adesso siamo in possesso di un papiro dell'anno 50 d.C., del Vangelo di Marco, -come dice molto bene la esimia papirologa Orsolina Montevecchi, che è datato circa vent'anni dopo la morte del Signore-, anche se questo non ci parla di miracoli del Signore, tuttavia abbiamo stabilito il contatto, mediante la testimonianza di un papiro, con il Cristo storico.

Potrebbe raccontarci qualcosa del cammino che ha percorso dal 1972 e che culmina con la conferma scientifica di questa identificazione?

Mi è successo qui quello che mi è accaduto altre volte, ma ancora prima, quando nella mia disciplina scientifica si lavorava senza l'aiuto dell'informatica e le cose erano molto più difficili. A volte, nei momenti di difficoltà scientifica, quando non si vede chiaro l'approccio ad un problema e lo scoraggiamento si affaccia, viene una particolare intuizione che chiarisce la situazione, che illumina il cammino e trova qualcosa di nuovo. Alcuni mi hanno chiesto se si è trattato di una speciale grazia di Dio. Al che rispondo: "Grazia di Dio, sì, perché tutto quello che ho e che faccio è, in fondo, grazia di Dio, però non una ispirazione divina particolare". Onestamente credo di no. Si è trattato di una intuizione scientifica, evidentemente, di cui rendo grazie a Dio.

La prima ricezione del mio articolo apparso nella rivista Biblica: "¿Papiros neotestamentarios en la cueva 7 de Qumrán?" del 1972, fu molto polemica. Allora persone di grande autorità scientifica mi dissero testualmente: «Né Lei né io verremo a capo di una polemica internazionale, perché essa è fortissima. Lei va contro l'opinione internazionale». Opinione internazionale, del resto, che trovava spazio tra la maggior parte degli studiosi della Bibbia nel campo protestante e nel campo cattolico.

Stiamo parlando della prospettiva di R. Bultmann, che stabilisce una separazione tra il Gesù storico, che sarebbe assolutamente inaccessibile, e il Cristo della fede, che corrisponderebbe alla elaborazione della prima comunità cristiana e che è quello che ha tramandato a noi, depositato nel Nuovo Testamento?

Ebbene, sì. E dunque, chiaramente, questo aspetto è fortissimo. In realtà il papiro è minuscolo e potrebbe presentare certamente delle difficoltà. in quel momento non si pretendeva di concludere di vedere completamente tutto chiaro.

All'inizio non risposi agli attacchi di studiosi famosi come -soprattutto- il prof. Kurt Aland, quelli degli specialisti della École Biblique di Gerusalemme, etc. Essi mi attaccavano fortemente, però, più che di argomenti scientifici, si trattava di attacchi personali di grande risonanza internazionale. Io vedevo, sulla base degli argomenti che la scienza papirologica consente, per quello che la conosco, che non toccavano il nocciolo della questione. Erano attacchi di scarso contenuto papirologico. Allora cominciai a rispondere attenendomi rigorosamente agli argomenti e non alle persone, finché non mi stancai di ribattere. Pensavo che perdevo tempo ed energia in un dibattito che, basato su questi termini, non valeva la pena di continuare. Avevo risposto abbastanza nella rivista Studi Papirologici; anche nella rivista Biblica. In seguito la querelle si smorzò perché non ricevetti risposta ai miei articoli chiarificatori. Non pubblicavano niente e si fece silenzio sul tema. Senza interlocutori non potevo rispondere a niente. La questione rimase assopita finché il papirologo anglicano Carsten Peter Thiede, professore tedesco, si presentò nel mio studio, con sua moglie, quando ero decano della Facoltà Biblica del Pontificio Istituto Biblico di Roma, e mi disse che era convinto che gli attacchi che la mia ipotesi aveva ricevuto erano inconsistenti. Egli stava cercando di scrivere un libro sulla mia identificazione. Dopo che ebbe investigato per suo conto, pubblicò un libro in Germania di cui si è fatta, mi pare, la quinta edizione. In castigliano si intitola: ¿El manuscrito más antiguo de los Evangelios? El fragmento de Marcos en Qumrán y los comienzos de la tradición escrita del Nuevo Testamento. L'opera è stata tradotta anche in olandese e in italiano (Il manoscritto più antico dei vangeli? Il frammento di Marco diQumran e gli inizi della tradizione scritta del Nuovo Testamento, (Subsida Biblica 10), Roma: Biblical Insitute Press, 1987: nota redazionale). Inoltre Carsten Peter Thiede ha scritto un altro libro in inglese, tradotto anche in francese (e in Italiano: Qumran e i Vangeli. I manoscritti della grotta 7 e la nascita del Nuovo Testamento, Milano: Massimo, 1996: nota redazionale). Tutta la faccenda, come può vedere, ha acquistato risonanza. Si tratta di uno scienziato di alto livello. Lo conosco e lo rispetto molto, come è naturale. In quel tempo fu lui che riprese la tematica. Essa era come addormentata, non spenta; Thiede non la resuscitò, piuttosto la ha risvegliata.

Quale è stata l'importanza del simposio svoltosi presso l'Università di Eichstätt, in Germania, nell'ottobre del 1991?

È stata grande. Mi invitarono, però non volli assistervi, perché i partecipanti potessero sentirsi liberi di parlare in favore oppure contro. Ciò che feci, fu di inviare una lettera, di cui si diede lettura, ringraziandoli per il loro interessamento e offrendo le mie preghiere perché incontrassero la verità. In quella sede grandi personalità si espressero a favore della identificazione, altre no; però, in generale, la opinione fu favorevole. Mi offrirono i loro lavori. Erano nord-americani, tedeschi, francesi, belgi... nessun italiano e nessun spagnolo. Queste persone hanno potuto agire in un ambiente internazionale altamente scientifico, pubblicando, in seguito, degli atti che, in generale, propendevano in favore della mia posizione. In seguito F. Rohrhirsch pubblicò un libro favorevole alla mia identificazione e contro la presa di posizione di Kurt Aland e la sua scuola, i quali, nella loro analisi informatica di tutti i fattori relativi a 7Q5 hanno sbagliato a programmare il computer; logicamente, l'elaboratore, programmato in modo erroneo, ha dato risultati erronei, non validi.

E allora Lei si accinge ad assumere lo studio di 7Q5 in profondità e si avvia verso l'ultima tappa che culmina con il libro che pubblicherà tra breve...

Con tutti questi precedenti e altri apporti -compresi alcuni che per essere a volte contrari alla mia tesi non lascio di valutare e di ringraziare- con tutto il materiale raccolto dagli studiosi che hanno cercato di stabilire altre identificazioni per 7Q5, sono andato approfondendo la mia indagine. Grazie a un calcolo delle probabilità da me richiesto all'eminente professore Alberto Dou, Dottore in matematica e membro delle reale Accademia delle Scienze di Madrid, risulta chiaro che il frammento del papiro non può corrispondere ad altri testi... Non combacia con nessun altro testo! Questo studio si riporta ampiamente nell'epilogo del libro che sto dando alle stampe: Los testimonios más antiguos del Nuevo Testamento. Papirología neotestamentaria. ((En los origines del cristianismo 7) Cordoba: Ediciones El Almendro, 1995: I testimoni più antichi del Nuovo Testamento. papirologia neotestamentaria; attualmente il libro non è ancora tradotto in italiano; nota redazionale). Qui dichiaro e provo scientificamente, da un punto di vista papirologico, che 7Q5 è Mc 6,52-53. Qui, infine, includo l'apporto dello studio matematico del professor Dou. La questione e definitivamente provata e sicura; cosa che mi anche detto, dal punto di vista delle possibilità matematiche, lo stesso professor Dou.

Parliamo un po' delle diverse obiezioni e problemi posti alla identificazione: secondo alcuni c'è un primo ostacolo ed che lo studio è stato fatto usando come base dlle foto grafie e non il papiro stesso...

In primo luogo le rispondo come papirologo. A un papirologo non sempre è possibile viaggiare fino a San Pietroburgo, a New York o chissà dove per studiare un papiro, perché non possiamo contare sul presupposto di avere sempre l'accesso diretto all'originale. Questo è evidente. Quello che facciamo è, dalla nostra sede, lavorare per mezzo di fotografie, talvolta ad infrarossi. Questo è abituale, nella papirologia. In secondo luogo è assolutamente falso che io non abbia lavorato con i papiri originali. Il P. Martini, oggi Cardinale, che è stato rettore del Pontificio Istituto Biblico quando proposi l'identificazione per la prima volta, appena uscì il primo articolo, nel 1972, mi chiese di stare a lavorare una settimana completa al Museo di Gerusalemme.E la mia visita ai luoghi santi fu, in gran parte la sala dei papiri del suddetto museo. Ebbi sì la consolazione di celebrare la Messa presso il Sepolcro del Signore, a cui mi ero già preparato da tempo, però, per lo più, ciò che feci, fu di verificare le letture su 7Q5, letture che erano ovvie già nella fotografia a raggi infrarossi. E nel medesimo anno pubblicai un ampio articolo nella rivista Biblica, in base alle note prese nel corso dello studio diretto presso il Museo di Gerusalemme. Ed è curioso, perché, come ho detto, io ho visto e ho lavorato una settimana con gli originali, C.P. Thiede è stato 5 volte là, mentre il Prof. Aland, la cui memoria rispetto e a cui riconosco il molto che ha dato nel campo della critica testuale, ha lavorato soltanto con fotografie e non è mai andato a Gerusalemme. È stato paradossale il fatto che abbia attaccato duramente le mie ipotesi dicendo precisamente che la mi identificazione è stata realizzata lavorando soltanto con fotografie!

C'è un altra questione papirologica ed è costituita da tentativi di realizzare altre identificazioni di 7Q5, diverse dalla sua; come quella della professoressa Spottorno, con Zac 7, 4-5? Altri studiosi, come Julio Trebolle, per esempio, in un libro recentemente pubblicato, dicono che sono possibili differenti identificazioni del papiro. Che ne dice, a proposito?

Sono ipotesi completamente sbagliate. Lo dico, come papirologo, con tutta franchezza. Tutto quanto affermano a livello papirologico io lo analizzo in profondità -come ho già detto- nella conclusione del mio libro. Queste alternative che essi propongono, in quanto papirologo, fanno pena a vederle. Sembra che qui vogliano, più che illuminare, disorientare e parlare tanto per parlare. Hanno proposto come identificazione testi che non c'entrano in nessun modo! Ho sempre detto, fin dall'inizio, che se mi provano che questo non è il Vangelo di Marco, io lo accetto di conseguenza. Ma hanno cercato distorcere la realtà... Nel libro che sta per apparire, c'è una sezione chiamata: «Presupposti scientifici per l'identificazione». E sulla base di quanto ivi espongo si vede con chiarezza che, nella proposta delle loro alternative, non si è tenuto conto di quanto, nella metodologia scientifica, è più elementare. E questo lo affermo nella maniera più assoluta.

In concreto, di che cosa stiamo parlando, di lettere che non esistono nel papiro originale?

Quando uno fa una identificazione, se è vera, questa corrisponde a quello che si vede nel papiro, alla disposizione delle lettere e al resto. Se la identificazione non corrisponde a quello che si vede nel papiro, uno, di conseguenza, mette in dubbio e dice: «Questo non è il papiro, è un'altra cosa». Queste interpretazioni alternative, che hanno proposto, fanno pena, sul piano scientifico. Nel caso della professoressa Spottorno, che rispetto molto a livello personale, ella ricostruisce, in base a 7Q5, un passaggio che non è uguale al brano di Zaccaria con il quale pretende di identificarlo, ma sarebbe una specie di parafrasi dello stesso passo; che razza di identificazione è?

In queste pretese identificazioni, si rispetta la "verticalità delle lettere", che si deduce dalla media sticometrica (numero delle lettere per linea) del rotolo al quale il papiro apparteneva?

No, in nessun modo. Né la "verticalità delle lettere", né la lettura. Perché oltre a non corrispondere al papiro, le lettere che propongono non vi si vedono. Non sto parlando solo di lettere complete, ma non si vedono neppure incomplete, e neppure si vedono tratti d penna. In papirologia le lettere complete non presentano nessuna difficoltà: quelle incomplete possono essere di lettura sicura o incerta. Però, se incontriamo in un documento antico, per esempio, nel nostro alfabeto, un triangolo con il vertice in alto, si possono completare i lati fino alla base e si può dire che è una "A". Però, se si incontra un simile triangolo, non si può dire che è una "S". Eppure queste supposte identificazioni alternative presentano cose simili; è incredibile!

Un altra obiezione è che il papiro è troppo piccolo per poterci lavorare sopra seriamente...

Questo fatto potrebbe mettere la pulce nell'orecchio a uno che non sia papirologo, ma a un papirologo questo non suona strano, perché ci sono dei papiri più piccoli, come per esempio quello che corrisponde a Samia, (la cui sigla è P. Oxy. XXXVIII 2831), opera di Menandro, che misura 2.4 per 3.3 cm. Per la sua identificazione il papirologo inglese E.G. Turner modifica il testo e realizza un cambio fonetico che non si incontra da nessuna altra parte. Questa identificazione è stata accettata da tutti. Ci sono altri esempi. Il papiro neotestamentario pubblicato da C.P. Thiede, appartenente alla collezione Bodmer, è molto più piccolo. Inoltre c'è anche il caso del papiro che fu identificato nella gotta 7 di Qumran come corrispondente a un testo dell'Antico Testamento, della lettera di Geremia, in cui si presenta una identificazione testuale che gli identificatori aggiustano come possono, sulla base di una versione latina. Inoltre le uniche parole che si leggono con sicurezza assoluta sono OUN (= dunque, cong. consecutiva) e AUTOUS, (= essi). In tutti questi casi nessuno ha fatto pesare qualche difficoltà perché il papiro è più piccolo di 7Q5.

C'è un'altra questione relativa a 7Q5; è la lettera incompleta che alcuni hanno letto come una «I» e che Lei legge come «N»...

C'è una lettera che io leggo come «N», in relazione alla quale quelli dell' École Biblique di Gerusalemme mi dissero che ciò era -testualmente- «assurdo». Dicevano che era assurdo vedere lì il tratto verticale sinistro di una «N» -il ny maiuscolo in greco è come la N in italiano (or. "in castigliano"). Si tirava in ballo questo finché, al Dipartimento di Investigazione e Scienza Forense della Polizia Nazionale di Israele, e con gli apparati della tecnologia moderna, concretamente con lo stereomicroscopio, videro che nel tratto verticale a cui ci riferiamo, nella parte superiore, discendeva parte del tratto obliquo discendente corrispondente ad una «N». E' dunque scientificamente provato. Ora, la lettera che segue, che più di uno vedono come una eta -che nell'alfabeto maiuscolo greco è fatta come una «H»-, io non la vedo tale. E sebbene un eta in questa posizione combacia perfettamente con la mia identificazione, poiché desidero essere onesto scientificamente, quando il professor A. Dou fece i calcoli delle probabilità che gli richiesi, gli dissi di mettere un punto nella posizione che quella lettera occupava, perché io, semplicemente, non la vedevo.

Il fatto che si sia ricorso alla polizia scientifica israeliana, che non ha nessun interesse nella polemica, garantisce l'imparzialità delle informazioni che sono servite ad identificare la lettera...

Per un certo aspetto sì, però non in quello fondamentale. L'obiettività della identificazione è garantita dal rigore scientifico del lavoro nel suo insieme. Le dirò un'altra cosa, perché possa vedere l'onestà del procedimento: ogni qual volta pubblicavo un articolo, difendendo la mia posizione, ho sempre pubblicato la fotografia a raggi infrarossi. Quelli che attaccarono l'identificazione non hanno mai pubblicato nulla, soltanto parlavano. Qui c'è già una differenza di procedura scientifica. In questo desiderio di onestà, ad un estremo e massimo rigore scientifico, non si è mancato di adottare tutte le possibilità di investigazione, e di presentare il papiro alla polizia israeliana, la stessa che è completamente imparziale nella materia di questa identificazione.

Si è parlato anche del cambio di un delta con un tau che si deve fare per ottenere l'identificazione. È un aspetto che hanno trattato C. Roberts, Pierre Benoit, M.E. Boismard e altri.

Sì. E quando vidi che alcuni assunsero questo come una obiezione, mi recai presso la biblioteca del Pontificio Istituto Biblico, e scrissi una nota che fu pubblicata nella rivista Biblica, circa la frequenza del cambio delta-tau nei papiri biblici. E ripeto quello che ha detto la professoressa Montevecchi, una eminenza in papirologia: obiettare questo cambio delta-tau è quasi ridicolo, a motivo della possibilità e ammissibilità del cambio. E di fatto esistono numerosi casi dello stesso errore, compreso perfino un graffito in greco su pietra, dei tempi di Erode, dove è evidente che avrebbero dovuto badare di più alla scrittura.

Nel campo della critica interna ci sono delle altre osservazioni. Una di esse mette in discussione l'identificazione fatta da Lei perché essa esige l'eliminazione di nove lettere, corrispondenti alla frase EPI TEN GEN, che appare nella variante greca più comune del Vangelo di S. Marco.

Di questo parla anche O. Montevecchi. Io potrei rispondere con le sue parole, che sono molto più autorevoli delle mie e assolutamente imparziali. Se il cambio delta-tau, come ho già spiegato, non ha niente di particolare -e parlo come papirologo-, omissioni analoghe a EPI TEN GEN sono un caso conosciuto e accettato. Lo stesso C. Roberts, quando pubblicò il papiro p52, quello famoso del vangelo di S. Giovanni, realizzò la sua identificazione omettendo alcune lettere; Ed è che nella pericope (Gv 17, 37-38) c'è una ripetizione, nel testo originario di S. Giovanni, che dice: «Io per questo (EIS TOUTO) sono nato e per questo (EIS TOUTO) sono venuto nel mondo» (v. 37). La seconda occorrenza di EIS TOUTO, che è la lettura ordinaria nel testo oggi conservato, per ragioni sticometriche, lo omise lo stesso Roberts, guidato dalla «verticalità delle lettere» del testo nel margine destro del papiro, considerando il suo testo come una variante più breve. Ed è ben conosciuta l'accoglienza entusiasta e la generale accettazione della identificazione di p52, corrispondente all'anno 125. Non voglio parlare di altri diversi papiri biblici la cui identificazione, malgrado presentassero varianti «assurde», è stata accettata da tutti gli specialisti. Mi limito solo a citare un pezzo di papiro (più piccolo di 7Q5), il p73 (= p. Bodmer I). In questo insignificante papiro, tra il fronte e il retro si leggono con sicurezza solo otto lettere. Ebbene, l'identificazione di questo papiro con il testo di Mt 25,43 e 26,2-3, è stata accettata senza nessuna difficoltà.

Non le sembra degno di prendere in considerazione l'argomento del prof. Metzger che cerca di mettere in questione l'identificazione perché, -dice- per realizzarla si rende necessario accettare delle eccezioni in un pezzetto molto piccolo di papiro?

Che eccezioni sono?

Il cambio delta-tau e l'EPI TEN GEN.

Questo che dice il professor Metzger mi sembrava molto opportuno, perché rispetto molto la sua personalità scientifica. Siamo amici. Però l'argomento che porta è scardinare la questione. Può darsi che in un pezzo piccolo di papiro ci siano delle varianti perché cadono proprio lì. Inoltre, in questo caso, queste varianti non hanno corpo e volume sufficiente per far dubitare della identificazione perché non hanno, ognuna di esse, un peso significativo per generare dei dubbi.

Il che equivale a dire, riassumendo, che esistono papiri accettati ai quali si sono concesse non poche eccezioni in più e nessuno si è fatto alcun problema?

Così è. Esistono molti altri papiri. Lo dico sempre e lo ripeto ora: se questo papiro fosse del VII secolo, sarebbe fantastico; però chiaramente è del I secolo e per questo non si accetta. Comprendo queste riserve soltanto per le conseguenze che questa accettazione comporta.

C'è qualcuno che parlava di un Suo intento apologetico...

Se mi dicono questo è per mettermi addosso un marchio d'infamia. Io lavoro sempre con rigore scientifico e ho compiuto altre identificazioni, per esempio una che un gruppo di professori tedeschi di Berlino mi presentarono come un brano di prosa e che io ho identificato come del poeta Teocrito. Ora mi domando: "Che apologetica ho fatto con questa identificazione?" A quel tempo ed ora il mio procedere è scientifico. Nel caso poi di 7Q5 la identificazione compiuta non fu fatta cercandola, ma è successo..., semplicemente. Inoltre, a condurmi ad essa fu la curiosità nel tempo del riposo... «fare i cruciverba in greco», semplicemente.

Proseguendo, parliamo delle conclusioni del calcolo delle probabilità, la prova matematica. Il cambio delta-tau da Lei rimarcato, non interferisce con il risultato?

Infatti io avvertii di questo il professor Dou, ma bisogna supplire all'equivocazione dello scriba. Matematicamente, tuttavia, nella prima ipotesi di lavoro (egli ha lavorato con cinque ipotesi distinte che, nell'insieme, hanno dato un risultato favorevole alla identificazione che io propongo) questo cambio consonantico influiva poco.

E nel caso delloeta che Lei ha detto che non vedeva chiaramente...

In questo caso richiesi al professor Dou di non considerarla e di mettere lì un punto, che denotava una lettera sconosciuta. Il resto delle lettere sicure del papiro si sono considerate come tali. D'altro canto si è utilizzata, come base, la medesima sticometria (lunghezza di ogni riga della colonna del testo) della mia identificazione, cioè con lo stesso numero di spazi o lettere, e con possibilità di variare tra le venti e le ventitré lettere, perché, essendo lettere fatte a mano, non sempre la loro quantità è costante in ogni linea.

La prima ipotesi semplicemente considera il numero delle lettere e la loro ubicazione, senza distinguerne nessuna...

Sì, si tratta di un calcolo puramente matematico, senza identificare nessuna lettera... A farlo, la probabilità che si incontri una sequenza che possa corrispondere a 7Q5 è di 1 contro trentaseimila bilioni. Per farsi un'idea, si può spiegare che quando si tira una moneta in aria la probabilità che venga testa è 1 contro 2. Così, la probabilità in questo caso è di 1 contro 36.000.000.000.000.000 (trentasei milioni di miliardi). Questa cifra si riduce, cioè la probabilità è maggiore, quando ci si riferisce alla congiunzione di lettere propria di un testo espressivo letterario, che è differente dalla ipotesi precedente di un testo matematico inespressivo.

Nel caso di un testo espressivo letterario ci sono più probabilità che nel caso precedente che il frammento 7Q5 coincida con un testo diverso da Marco...

Sì, ma la probabilità in questo caso è di 1 contro novecentomila milioni... cioè non ce ne è praticamente nessuna. Si tratta di una contro 900.000.000.000 possibilità. Questo è sicuro, perché in tutte queste migliaia di milioni, parlando matematicamente, e impossibile e assurdo che si possa incontrare un'altra identificazione, perché questa è unica ed è con Mc 6,52-53. Tanto nel primo come nel secondo caso, il risultato è scientificamente sicuro. Tutti i dettagli di questa come di tutte le altre ipotesi di lavoro dell'analisi del professor Dou saranno riportate nell'appendice della mia prossima opera, come ho già detto.

C'è una terza ipotesi...

Questa si riferisce a una sticometria più ampia, perché nel lavoro con la matematica cerchiamo di esaurire tutte le possibilità di variazione. In questo caso la probabilità di una identificazione di 7Q5 con un testo che non sia di Marco è di 1 contro 430 bilioni. Si tratta di 1 possibilità tra 430.000.000.000.000 di opzioni. nuovamente il risultato è molto chiaro.

Persino un risultato più...

Le analisi del professor Dou lo portano ad affermare che, nel caso si scoprisse nel futuro qualche documento con il quale il frammento 7Q5 potrebbe identificarsi, questo documento e Mc 6, 52-53 sarebbero testi non indipendenti. Cioè, eventualmente si scoprisse un qualunque altro testo suscettibile di supportare una identificazione con 7Q5, questo testo avrà a che vedere con il nostro brano di Marco. Tutto questo verrà spiegato nel libro.

Lei si sente intimamente convinto, come scienziato, che questa sua identificazione è certa...

Ora sì, inizialmente non ero tanto fermamente convinto. Era un'ipotesi molto probabile. Adesso sì, sono sicuro.

Andando oltre il tema della identificazione propriamente tale del testo, circa la datazione del testo...

La datazione la fece Roberts, il grande paleografo di Oxford. Forse adesso stanno facendo maggiori difficoltà rispetto al momento iniziale, però fino ad allora non si presentò nessun problema. Il professor Fitzmyer diceva in un articolo che, poiché non si può cambiare la datazione, non si può accettare la identificazione di 7Q5. ora, perché non si può cambiare la identificazione, cercano di cambiare la datazione.

Ci sarebbe la possibilità di usare il metodo del carbonio 14 per precisare la datazione?

No, è impossibile, perché bisognerebbe bruciare il papiro... In pezzi di papiro più grandi sì, è possibile farlo, ma in questo caso ciò implicherebbe la perdita totale dello stesso.

In relazione al medesimo tema della datazione, ci sono alcuni - e tra questi il già menzionato ricercatore K. Aland- che affermano che il papiro debba essere posteriore all'anno 50.

Il professor Aland non era paleografo; cioè, pur con gran rispetto ai suoi lavori di critica testuale, nel campo della paleografia preferisco altre opinioni.

Inoltre esiste un problema da tirare in ballo e che è il passaggio dal rotolo al codice; potrebbe spiegare qualcosa a proposito?

Nel simposio della Sorbona, a Parigi, svoltosi pochi anni fa, ricordo esattamente che gli specialisti si misero d'accordo e si può dire che è verso l'anno 80 che ebbe luogo il passaggio dal rotolo al codice; non in maniera netta, ma si cambiò poco a poco, finché finalmente si passò al codice, soprattutto per facilitare la diffusione del nuovo testamento. Era più facile inviare libri, quaderni, che rotoli, complicatissimi da maneggiare.

Nel caso del papiro 7Q5 teniamo un pezzetto di rotolo; il che implica che esso sia anteriore all'anno 80 d.C., che fu quando essi cessarono di essere utilizzati...

In realtà anteriori a quando si chiusero le grotte di Qumran, cioè nel 68 d.C.; in base all'archeologia e alla storia, per precisione storica, questo frammento è molto antico.

Tra i metodi paleografici, quali furono utilizzati per datare il papiro prima dell'anno 50 d.C.? Cosa c'entra il cosiddetto Zierstil («stile ornato») con tutto ciò?

Ogni stile paleografico (stile di scrittura) ha una nascita, uno sviluppo, e una morte. È in base a questi stili e ai suoi cicli di vita che si può spere la datazione di un manoscritto. La datazione la fece il prof. Roberts, di Oxford, molto noto, come ho già detto. Un altro professore, un altro molto rinomato in Italia, di cui non faccio il nome perché me lo ha detto confidenzialmente -non sarebbe particolarmente significativo sapere, in questa vicenda, il suo nome- sosteneva: «Al massimo questo papiro è dell'anno 50 d.C.». E chi mi ha detto questo è, secondo me, il miglior paleografo biblico del mondo.

Cioè paleograficamente il papiro 7Q5 ha uno stile che è determinato tra un intervallo di anni e per questo è possibile datarlo...

Sì, questo intervallo di anni va dal 50 a.C. al 50 d.C. Potrebbe darsi che questo stile abbia una ramificazione, però c'è da tenere conto di una cosa: alcuni dei papiri della grotta 7 di Qumran presentano dei tratti che sono molto interessanti, si incontrano tratti paleografici dei papiri di Ercolano, dell'Italia. Allora può darsi che si scrivessero a Roma... Infine c'è una serie di casi molto interessanti, tuttavia enigmatici.

Questo ha a che vedere qualcosa con la iscrizione che si riscontrò nell'anfora della grotta 7, che diceva «Roma»?

Questo lo affermano alcuni. Io non sono un tecnico in questo campo e non mi azzardo a sostenerlo. Persone più accreditate potranno dirlo. Quanto Lei dice lo suggerì un professore del Pontificio Istituto Biblico; ma, per contro, il neutrale specialista di Qumran Yigael Yadin disse di no, che si metteva solo il nome del proprietario o il contenuto, ma non l'origine geografica... Però, nella migliore delle ipotesi, il contenuto era «manoscritti di Roma». Si tratta di qualcosa aperto alla investigazione.

A parlare di 7Q5, davanti a che cosa ci troviamo? Davanti ad un frammento del Vangelo di Marco? Di quale versione? Di una fonte di Marco?

Questo non lo so. Alcuni dicono che è una fonte. Colui che oggi è il Cardinale Martini aveva un'opinione al riguardo e, credo, la pubblicò. Avendo un cambio di sezione (tra i versetti 52 e 53 del capitolo 6 del Vangelo di S. Marco), si tratta di un testo già formato. C'è un paragrafo, un spazio vuoto in bianco, che implica un «punto e a capo». Però, una volta di più, questo esula dalla mia competenza e per questo non esprimo valutazioni. Altri lo diranno.

Ci sono anche altri indizi che permettono di compiere questa identificazione con Marco; per esempio, l'uso reiterato della parola KAI (in italiano «e»), se non mi sbaglio...

Certo, è vero; non c'è un altro autore classico che fa iniziare un paragrafo con KAI, come nel caso di 7Q5. Questo comincia una sezione al v. 53. E se si tiene conto che in Marco più del 90% delle pericopi cominciano con KAI, rivelando un greco poco raffinato -che tuttavia bisogna dire che è proprio del Vangelo di Marco-, gli argomenti i favore della datazione aumentano. La verticalità delle lettere, il dettaglio del paragrafo, il KAI, lo stesso fatto di essere una lectio brevior (una variante più breve dovuta all'omissione di EPI TEN GEN)... tutti questi fatti portano O. Montevecchi ad affermare che se questo non ci fosse, avrebbe dubitato che il papiro fosse antico.

Parliamo un po' delle reazioni, come per esempio quella del professor Ravasi, che, mostrando disinformazione sul tema affermò, rispondendo alla proposta di identificazione di 7Q5 con il menzionato passo di Marco, che si trattava di un papiro con lettere ebraiche. Come è possibile una simile mancanza di obiettività?

Questo, invece di chiederlo a me, bisognerebbe piuttosto chiederlo a Lui

Lei non ha nessuna idea sulla faccenda?

Questa leggerezza è una cosa incredibile... Ravasi, che è una persona molto competente in certe cose, non si è neppure degnato di guardare il papiro! Appare chiaramente il KAI, appare chiaramente il tau, appare chiaramente il gruppo NNES... E lui dice che è ebraico? Eppure sembrerebbe che si sia espresso così. Ci troviamo di fronte ad un pregiudizio di scuola, o, piuttosto, di posizione. Si vede chiaramente... Le personalità eminenti che hanno le loro posizioni scientifiche, come potevano cambiare la loro posizione per la proposta di un giovane sconosciuto nell'ambiente biblico internazionale? Nel campo papirologico io ero conosciuto, ma in campo biblico no. Se non si è papirologi, sinceramente, si vedranno o non si vedranno cose con superficialità...

Che cosa le dice il fatto che le critiche provengono più dagli esegeti che dai papirologi, pur non essendo quello il loro campo?

Quello che dice Herbert Hunger, che è stato direttore della collezione dei papiri della Biblioteca Nazionale dell'Austria, realtà di grandissima importanza per la papirologia, è assai ragionevole: "Io non parlo né come teologo né come biblista, parlo come scienziato e papirologo, e come scienziato dico che O'Callaghan ha ragione". Quanto afferma O. Montevecchi è importate: questo non toglie ne aggiunge nulla, perché anche se questo non fosse un papiro di San Marco, il cristianesimo non perde nulla. Ed ora si deve anche presentare in conto, a coloro che si oppongono alla identificazione che avanzo, che, a fronte dei loro pregiudizi c'è stato un rafforzamento di un più equanime e scientifico apprezzamento delle cose.

Sebbene il suo lavoro su 7Q5 non abbia un intento apologetico, non di meno esso ha delle conseguenze importanti per l'annuncio delle fede nel nostro tempo, soprattutto per quanto ha a che fare con la storicità dei vangeli. Come vede questo aspetto?

Una cosa è che io, come sacerdote, mi rallegri molto, ma è altra cosa che un sacerdote abbai tirato acqua al suo mulino. Quando valutavo globalmente la cosa, allora, oltre ad aver discusso e parlato con rigore scientifico, mi sentivo che come sacerdote ero molto lieto della vicenda, per contro considerando che la mia lotta iniziale fu molto difficile -ho trascurato anche le prime votazioni per proseguire come cattedratico presso il Pontificio Istituto Biblico e mi stavo giocando tutto come scienziato; era molto rischioso per me mettermi nella questione di 7Q5-. Ed è che sono convinto che la ricerca della verità necessariamente conduce a Dio, che è la verità. Ora, come sacerdote, non potrei certo minimizzare la mia aspettativa che l'identificazione di 7Q5 con Marco fosse vera, però mai ho fatto apologetica, perché reputo che lavorare così sia inaccettabile. Tra i risultati finali dell'investigazione, sono contento che questa si sia rivelata vera: non posso negarlo.

Che conseguenze pratiche vede? Crede che si tratti di una porta per cui alcune persone volgano gli occhi alla fede?

Ebbene, questo si vedrà. Io non so quello che farà la gente. Però se si accetta questo, per la stessa solidità scientifica che possiede, papirologica, matematica, credo che potrà aiutare qualcuno a dire di sì. Io ripeto tuttavia mille volte la stessa cosa: questo papiro non ha aumentato minimamente la mia fede, perché la mia fede va oltre tutti i papiri e i codici. Però la fede suppone la razionalità umana; di conseguenza sono contento che la identificazione che ho proposto possa affermarsi con certezza.

Concludendo, dando ora uno sguardo retrospettivo, che lettura fa di questo che ha chiamato una «avventura scientifica»? Come vede le cose alla luce degli anni?

Ebbene, è stato tutto. È stato benedizione, è stata prova, è stato calvario, è stata gloria, sono stati momenti intensi... Però innanzi tutto è stato lo sforzo di servire Dio e la Chiesa, sulla base del mio ministero sacerdotale e dei miei studi scientifici.




1 Da «Vida y Espiritualidad», maggio-agosto 1995, anno 11, N. 31.
Traduzione dallo spagnolo a cura della redazione di San Lorenzo




http://www.nostreradici.it/un_papiro_rivoluzionario.htm

Oltre ai Vangeli Canonici,ai Vangeli apocrifi si parla di Gesù in altri documenti storici

Chi era Gesù?
Gesù è il nome italianizzato derivante dal latino Iesus e dal greco Iesoûs.
Il nome ebraico di Gesù è "Yeshu", termine di derivazione aramaica che viene pronunciata in inglese "Yeshua".
Yeshua è il diminutivo di Yehoshua che vuol dire "Yahweh aiuta" o "che Yahweh t'aiuti" interpretato anche come "YHWH è salvezza", "Yaweh salva" o "Possa Yaveh salvare".
Il nome Yehoshua si dice contiene il tetragramma biblico YHWH e sembra contenere parte del nome di Dio.


Gesù era innanzitutto un uomo ebreo, noto e indicato dai Vangeli in diversi modi :

Gesù Cristo
Il termine Cristo deriva dal termine greco christos che significa letteralmente "unto" ed è il termine ebraico per dire "Messia".
Dal termine cristo derivano i termini Cristianesimo e Cristiano.
Gesù di Nazaret
Nazaret è la città di origine di Gesù.
Città odierna situata a Nord di Israele e al tempo di Gesù situata nella regione della Galilea.
Su Nazaret da dire che controversa è sia la sua effettiva esistenza al tempo di Gesù che la sua collocazione, anche se recenti scavi archeologici ne provano l'esistenza e confermano che Nazaret era un piccolo villaggio della Galilea.
Alcuni studiosi hanno ipotizzato che Gesù provenisse da Gamala, città della Galilea conosciuta e nominata per essere stata distrutta dai Romani durante il 67 D.C. nel corso della prima guerra giudaica.
Gamala era la città di "Giuda il Galileo", famoso capo autore di una guerra e rivoltà patriottico religiosa del padre verso la dinastia erodiana.

Gesù Nazareno
Nazareno dal termine greco "o Nazoraios", aramaico "Nazorai", latino "Nazarenus".
Esistono varie teorie su questo termine utilizzato dai vangeli:
- secondo quella più diffusa Nazareno significa di Nazareth, cioè della città, villaggio, paese di Nazaret
- altri studiosi affermano che potrebbe essere un termine per indicare il maestro presente nella comunità degli Esseni.
- per altri indicherebbe il Nazireo, un consacrato a Dio che ha fatto voto e deve seguire alcuni rigidi precetti di vita.
Oltre ai Vangeli Canonici,ai Vangeli apocrifi si parla di Gesù in altri documenti storici:

GIUSEPPE FLAVIO
Antichità Giudaiche, Libro XVIII:63
Allo stesso tempo, circa, visse Gesù, uomo saggio, se pure uno lo può chiamare uomo; poiché egli compì opere sorprendenti, e fu maestro di persone che accoglievano con piacere la verità. Egli conquistò molti Giudei e molti Greci. Egli era il Cristo.
Antichità Giudaiche,Libro XVIII:64
Quando Pilato udì che dai principali nostri uomini era accusato, lo condannò alla croce. Coloro che fin da principio lo avevano amato non cessarono di aderire a lui. Nel terzo giorno, apparve loro nuovamente vivo: perché i profeti di Dio avevano profetato queste e innumeri altre cose meravigliose su di lui. E fino ad oggi non è venuta meno la tribù di coloro che da lui sono detti Cristiani.
Antichità Giudaiche,Libro XVIII:63 e 64 - Versione in Arabo
Ci fu verso quel tempo un uomo saggio che era chiamato Gesù, che dimostrava una buona condotta di vita ed era considerato virtuoso (o: dotto), e aveva come allievi molta gente dei Giudei e degli altri popoli.
Pilato lo condannò alla crocifissione e alla morte, ma coloro che erano stati suoi discepoli non rinunciarono al suo discepolato (o: dottrina) e raccontarono che egli era loro apparso tre giorni dopo la crocifissione ed era vivo, ed era probabilmente il Cristo del quale i profeti hanno detto meraviglie
Antichità Giudaiche,Libro XX:200
Con il carattere che aveva, Anano pensò di avere un'occasione favorevole alla morte di Festo mentre Albino era ancora in viaggio: così convocò i giudici del Sinedrio e introdusse davanti a loro un uomo di nome Giacomo, fratello di Gesù, che era soprannominato Cristo, e certi altri, con l'accusa di avere trasgredito la Legge, e li consegnò perché fossero lapidati.
MARA BAR SERAPION
Stoico siriano ebreo in una lettera al fratello Serapione così scrive:
"Che vantaggio trassero gli ateniesi dal condannare a morte Socrate?... gli uomini di Samo dal bruciare Pitagora?... i giudei dal giustiziare il loro sapiente Re?
Fu proprio dopo tale [delitto] che il loro regno fu distrutto [evidentemente la distruzione di Gerusalemme].
Dio giustamente vendicò questi tre uomini saggi: gli ateniesi morirono di fame; gli uomini di Samo furono sopraffatti dal mare; i giudei, rovinati e cacciati dalla loro terra, vivono in completa diaspora.
Ma Socrate non morì per i buoni; continuò a vivere nell'insegnamento di Platone.
Pitagora non morì per i buoni; continuò a vivere nella statua di Hera. Né morì per i buoni il Re sapiente; continuò a vivere nell'insegnamento che aveva impartito"
(Manoscritti siriaci del British Museum: Supplemento 14, 658).
PUBLIO CORNELIO TACITO
ANNALI (Vita di Claudio Nerone)
Ma non le risorse umane, non i contributi del principe, non le pratiche religiose di propiziazione potevano far tacere le voci sui tremendi sospetti che qualcuno avesse voluto l'incendio. Allora, per soffocare ogni diceria, Nerone spacciò per colpevoli e condannò a pene di crudeltà particolarmente ricercata quelli che il volgo, detestandoli per le loro infamie, chiamava cristiani. Derivavano il loro nome da Cristo, condannato al supplizio, sotto l'imperatore Tiberio, dal procuratore Ponzio Pilato
GAIO SVETONIO TRANQUILLO
Vita dei Cesari
Poiché i Giudei si sollevavano continuamente su istigazione di un certo Cresto, li scacciò da Roma.
EUSEBIO DI CESAREA
Storia Ecclesiatica, Libro II (cap. 2)
1. La miracolosa risurrezione del Salvatore nostro e la sua ascensione al cielo erano già note da tempo alle genti. E poiché una consuetudine antica imponeva ai governatori provinciali di segnalare all'autorità dell'imperatore ciò che di nuovo accadesse nel loro territorio così che nessun fatto gli sfuggisse, Pilato informò l'imperatore Tiberio della risurrezione dai morti del Salvatore nostro Gesù, cosa di cui parlava ormai tutta la Palestina.
2. Ed era venuto a sapere anche degli altri suoi miracoli, e che la folla lo credeva già Dio, risuscitato dai morti dopo la passione. Dicono che Tiberio riferì questo in Senato per l'approvazione, ma la proposta venne respinta, in apparenza perché non era stata sottoposta a previo esame - un'antica legge comandava in-fatti ai Romani di non riconoscere nessuno come Dio, se non per voto e decreto del Senato -, ma in realtà perché l'insegnamento salutare del messaggio divino non aveva bisogno né della conferma né dell'appoggio degli uomini.
3. Così il Senato romano respinse la relazione sottopostagli a proposito del Salvatore nostro, ma Tiberio mantenne l'opinione che aveva e non escogitò alcun male contro la dottrina di Cristo.
QUINTO SETTIMIO FIORENTE TERTULLIANO
Apologia (Citaz. riportata anche da Eusebio di Cesarea)
1. Per dire una parola sull'origine di tali leggi, esisteva un vecchio decreto, che nessun dio fosse da un capitano consacrato, se l'approvazione del senato ottenuto questo dio non avesse. Lo sa Marco Emilio del suo dio Alburno. Anche questo fa alla nostra causa, che tra di voi l'accoglimento di una divinità dall'arbitrio degli uomini viene fatto dipendere. Se un dio dell'uomo il gradimento non avrà incontrato, non sarà dio: sarà ormai l'uomo, che dovrà mostrarsi propizio al dio.
2. Dunque Tiberio, al tempo del quale il Cristianesimo entrò nel mondo, i fatti annunziatigli dalla Siria Palestina, che colà la verità avevano rivelato della Divinità stessa, sottomise al parere del senato, votando egli per primo favorevolmente. Il senato, poiché quei fatti non aveva esso approvati, li rigettò. Cesare restò del suo parere, pericolo minacciando agli accusatori dei Cristiani.
3. Consultate le vostre memorie: vi troverete che Nerone per la prima volta con la spada imperiale contro questa setta infierì, che proprio allora sorgeva in Roma. Di un tale iniziatore della nostra condanna anche ci gloriamo. Chi infatti costui conosce, può comprendere che non poté non essere un qualche gran bene quello che fu da Nerone condannato.
Publio Lentulo
Lettera di Publio Lentulo a Tiberio
Ho inteso, o Cesare, che desideri sapere quanto ora ti narro: esiste qui un uomo, chiamato Gesù Cristo, il quale vive di grandi virtù.
Dalla gente è detto profeta, ed i suoi discepoli lo tengono per divino, e dicono che egli è figlio di Dio, Creatore del cielo e della terra, e di tutte le cose che in essa si trovano e sono fatte.
In verità, o Cesare, ogni giorno si sentono cose meravigliose di questo Cristo: risuscita i morti, e sana gli infermi con una sola parola.
Uomo di giusta statura, è molto bello di aspetto; ed ha grande maestà nel Volto, e quelli che lo mirano sono forzati ad amarlo e temerlo.
Ha i capelli color della nocciola ben matura; sono distesi sino alle orecchie, e dalle orecchie sino alle spalle sono color della terra, ma più risplendenti.
Ha nel mezzo della fronte in testa il crine spartito ad usanza dei Nazareni, il volto senza ruga, o macchia, accompagnato da un colore modesto.
Le narici e le labbra non possono da alcuno essere descritte. La barba è spessa ed ha somiglianza dei capelli, non molto lunga, ma spartita nel mezzo.
Il suo mirare è molto severo e grave: ha gli occhi come i raggi del sole, e nessuno può guardarlo fisso per lo splendore; e quando ammonisce si fa amare, ed è allegro con gravità.
Dicono che nessuno l'ha mai veduto ridere, ma bensì piangere.
Ha le mani e le braccia molto belle; nella conversazione contenta molti, ma si vede di rado; e quando Lo si trova, è molto modesto all'aspetto, e nella presenza è il più bell'uomo che si possa immaginare, tutto simile alla madre, la quale è la più giovane che siasi mai vista in queste parti.
Però se la Maestà tua, o Cesare, desidera di vederlo come negli avvisi passati mi scrivesti, fammelo sapere, che non mancherò subito di mandartelo.
Di lettere fa stupire la città di Gerusalemme.
Egli non ha studiato giammai con alcuno, eppure sa tutte le scienze.
Cammina scalzo, senza cosa alcuna in testa; molti ne ridono in vederlo, ma in presenza sua nel parlare con lui tremano e stupiscono.
Dicono che un tal uomo non è mai stato veduto, né inteso in queste parti.
In verità secondo quanto mi dicono gli ebrei non si è sentito mai nessuno di tali consigli, di così grande dottrina, come insegna questo Cristo, e molti Giudei lo tengono per divino e lo credono; e molti altri me lo querelano con dire che è contro la Maestà tua, o Cesare.
Si dice che non ha mai fatto dispiacere ad alcuna persona, anzi, tutti quelli che lo conoscono e che L'hanno incontrato dicono di aver ricevuto benefizi e sanità.
O Cesare, alla Maestà tua, alla tua obbedienza sono prontissimo: quanto mi comandi sarà eseguito. Vale.
Da Gerusalemme ripartizione settima, luna undicesima.
Della Maestà tua fedelissimo e obbedientissimo.

Publio Lentulo (Governatore della Giudea)
La Lettera, tradotta dal latino originale
.
Bisogna dire che gli storici ritengono la lettera di Publio Lentulo un falso di epoca molto posteriore a Gesù.
I riferimenti che fanno ritenere falsa questa lettera sono :

1. sembra non sia mai esistito un Publio Lentulo che abbia governato la Giudea, soprattutto prima di Pilato
2. il Vangelo di Luca indica come prefetto della Giudea Ponzio Pilato già all'epoca in cui Gesù inizia la predicazione.
Le indicazioni storiche di Giuseppe Flavio danno Pilato prefetto di Giudea dal 26 D.C. mentre Gesù secondo il Vangelo avrebbe iniziato la predicazioni a partire dal 15 anno di regno di Tiberio (29-30 D.c.).
3. Vengono usati toni ed espressioni su Gesù che un romano non avrebbe mai usato.
4. non esisteva la parola governatore ma in genere il titolo usato dai Romani era "Procuratore".
5. la data sarebbe dovuta essere indicata nel modo romano.
Questa lettera sarebbe una lettera tradotta in latino forse da un originale scritto in greco non più esistente.
La datazione della lettera è incerta la maggior parte degli storici la indicano scritta nel medievo mentre un altro storico dell'ottocento un certo Munter la da per scritta durante il periodo di Diocleziano.


Flavio Giuseppe - Antichità Giudaiche
Libro XVII:342
Nell'anno decimo del regno di Archelao, i magistrati dei Giudei e dei Samaritani, trovarono insopportabile la sua crudeltà e tirannia e l'accusarono davanti a Cesare, non appena seppero che Archelao aveva disobbedito alle sue (di Cesare) istruzioni di mostrarsi moderato verso di loro.
Libro XVII:355
Ora la regione soggetta ad Archelao fu annessa alla Siria e Quirino, persona consolare, fu mandato da Cesare a compiere una stima delle proprietà in Siria e vendere il patrimonio di Archelao.
Libro XVIII:1
Quirino, senatore romano passato attraverso tutte le magistrature fino al consolato, persona estremamente distinta sotto ogni aspetto, giunse in Siria, inviato da Cesare affinché fosse il governatore della nazione e facesse la valutazione delle loro proprietà.
Libro XVIII:2
Anche Coponio, di ordine equestre, visitò la Giudea, fu inviato con lui per governare su di essi con piena autorità. Quirino visitò la Giudea, allora annessa alla Siria, per compiere una valutazione delle proprietà dei Giudei e liquidare le sostanze di Archelao.
Libro XVIII:3
All'inizio i Giudei, sentendo parlare del censimento delle proprietà, lo accolsero come un oltraggio, gradualmente però acconsentirono, raddolciti dagli argomenti del sommo sacerdote Joazar, figlio di Boeto, a non proseguire nella loro opposizione; così quanti furono da lui convinti dichiararono, senza difficoltà, i beni di loro proprietà.
Libro XVIII:26 - II, I
Quirino vendette i beni di Archelao, e nello stesso tempo ebbero luogo le registrazioni delle proprietà che avvennero nel trentasettesimo anno dalla disfatta di Azio, inflitta da Cesare ad Antonio. Essendo il sommo sacerdote Joazar sopraffatto da una sedizione popolare, Quirino gli tolse la dignità del suo ufficio e costituì sommo sacerdote Anano, figlio di Seth.
Libro XVIII:29 - 2
Durante il periodo nel quale Coponio aveva l'amministrazione degli affari della Giudea che, come ho detto, fu sostituito da Quirino, accadde l'evento che sto per riferire. Nella festa degli Azzimi che noi chiamiamo Pasqua, i sacerdoti sogliono aprire i portoni del tempio dopo mezzanotte.
Libro XVIII:31
Dopo breve tempo, Coponio ritornò a Roma. Nell'ufficio gli succedette Marco Ambivolo; durante la sua amministrazione morì Salome, sorella del re Erode. Lei lasciò Giulia erede di Jamnia, del suo territorio, così anche di Fasaele, sulla pianura e di Archelaide ove si trova una grande piantagione di palme i cui datteri sono di eccellente qualità.
Libro XVIII:32
Il successore di Ambivolo fu Annio Rufo, la cui amministrazione fu segnata dalla morte di Cesare, secondo imperatore dei Romani che governò cinquantasette anni, sei mesi e due giorni: per quattordici tenne l'autorità con Antonio; morì che aveva settantasette anni.
Libro XVIII:33
Dopo Cesare, salì sul trono Tiberio Nerone, figlio di sua moglie Giulia; egli inviò Valerio Grato a succedere ad Annio Rufo quale governatore sui Giudei.
Libro XVIII:34 Grato depose Anano dal suo sacro ufficio e proclamò sommo sacerdote Ismaele, figlio di Fabi; dopo un anno lo depose e, in sua vece, designò Eleazaro, figlio del sommo sacerdote Anano. Dopo un anno depose anche lui e all'ufficio di sommo sacerdote designò Simone, figlio di Camitho.
Libro XVIII:35
L'ultimo menzionato tenne questa funzione per non più di un anno e gli successe Giuseppe, che fu chiamato Caifa. Dopo questi atti Grato si ritirò a Roma dopo essere stato in Giudea per undici anni. Venne come suo successore Ponzio Pilato.






http://www.vangeliapocrifi.it/gesu.php

Se Gesù sapeva che Giuda lo avrebbetradito, perché l’ha tenuto sino alla fine nella cerchia dei più vicini?


Dalla comunita' di Taize'
GIUDA
Se Gesù sapeva che Giuda lo avrebbetradito, perché l’ha tenuto sino alla fine nella cerchia dei più vicini?
Tra i numerosi discepoli che lo seguivano, Gesù ne designò dodici per stare più vicini a lui, per condividere e continuare la sua missione. Non è alla leggera che istituì questo gruppo dei dodici apostoli, ma lo ha fatto dopo aver pregato tutta la notte.

Però, a un dato momento, Gesù si rese conto di un rovesciamento in Giuda, uno dei dodici. Gesù comprese che si staccava interiormente da lui, e anche che lo avrebbe «tradito», come dicono i vangeli. Secondo il vangelo di Giovanni, già in Galilea, molto prima degli avvenimenti di Gerusalemme che dovevano portarlo alla croce, Gesù capì cosa stava succedendo (Giovanni 6,70-71). Perché allora non ha allontanato Giuda dal suo seguito, ma l’ha tenuto accanto a sé sino alla fine?

Una parola che Gesù usa per parlare della creazione del gruppo dei dodici apostoli mette su una pista: «Non ho forse scelto io voi, i Dodici?» (Giovanni 6,70; vedi anche Giovanni 13,18). Il verbo scegliere o eleggere è un termine chiave nella storia biblica. Dio ha scelto Abramo, ha eletto Israele per farne suo popolo. È dunque la scelta di Dio che costituisce il popolo di Dio, il popolo dell’alleanza. Ciò che rende l’alleanza stabile è che Dio sceglie d’amare Abramo e i suoi discendenti per sempre. L’apostolo Paolo commenterà: «I doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili» (Romani 11,29).

Poiché Gesù ha scelto i dodici come Dio ha scelto il suo popolo, non poteva rinviare Giuda, anche quando capì che lo avrebbe tradito. Sapeva che doveva amarlo sino alla fine per attestare che la scelta di Dio era irrevocabile. I profeti, in particolare Osea e Geremia, hanno parlato nel nome di un Dio ferito e umiliato dal tradimento del suo popolo, e che tuttavia non cessa d’amare d’un amore eterno. Gesù non voleva e non poteva fare di meno: umiliato dal tradimento di uno dei suoi intimi, non cessò di mostrargli il suo amore. Abbassandosi davanti ai suoi discepoli per lavar loro i piedi, si fece il servo di tutti, anche di Giuda. Ed è in modo particolare a Giuda che diede un pezzo di pane condiviso: frammento d’amore ardente che costui portò con sé nella sua notte (Giovanni 13,21-30).

Se voleva essere fedele al Padre suo – al Dio che aveva scelto Abramo e Israele, al Dio dei profeti – Gesù non poteva fare altrimenti che mantenereGiuda accanto a sé sino alla fine. Egli amava Giuda anche quando questi era interamente preso dalle sue tenebre. «La luce splende nelle tenebre» (Giovanni 1,5). Il Vangelo dice che è nel momento in cui dava il suo amore a Giuda, d’averlo amato in perdita e senza misura, che Gesù «fu glorificato» (Giovanni 13,31). Nella notte più opaca del risentimento e dell’odio, egli manifestò l’irradiamento inaudito dell’amore di Dio.

Perché i vangeli sono così discreti sui motivi di Giuda?
È sorprendente che i primi cristiani non abbiano tenuto sotto silenzio il fatto che uno dei dodici apostoli consegnò Gesù alle autorità ostili. Poiché questo fatto getta un dubbio sulla persona di Gesù stesso: si era sbagliato nella scelta dei suoi compagni? Ma è anche sorprendente che i vangeli dicano pressappoco nulla sui motivi di Giuda. Fu deluso quando comprese che Gesù non era un messia con un programma di liberazione politico? Pensò d’agire nell’interesse del suo popolo mettendo fine alla carriera di Gesù? Certuni hanno supposto che agisse per l’attrattiva del lucro; altri, invece, che era per amore, per aiutare Gesù a donare la sua vita…

Per quanto riguarda il perché di ciò che Giuda ha fatto, nei vangeli ci sono solo due indicazioni. Una è l’evocazione del diavolo: è lui che «aveva messo in cuore a Giuda di tradirlo» (Giovanni 13,2). Ma ciò rende l’enigma ancora più fitto. Il diavolo, o satana, è colui che si oppone, rimprovera, calunnia. Gesù percepì il risentimento che era nato nel cuore di Giuda e che vi si era radicato fino al punto di non ritorno. Però sul perché, non una parola, non un’allusione.

L’altra indicazione, è il riferimento alle Scritture sante. A proposito del tradimento di Giuda, Gesù dice: «affinché si compia la Scrittura: Colui che mangiava il mio pane, alza contro di me il suo calcagno» (Salmo 41,10 citato in Giovanni 13,18). Bisogna capire bene qual è, nei vangeli, il senso di questo riferimento alle Scritture sante. Esse non sono un copione che determinerebbe in anticipo il ruolo di ogni attore. Ogni lettore attento della Bibbia sa bene come essa propone delle scelte e mette ciascuno davanti alle sue responsabilità.

Citando il versetto del salmo: «Colui che mangiava il mio pane, alza contro di me il suo calcagno» (Salmo 41,10), Gesù non afferma che Giuda non poteva agire diversamente, ma che Dio resta l’attore principale di quel che si sta giocando. C’è il dramma del tradimento, e allo stesso tempo Dio è all’opera. Poiché se ciò che Giuda sta facendo compie la Scrittura, è che, in modo misterioso, il progetto di Dio si realizza, Dio compie la sua parola (Isaia 55,10-11). Il riferimento alla Scrittura permette di credere in Dio anche nella notte, anche quando ciò che capita è incomprensibile.

Se il risentimento e l’odio di Giuda rimangono incomprensibili, l’amore di Gesù«sino alla fine» è ancor più al di là di ogni comprensione. I vangeli sono così discreti circa i motivi di Giuda perché non vogliono soddisfare la nostra curiosità, ma condurci alla fede. Non svelano l’abisso di tenebre del dramma diGiuda, ma rivelano l’insondabile e incomprensibile profondità de



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