sabato 13 dicembre 2008

Gesù, Messia e Figlio di Dio

LA STORICITÀ DI GESÙ

Gesù, Messia e Figlio di Dio


Per riprendere il cammino
LA DOMANDA FONDAMENTALE – Nell’affrontare la vicenda storica di Gesù, così come è narrata nei Vangeli, più volte ci siamo incontrati con la domanda: chi è dunque Gesù? La sua personalità singolare e sorprendente, la sua predicazione, i gesti da lui compiuti e, in particolare, la modalità della sua morte violenta, spingono a chiedersi: chi è realmente questo personaggio? Il fatto che sia stato identificato dai suoi discepoli e dalla primitiva comunità cristiana come Messia e Figlio di Dio è attendibile?

IL PROBLEMA – Questo è il problema che vogliamo affrontare: Gesù ha realmente affermato, nella sua vita terrena, di essere Messia e Figlio di Dio, oppure tale affermazione non è sua ma è stata messa sulla sua bocca dalla primitiva comunità cristiana? Siamo ricondotti, ancora una volta, al problema della credibilità storica dei vangeli: per dare risposta a una simile domanda, è necessario interrogarsi sulle caratteristiche della primitiva comunità cristiane e sulle modalità con cui il messaggio di Gesù è stato trasmesso.



La formazione dei vangeli e la loro credibilità
ALCUNE CERTEZZE MESSE IN DUBBIO – Fino a metà del secolo scorso la credibilità storica dei vangeli non era mai stata messa seriamente in discussione. Si riteneva che questi testi risalivano ad autori sicuri (Matteo, Marco, Luca, Giovanni), che avevano conosciuto da vicino i fatti di cui parlavano e non avevano motivi per ingannare i loro ascoltatori. In seguito, però, la scoperta che i vangeli non sono una registrazione immediata di ciò che è avvenuto Luca e Marco non sono testimoni oculari), ma sono passati attraverso un processo di formazione (iniziato con la predicazione orale) ha fatto sorgere dei dubbi, accentuati dal fatto che questi testi sono chiaramente opera di credenti, i quali cercano di persuadere e istruire altri.

LA COMUNITA DI VITA DI GESÙ CON I DOCICI – Durante la sua vita terrena, Gesù aveva raccolto attorno a sé dei discepoli: non si è presentato in Israele come un profeta isolato, ma come un maestro, anche se originale. Contrariamente a quanto avveniva a quel tempo, quando erano le persone che desideravano dedicarsi allo studio della Legge a scegliersi i loro maestri tra i rabbì più noti e autorevoli, Gesù scelse lui stesso i suoi discepoli (i Dodici) nella cerchia più larga di persone che lo seguivano (tra cui non poche donne). Questa comunità di vita di Gesù con i Dodici è già tale, da sola, da favorire il sorgere di tradizioni sull’insegnamento di Gesù. Essa crea quel contatto familiare e quotidiano che fa assimilare in modo profondo le idee e i principi del maestro.

Ma c’è in Gesù una qualità particolare che favorisce ancora di più l’imprimersi dei ricordi. Il suo insegnamento non è di carattere puramente progressivo e teorico (come in una scuola), ma pratico e occasionale, legato alle circostanze della vita quotidiana, fatto di parole brevi e penetranti, espresso in formule originali e talora paradossali (non con un linguaggio astruso e incolore). Con molta probabilità, secondo il metodo comune ai maestri religiosi di allora, Gesù ripeteva più volte lo stesso insegnamento e anche la forma letteraria utilizzata era tale da facilitare l’apprendimento (ad esempio l’andamento ritmico delle frasi, l’uso di antitesi frequenti, le immagini prese dalla vita vissuta). Infine, la comunità di vita dei discepoli con il maestro, i fatti drammatici cui parteciparono insieme e soprattutto i momenti della passione, si impressero nella loro mente con quella intensità con cui si imprimono in noi quegli episodi di cui abbiamo particolarmente goduto o sofferto.

LA PREDICAZIONE DEGLI APOSTOLI – Nei Vangeli possiamo dunque risentire il timbro genuino di molte parole di Gesù. Ma tra la comunità di vita di Gesù con i Dodici e la stesura dei vangeli che noi possediamo c’è di mezzo un periodo abbastanza lungo (circa 30 anni): quello della primitiva predicazione. Quali caratteristiche aveva tale predicazione? Ha potuto cambiare l’insegnamento originale o inventare qualcosa?

Prima di tutto si tratta di una predicazione che non si appoggia sulla fantasia o sul sentito dire, ma che voleva essere storicamente fondata, cioè riportare i fatti e i detti di Gesù così come i testimoni degni di fede li avevano percepiti.
In secondo luogo, non si tratta di una predicazione lasciata alla libera iniziativa di chiunque, tanto meno di fanatici. Essa era rigorosamente riservata agli apostoli e a coloro che avevano ricevuto da essi il mandato di predicare. Le notizia che si tramandavano si Gesù erano quindi parte di una predicazione organizzata e controllata.
Per di più, l’ambiente a cui gli Apostoli affidano la trasmissione del messaggio evangelico era un ambiente che dava grande valore alla “tradizione”. Proprio la tradizione orale garantisce la fedeltà nella trasmissione dei ricordi su Gesù ancor più di una registrazione meccanica che fissa il timbro di voce ma non riproduce l’anima.
Evidentemente, questa predicazione apostolica era una predicazione “viva”. Pur mantenendosi fedelissima al messaggio di Gesù, essa poteva – come ogni predicazione – permettersi di adattare all’uditorio ciò che doveva essere detto. Proprio questa possibilità di adattamento garantiva la fedeltà al messaggio, affinché esso non restasse pura lettera, ma fosse inteso secondo il suo vero spirito. Inoltre, è una predicazione viva perché non si limita a ripetere materialmente le parole dei testimoni, ma è sorretta dalla fede nella risurrezione di Gesù (che permette di comprendere meglio il significato della sua vicenda storica) e dall’azione dello Spirito, espressamente promesso da Gesù.
GLI EVANGELISTI SCRIVONO – La predicazione primitiva, che viene chiamata anche il “vangelo orale”, ad un certo punto viene messa per iscritto. E’ una esigenza della comunità, sia per tornare sopra con più agio a quanto veniva trasmesso, sia per formare con più facilità nuovi predicatori. Se i testi che noi possediamo sono dunque scritti da credenti, ciò non toglie la certezza del loro valore storico, anzi, ne è una conferma: proprio perché scritti da persone che aderivano a Gesù, i vangeli e gli scritti del Nuovo Testamento mostrano la preoccupazione di riferire accuratamente i suoi fatti e le sue parole.



Possibilità di una frode
Abbiamo a questo punto, la certezza morale – l’unica che si può avere in campo storico – che i vangeli riportano sostanzialmente quanto ha detto e fatto Gesù di Nazareth, e quindi anche la sua affermazione di essere Messia (crocifisso) e Figlio (di Dio), sia pure espressa in maniera velata e allusiva (confermando le parole di altri e parlando di sé come del “Figlio dell’uomo”). Ci si può chiedere a questo punto se – nonostante quello che si è detto – non siano stati altri ad attribuire a Gesù i caratteri di Messia e di Figlio di Dio. Ciò non è storicamente possibile! Infatti, i primi che hanno creduto a Gesù Messia e Figlio di Dio erano ebrei, e quindi rigidi monoteisti, che mai avrebbero potuto pensare di dare a JHWH un figlio: se lo confessano, è perché Gesù stesso lo ha affermato. Inoltre, in quanto ebrei aspettavano il Messia davidico, glorioso e potente, e mai avrebbero creduto in Gesù, il Messia crocifisso, se Gesù non avesse spiegato loro tale messianicità.

Taluni asseriscono che sia stato Paolo di Tarso a fare di Gesù il Figlio di Dio; ma si deve ricordare che egli era un pio ebreo, della setta dei farisei, e aveva approvato l’uccisione di Stefano proprio perché questi, dinanzi al sinedrio, aveva confessato la divinità di Gesù. Alcuni hanno affermato che sono state le comunità ellenistiche a fare di Gesù un “uomo divino”, un “Figlio di Dio”, sull’esempio dei “semidei” che erano uomini divinizzati nella mitologia greca. In realtà, le comunità cristiane ellenistiche sono fondate e dirette da ebrei, come Paolo e Barnaba, e fin dal principio adorano Gesù come Figlio di Dio, Signore e Salvatore. Ora è impensabile che Paolo, da cristiano di origine ebraica qual era, assumesse dalla mitologia greca l’idea di “uomo divino” per attribuirla a Gesù. Gesù, dunque, ha parlato di sé come “Messia” e “Figlio di Dio”. Perché?



Gesù è stato sincero?
Gesù si è proclamato Messia e Figlio di Dio. Ha dunque avuto la piena e chiara coscienza di non essere semplicemente uomo, ma di essere il Messia promesso a Israele e, ancor più, di essere il Figlio, di avere cioè nei confronti di Dio un rapporto di figliolanza così singolare da poterlo chiamare “abbà” (Padre). Di fronte a questo fatto si pongono due domande.

CONTRO OGNI IPOCRISIA – Ciò che maggiormente risalta della personalità di Gesù, infatti, è la sua sincerità e ciò che egli ha maggiormente in orrore è l’ipocrisia e la menzogna. Gli stessi suoi avversari riconoscono la sua sincerità: “Maestro, sappiamo che sei veritiero e non ti curi di nessuno; infatti non guardi in faccia agli uomini, ma secondo verità insegni la via di Dio” (Mc 12,14). Gesù smaschera con durezza ogni ipocrisia, dovunque essa si trovi e comunque si esprima, in particolare in campo religioso. Parrebbe impensabile che egli stesso sia caduto in ciò che così duramente condanna: che quindi sia stato insincero e ipocrita. Una simile evenienza è contro le leggi più elementari della psicologia. Del resto, i suoi avversari lo accusano di molte trasgressioni, ma non di essere falso e insincero.

SENZA CERCARE IL PROPRIO INTERESSE – Che Gesù, non solo nel comportamento esteriore, ma anche nel suo intimo, sia profondamente sincero e non cerchi di ingannare i suoi interlocutori lo mostra il fatto che egli non cerca il successo, il potere, la gloria e tanto meno il denaro. Non approfitta del successo riscosso tra le folle nei primi tempi della sua predicazione, stronca ogni entusiasmo messianico e proibisce di parlare di quanto egli ha fatto a favore dei malati. Gesù impone il segreto sulla sua persona tanto alle persone da lui guarite quanto ai discepoli che lo seguono, non volendo far credere loro di essere ciò che egli non era e non voleva essere, cioè un Messia “politico”, lungamente atteso da tutto Israele.

FINO ALLA MORTE – Ma non è tutto. La sua sincerità porta Gesù all’apparente fallimento della sua missione e alla morte. Egli lo sa e lo accetta. Potrebbe evitare questo tragico destino, ma solo a costo di essere insincero e falso, di non dire la verità, di mentire a se stesso e agli altri. All’inizio del suo ministero le folle gli corrono dietro: sono affascinate dalla sua parola e soprattutto dai segni che compie. Ma presto si manifesta fra lui e le folle una profonda incomprensione: le folle non accolgono il suo vangelo e l’invito alla conversione, ma cercano solo benefici materiali.

Ad un certo punto Gesù si distacca dalle folle che si diradano attorno a lui, deluse del fatto che egli non corrisponde alle loro attese, per consacrarsi all’istruzione e alla formazione dei pochi discepoli che gli rimangono fedeli, ma tra i quali non manca di serpeggiare una certa delusione, che a un certo momento sfocerà in un vero e proprio abbandono. Anche gli scribi e i farisei al principio non nutrono particolare avversione nei suoi riguardi, ma Gesù non cerca di accattivarsi il loro animo, anzi entra spesso in polemica con alcuni di loro, senza cercare facili accordi. Ma la sincerità di Gesù appare nella maniera più chiara e più forte quando compare di fronte al Sinedrio ebraico per essere giudicato. Pur sapendo di andare incontro alla morte, non retrocede.

GESÙ POTREBBE ESSERSI INGANNATO – Da quanto detto, non possiamo dubitare della sincerità di Gesù. Nasce però un secondo problema: se Gesù è stato assolutamente sincero e se non ha avuto la minima intenzione e volontà di ingannare, si può affermare con certezza che egli stesso non si sia ingannato, credendo di essere il Messia e il Figlio di Dio, mentre in realtà non lo era? Si può escludere che Gesù sia stato un “esaltato” in campo religioso, una persona affetta da megalomania religiosa, come ce ne sono stati tanti nel passato e ce ne sono ancora oggi? Per risolvere questo problema bisogna esaminare lo stato di salute fisica e mentale di Gesù.

LO STATO DI SALUTE FISICA DI GESÙ – Quanto allo stato di salute fisica, nei Vangeli non se ne parla direttamente. Non si parla mai, certo, di malattie di cui Gesù avrebbe sofferto; ma ciò è solo un indizio del suo buono stato di salute fisica, non però un argomento. Tuttavia Matteo ricorda che Gesù, guarendo i malati, ha adempiuto l profezia di Isaia: “Egli ha preso le nostre infermità e si è addossato le nostre malattie” (Mt 8,17). Se Gesù fosse stato malato, l’evangelista avrebbe visto la realizzazione di tale profezia non nel fatto che Gesù ha preso su di sé, guarendole, le malattie degli altri, ma che, malato egli stesso, ha partecipato alla condizione umana, spesso toccata dalla malattia, e in tal modo ha caricato sulle sue spalle il male del mondo. Ad ogni modo, l’argomento più forte che si può portare a favore della perfetta sanità fisica di Gesù è l’enorme mole di lavoro apostolico che egli ha svolto nella sua vita, in condizioni di estremo disagio fisico e spirituale. Per oltre due anni ha condotto una vita itinerante, con giornate di intenso lavoro, passano spesso le notti in preghiera, senza avere a volte il tempo (né lui né i discepoli) di mangiare, tenuto d’occhio e quasi braccato dai suoi avversari.

LO STATO DI SANITA MENTALE DI GESÙ – Anche su questo punto i Vangeli non forniscono nessuna testimonianza diretta. Abbiamo però molti indizi indiretti che ci portano a concludere che Gesù ha goduto di una perfetta sanità mentale. Anzitutto, manca in lui ogni segno di esaltazione religiosa o che potrebbe far pensare a ciò. La sua religiosità è intima, profonda: frequenta come ogni pio ebreo la sinagoga, dove ogni tanto gli chiedono di leggere e di spiegare le Scritture, ma soprattutto ama la preghiera silenziosa e nascosta. Ed è ciò che insegna anche ai suoi discepoli. Non si notano in lui fenomeni di ordine mistico, come estasi, rapimenti, visioni di Dio o di esseri soprannaturali.

IL SANO REALISMO DI GESÙ – Ciò che meglio dimostra la sanità mentale di Gesù è il suo realismo. Gesù è tutt’altro che un sognatore. Ha invece i piedi ben piantati per terra. Non si fa perciò illusioni né sulle persone, né sul successo della sua predicazione, né sul suo destino finale che sarà un destino di morte. Certamente non è un pessimista, perché sa vedere, in particolare nei poveri, nei semplici e nei bambini, un’apertura a Dio, una disponibilità ad accogliere il suo messaggio, così come vede nei peccatori, nei pubblicani e nelle prostitute un cuore capace di aprirsi alla salvezza. Tuttavia, senza essere pessimista, è realista: egli sa che cosa c’è nel cuore dell’uomo (cfr. Gv 2,23-25). Questo realismo gli fa subito comprendere che la sua predicazione è destinata all’insuccesso (cfr. Mc 6,4). Non si fa perciò illusioni quando vede folle immense che si accalcano attorno a lui e neppure si fa illusioni sulla fedeltà dei suoi discepoli (cfr. Gv 6,64). Soprattutto Gesù non si fa illusioni su quale sarà il suo destino. Egli sente che la diffidenza che scribi e farisei nutrono nei suoi riguardi all’inizio del suo ministero, per il fatto che il suo modo di insegnare si discosta da quello tradizionale, si tramuterà presto in odio mortale.



Una conclusione ragionevole
Gesù dunque è veramente il Messia e il Figlio di Dio? Per quanto incredibile ciò possa sembrare, abbiamo valide ragioni per dire di sì. Non sono ragioni che “costringono” a compiere l’atto di fede, perché questo rimane sempre un atto libero dell’uomo che risponde all’invito di Dio. Sono però ragioni serie, le quali mostrano che l’atto libero di fede è ragionevole, è fondato su motivi validi.

Tale affermazione ha poi avuto “conferma” nella vittoria sulla morte. Ed è quanto vedremo.

http://holy.harmoniae.com/gesu_09_messia.htm

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