sabato 24 luglio 2010

Quando sono stati scritti i Vangeli?


Quando sono stati scritti i Vangeli?


Una domanda che di tanto in tanto viene posta dalla gente è: "Se il Nuovo Testamento è stato scritto così tanto tempo dopo la morte di Cristo, come potete avere tanta fiducia nella narrazione della Sua vita?"


Nel datare i vangeli, la tendenza di diversi critici è di collocarli dopo la distruzione del Tempio di Gerusalemme (anno 70 dopo Cristo). Spesso si sente affermare che il Nuovo Testamento non è altro che l'espressione dei credi delle prime chiese 50-80 anni dopo la morte di Gesù. Se così fosse, dovremmo constatare l'influenza del pensiero ellenistico sul messaggio del Nuovo Testamento. In realtà, le prove storiche indicano che i libri neotestamentari furono scritti poco tempo dopo la morte di Cristo.

Ad esempio, il libro degli Atti, in cui è registrata l'attività missionaria della chiesa primitiva, fu redatto da Luca, scrittore dell'omonimo vangelo. Il libro degli Atti termina con l'apostolo Paolo ancora vivente, a Roma.
Questo libro può allora essere stato scritto prima della morte di Paolo, dal momento che gli altri maggiori eventi della sua vita vi sono narrati. Alcune prove indicano che Paolo fu messo a morte durante la persecuzione voluta da Nerone nel 64 d.C., pertanto è probabile che il libro degli Atti sia stato scritto prima di quell'anno.

Il vangelo di Luca, essendo stato scritto prima del libro degli Atti, dallo stesso scrittore, dev'essere dunque stato composto tra la fine del 50 e l'inizio del 60 d.C.. La morte di Cristo ebbe luogo intorno all'anno 30 d.C., il che porta la data di composizione del vangelo di Luca al massimo entro 30 anni da quegli eventi.

La chiesa primitiva generalmente insegnava che i primi vangeli ad essere stati redatti erano quelli di Marco e di Matteo, il che ci porta ancora più vicini al tempo di Cristo. Questo ci induce a ritenere che i primi tre vangeli furono tutti composti nell'arco di 20-30 anni dal tempo in cui ebbero luogo questi eventi, un periodo in cui gli oppositori dell'epoca erano in vita e potevano facilmente contraddire la loro testimonianza se non fosse stata accurata.

Recentemente, lo studioso J. Robinson (un noto teologo liberale) ha evidenziato - in uno studio di 380 pagine e 1300 note conclusive - che la datazione dei libri del Nuovo Testamento risale a molto prima di quanto diversi studiosi odierni pensano. Robinson ha dimostrato che l'intero Nuovo Testamento può essere stato completato prima dell'anno 70 d.C., dunque nel pieno del periodo in cui vivevano gli scrittori dei vangeli. Le prove indicano che i documenti furono scritti a brevissima distanza dagli eventi. Recentemente, un altro studioso, J. W. Wenham, ha pubblicato uno studio dettagliato in cui giunge alle stesse conclusioni di Robinson.

Robinson sottolinea che nel Nuovo Testamento non vi è alcun riferimento alle persecuzioni di Nerone nel 64 d.C., né all'uccisione di Giacomo, il fratello di Gesù, nel 62 d.C.; non viene neanche menzionata la rivolta dei Giudei contro i Romani, iniziata nel 66 d.C., né quell'evento catastrofico che fu la distruzione del Tempio di Gerusalemme nel 70 d.C..
Con tutta probabilità il Nuovo Testamento è stato completato prima del 70 d.C., forse anche prima del 64 d.C.. Si consideri infatti che la caduta del Tempio di Gerusalemme avrebbe alimentato la predicazione cristiana del messaggio che Gesù sostituiva il sistema sacrificale del Tempio (cfr. Giovanni 1:29, Ebrei 10:11 e segg.), e quindi il Nuovo Testamento avrebbe sicuramente fatto riferimento alla sua distruzione come avvenimento passato, se si fosse già verificata al tempo della stesura.

Dall'esame della coerenza interna, inoltre, lo studioso Tresmontant, fa notare come, ad esempio, in Giovanni 5:2 si legge che "a Gerusalemme, presso la porta delle Pecore, c'è [non "c'era", verbo estin in greco] una vasca, chiamata in ebraico Betesda, che ha cinque portici". Non avrebbe avuto senso dire questo se il libro fosse stato redatto dopo la distruzione di Gerusalemme, in quanto essa fu ridotta a un cumulo di pietre come Gesù aveva profetizzato decenni prima (cfr. Marco 13:1-2).

Nello studio di Robinson, 60 pagine e qualche centinaio di note sono dedicate alle prove della datazione dei seguenti libri del Nuovo Testamento:

1 Tessalonicesi: anno 45-50 d.C.
2 Tessalonicesi: anno 50-51
1 Corinzi: anno 55
1 Timoteo: anno 55
2 Corinzi: anno 56
Galati: anno 56
Romani: anno 57
Tito: anno 57
Filippesi: anno 58
Colossesi: anno 58
Efesini: anno 58
2 Timoteo: anno 58

Giacomo: 47-48 circa
Giuda: 61-62 circa
Pietro: 61-62 circa
Atti: 57-62 circa
2,3 e 1 Giovanni: periodo 60-65 circa
1 Pietro: anno 65

Marco: tra il 45-60
Matteo: tra il 40-60+
Luca: entro il 57-60+
Giovanni: probab. periodo 40-65+


Tra gli altri studiosi, anche Carsten P. Theide identifica e data i frammenti del Vangelo di Marco (7Q5) intorno all'anno 50 d.C., e stabilisce per gli altri libri una datazione molto simile a quella risultata dagli studi di Robinson.
Alle stesse conclusioni sono giunti anche C. Tresmontant, basandosi sull'analisi del linguaggio e sulle prove archeologiche, e successivamente J. Carmignac, filologo e famoso studioso di testi ebraici e dei rotoli del Mar Morto.

Orchard e Riley datano Matteo al 43 d.C., mentre Gunther Zuntz, un'autorità internazionale sul mondo ellenico, data Marco a non più tardi del 40 d.C. (dunque prima ancora di quanto sostenuto da Robinson).
K.L. Gentry, D. Chilton, e lo stesso Robinson, concludono inoltre che anche l'ultimo dei libri neotestamentari, il libro dell'Apocalisse, sia stato completato prima dell'anno 70 d.C..

La dott.ssa Eta Linnemann, che era stata in passata una critica negativa del Nuovo Testamento sulla scia di Rudolf Bultmann e Ernst Fuchs, ha rinnegato quelle convinzioni e ora esorta i propri lettori a "cestinare" le sue opere precedenti; ha scritto diversi saggi che demoliscono le posizioni dei moderni critici. Ella scrive:


"I testimoni oculari (tanto quelli ostili quanto quelli favorevoli) non scomparvero dalla scena in un lampo dopo due decenni. Molti verosimilmente sono sopravvissuti fino alla seconda metà degli anni 70 d.C... Chi in quel periodo avrebbe osato manomettere la 'tradizione primitiva' tanto da renderla irriconoscibile?"

Facciamo notare, infine, che molti critici dimenticano che i vangeli non potevano non venire scritti immediatamente dai primi Cristiani. Le prime comunità cristiane, infatti, provenendo dalla "Religione del Libro" (il Giudaismo), non potevano ignorare la necessità di scrivere accuratamente la storia di Gesù per confermarla da un punto di vista autorevole (quello apostolico), per far conoscere il messaggio ad essi affidato da Cristo, e per proteggerlo da false rappresentazioni ad opera di eretici, che esistevano anche al tempo apostolico.

Non vi è alcun motivo di credere che solo successivamente qualche discepolo degli apostoli abbia raccolto gli scritti apostolici e prodotto il Nuovo Testamento.
Gli apostoli Giovanni e Paolo incoraggiavano i Cristiani a leggere e a diffondere i loro scritti che già circolavano tra le chiese. L'apostolo Pietro scrisse: "So che presto dovrò lasciare questa mia tenda, come il Signore nostro Gesù Cristo mi ha fatto sapere. Ma mi impegnerò affinché dopo la mia partenza abbiate sempre modo di ricordarvi di queste cose. Infatti vi abbiamo fatto conoscere la potenza e la venuta del nostro Signore Gesù Cristo, non perché siamo andati dietro a favole abilmente inventate, ma perché siamo stati testimoni oculari della sua maestà" (2 Pietro 1:14-16).
Più avanti nella stessa epistola, egli convalida l'opera di Paolo e ne conferma l'uso come Scrittura canonica da parte della chiesa cristiana: "...come anche il nostro caro fratello Paolo vi ha scritto, secondo la sapienza che gli è stata data; e questo egli fa in tutte le sue lettere, in cui tratta di questi argomenti. In esse ci sono alcune cose difficili a capirsi, che gli uomini ignoranti e instabili travisano a loro perdizione come anche le altre Scritture" (2 Pietro 3:15,16).

Possiamo pertanto concludere che anche dal punto di vista storico la descrizione di Gesù Cristo offerta dai testimoni oculari che hanno scritto i vangeli è affidabile. E noi cristiani abbiamo constatato la verità delle parole del Nuovo Testamento e riconosciamo con l'apostolo che "queste cose sono state scritte affinché crediate che Gesù è il Cristo il Figlio di Dio e affinché, credendo, abbiate vita nel suo nome" (Giovanni 20:31).



Si vedano anche:

Le profezie della Bibbia su Cristo
Affidabilità storica e importanza della Bibbia
La Sacra Bibbia su questo sito

http://camcris.altervista.org/datavang.html

AUTENTICITA' DEI VANGELI


AutenticitA' dei Vangeli


" (...) se l'originale dei vangeli è davvero ebraico o aramaico è perché sono stati scritti subito, tra il 30 (anno probabile della morte di Gesù) e il 50, o poco più. In ogni caso, ricolto prima che, con la distruzione del 70, il vecchio Israele sia travolto e scompaiano gli intinti testimoni di ciò che è raccontato in quei testi".

( VITTORIO MESSORI, Patì sotto Ponzio Pilato?, SEI, Tosino 1992, p. 297)



1. La nostra indagine sulla credibilità del Cristianesimo ha affrontato, nel capitolo precedente, il problema della esistenza di Gesù Cristo e abbiamo visto, grazie alla documentazione in nostro possesso, che si tratta di un dato storicamente accertato.

2. Ora, tra i documenti che abbiamo preso in considerazione non abbiamo incluso i quattro Vangeli. E ciò non perché essi non siano da considerarsi storici, ma soltanto perché non abbiamo ancora esaminato il loro spessore di testimonianze affidabili, di documentazione attendibile. È ciò che cominceremo a fare ora.

3. Il cattolico sa che: "La santa madre Chiesa ha ritenuto e ritiene con fermezza e costanza massima che i quattro Vangeli, di cui afferma senza alcuna esistnza la storicità, trasmettono fedelmente quanto Gesù Figlio di Dio, durante la sua vita tra gli uomini, effettivamente operò e insegnò per la loro eterna salvezza" (Dei Verbum, 19). Sulla scorta di que­sta definizione, tratta da una Costituzione dogmatica del Concilio Vaticano II, il cattolico non nutre alcun dubbio che i Vangeli siano docu­menti storici autentici e veritieri.

4. Poiché quanto insegnato dalla Dei Verbum ha valore normativo solo per i cattolici, per accertare l'attendibilità storica dei Vangeli, e convincere di ciò chi la contesta, il cattolico deve percorrere altre strade, quelle tracciate dalla ricerca storica.

5. Molto semplificando, possiamo dire che la disciplina storica, quando incontra un documento scritto che riporta fatti accaduti in pas­sato, solitamente percorre queste strade:

- in primo luogo, ne accerta l'autenticità;

- poi verifica l'integrità del contenuto;

- quindi esamina quanto è scritto per accertare se corrisponde a fatti real­mente accaduti.

6. Ora, per mostrare a chi non crede che i Vangeli sono documenti storici, che riportano con fedeltà fatti realmente accaduti, il cattolico percorre la stessa strada indicata dallo storico.

7. Che cosa significa indagare sull'autenticità dei Vangeli? Vuol dire appurare in primo luogo che essi risalgano effettivamente all'età apostolica, ossia al I secolo, e poi che siano stati scritti realmente dagli autori cui sono attribuiti.

8. Che cosa significa indagare sull'integrità dei Vangeli? Vuol dire accertarsi che i Vangeli oggi in nostro possesso, quelli che abitualmente leggiamo, corrispondano nel contenuto esattamente a quelli che hanno redatto Matteo, Marco, Luca e Giovanni. Sarà necessario, dunque, sgomberare il campo da ogni possibile sospetto di manomissione, di mutilazione e di correzione del testo evangelico originale.

9. Che cosa significa indagare sulla veridicità dei Vangeli? Vuol dire:

- in primo luogo, controllare che i Vangeli siano stati scritti in epoca vicina ai fatti che narrano (e qui riprenderemo il discorso sull'autenticità dei Vangeli).

- poi, recuperare informazioni sui loro autori, perché interessa sapere se sono persone meritevoli di fiducia, competenti in materia e testimoni attendibili dei fatti che raccontano.

- infine, e questa è forse la parte più importante, accertare che i fatti nar­rati siano realmente accaduti.

10. Il cattolico sa che il problema relativo alla datazione dei Van­geli è molto importante. Vi sono certe correnti di pensiero, sostenute anche da qualche teologo e da qualche biblista, stando alle quali tra il Cristo della storia, cioè quello che è realmente vissuto, e la composizione dei Vangeli sarebbero intercorsi lunghi periodi di tempo, da 30 fino a 70 anni.

11. Quanti negano pieno valore di documentazione storica ai Van­geli ritengono che in questo lungo arco di tempo la Chiesa primitiva, mentre era in fase di organizzazione e con lo scopo di guadagnare nuovi fedeli, avrebbe divinizzato la persona di Gesù, attribuendogli parole ed opere che in realtà Egli non avrebbe mai pronunciato o compiuto.

12. Una vera e propria manipolazione, una autentica falsificazione della verità, quella compiuta dalla Chiesa primitiva nel redigere i Vangeli. Per rimediare, teologi, biblisti e studiosi, a partire da quelli di confes­sione protestantica, hanno dato il via ad un processo cosiddetto di "demitizzazione", con l'intento di eliminare dal testo dei Vangeli, e quindi dalla vita di Gesù Cristo, ogni parola e ogni episodio che non sarebbe razionalmente comprensibile.

13. Riguardo la scelta tra le parole e i fatti da conservare e quelli da eliminare nel testo evangelico, ogni studioso ha personali opinioni. Per alcuni, espressioni come "Io e il Padre siamo una cosa sola" sono puramente inventate. Impossibile che un uomo, un giudeo, abbia mai pronunciato queste parole che lo fanno uguale a Dio. Ma è anche impossibile che abbia camminato sulle acque, sfamato migliaia di persone con pochi pani e pesci, guarito all'istante ciechi, sordi e storpi, risuscitato il figlio della vedova di Nain, comandato alle forze della natura e che, dopo la morte, sia anche risuscitato. Tutto questo ripugna, secondo alcuni "studiosi", alla ragione umana. Nei Vangeli vi sarebbe stato aggiunto da mani ignote e interessate a tutto tranne che a trasmettere fedelmente la vita di Gesù Cristo.

14. Che cosa rimanga della vita di Gesù che meriti qualche inte­resse, dopo averla depredata di quanto abbiamo sopra ricordato, non è dato di capirlo bene. Per quanto ci riguarda, solo se le nostre tre piste di ricerca - autenticità, integrità, veridicità dei Vangeli - dovessero condurci a risultati positivi, solo in questo caso noi saremo autorizzati a trattare i Vangeli come documenti storici atendibili, credibili, meritevoli della nostra considerazione.

15. E se i Vangeli sono documenti storici attendibili, il cattolico li proporrà con schiettezza e semplicità a chi non crede, perché si renda conto dell'irragionevolezza delle sue convinzioni e si disponga, con l'aiuto della grazia di Dio, a convertirsi.



I Vangeli sono documenti del primo secolo

16. Una tradizione bimillenaria, giunta ininterrottamente fino a noi, attribuisce i Vangeli a quattro autori di nome Matteo, Marco, Luca e Giovanni, tutti vissuti - si dice - nel I secolo d.C. Come possiamo verificare la fondatezza di questa tradizione?

17. Il punto di partenza della nostra ricerca è un dato storico indiscutibile, perché di esso possediamo molte testimonianze. Subito dopo la morte di Gesù, il Cristianesimo si diffonde in numerose e vaste regioni dell'Impero di Roma. Proprio di questa capillare presenza rimangono molte tracce, anche archeologiche, che perfino un turista distratto può facilmente notare solo che viaggi in Terra Santa o in Asia Minore.

18. A Cipro, a Tessalonica, ad Atene, a Efeso, a Corinto (Grecia), in certe zone dell'Asia Minore (Panfilia, Pisidia, Galazia, Iconio e Colossi), Paolo fonda comunità cristiane che presto diventano fiorenti e si dotano, fin dal I secolo, di una certa struttura gerarchica e di una organizzazione.

19. A Gerusalemme, a Cesarea, ad Antiochia, a Joppe (Giaffa) e in Samaria, Pietro fonda altre comunità cristiane. Anche a Rorna, probabilmente fu Pietro il fondatore della locale comunità cristiana.

20. Altri Apostoli fondano comunità in Egitto, nella Cappadocia, in Armenia e in zone dell'Asia Minore (Porto, Frigia, Bitinia).

21. Una presenza così numerosa di focolai di Cristianesimo è attestata da fonti storiche non cristiane. Abbiamo ricordato, nel capitolo pre­cedente, la lettera di Plinio il Giovane (anno 112) all'imperatore Traiano, nella quale si legge: "Il Cristianesimo è professato da un gran numero d'ambo i sessi, di ogni età e classe sociale" e nella quale si dice che questa nuova Religione è ormai diffusa non solo nelle città ma anche nei villaggi e nelle campagne.

22. Queste comunità cristiane sono tra loro assai distanti e soprattutto sono spesso indipendenti una dall'altra. Tra alcune di esse non mancheranno scontri e rivalità che sfoceranno, talvolta, in dure lotte di carattere dottrinale, fino a giungere successivamente a dolorose separa­zioni.

23. Ma su di un punto esse concordano sempre: nel ritenere gli scritti di Matteo, di Marco, di Luca e di Giovanni i soli autentici Vangeli, realmente scritti dai quattro personaggi suddetti, tutti vissuti nel I secolo d.C.

24. Questo è un primo dato che gioca a favore dell'autenticità dei Vangeli, da prendere in seria considerazione. Ma ve ne sono altri.

25. Tra il 95 ed il 150 d.C. visse Papia, che fu anche vescovo di Gerapoli, in Asia Minore. Papia fu discepolo di un altro grande della Chiesa, san Policarpo, vescovo di Smirne. E san Policarpo fu amico e discepolo di san Giovanni Apostolo, l'autore del quarto Vangelo.

26. Nelle sue "Spiegazioni dei detti del Signore", di cui ci parla lo storico Eusebio di Cesarea (Historia Ecclesiastica, III, 39), Papia scrive: "Questo diceva il Presbitero: Marco, divenuto interprete di Pietro, scrisse con accuratezza, ma non con ordine, tutto ciò che ricordava delle parole o dei fatti del Signore. Egli, infatti, non aveva udito il Signore né era stato suo discepolo, ma più tardi, come dicevo, aveva accompagnato Pietro, il quale impartiva le sue istruzioni secondo i bisogni, ma senza fare esposizione ordi­nata dei detti del Signore, cosicché non commise colpa Marco scrivendo alcune cose così come le ricordava. Egli ebbe una sola preoccupazione, di non omettere nulla di quanto aveva inteso e di non introdurre alcun errore...

Quanto a Matteo, egli in lingua ebraica ordinò i detti del Signore e cia­scuno l'interpretò come era capace di fare".

27. Nella testimonianza di Papia si fa cenno ad un "Presbitero". A detta degli studiosi si tratta proprio di san Giovanni apostolo, le cui parole furono riferite a Papia probabilmente proprio da quel Policarpo discepolo dell'autore del quarto Vangelo.

28. Siamo davanti ad una testimonianza preziosa, la cui fonte potrebbe risalire, con la mediazione di san Policarpo, nientemeno che ad Lui Apostolo del Signore, autore di un Vangelo. Papia parla solo di un Vangelo di Matteo e di uno di Marco; tace sugli altri due e così facciamo, - per ora, anche noi. Segnala che Marco era "interprete di Pietro" e "aveva accompagnato" il Principe degli Apostoli. Pertanto, Marco è certamente vissuto in età apostolica e il suo Vangelo va datato al I secolo.

29. La documentazione storica ci offre altre testimonianze impor­tanti a conferma dell'autenticità dei Vangeli.

30. Nell'anno 185, Ireneo, vescovo di Lione (Gallia), scrive: "Matteo fra gli Ebrei nella propria lingua di essi produsse un Vangelo, nel tempo in cui Pietro e Paolo predicarono a Roma e vi fondarono la Chiesa. Quindi, dopo la dipartita di costoro, Marco, discepolo e segretario di Pietro, ci trasmise anch'egli per iscritto le cose predicate da Pietro. A sua volta, Luca, compagno di Paolo, compose in un libro il Vangelo predicato da quello. Infine, Giovanni, il discepolo del Signore, quello che riposò pure sul petto di Lui, anch'egli pubblicò un Vangelo, mentre dimorava in Efeso d'A­sia... Esistono dunque solo quattro Vangeli né più né meno. Come quattro sono le parti del mondo e quattro i venti principali (...) È manifesto quindi che il Verbo ci ha dato il Vangelo quadriforme, permeato da un solo spirito" (Adversus Haereses, III, 1, 1).

31. Dunque, al tempo di Ireneo, sul finire del II secolo, è assodato che gli unici Vangeli ai quali la Chiesa attribuisce valore sono quelli di Matteo, di Marco, di Luca e di Giovanni. Ireneo ci offre una datazione dei Vangeli ancora generica, ma molto significativa: Matteo scrive "nel tempo in cui Pietro e Paolo predicarono a Roma e vi fondarono la Chiesa", quindi prima del 64/67 d.C., anno della loro morte. Ci informa, inoltre, che Luca, autore del terzo Vangelo, era compagno di Paolo mentre Gio­vanni, autore del quarto, era apostolo di Gesìi. Dunque, tutti uomini vis­suti nel primo secolo, che scrissero i Vangeli certamente in età apostolica.

32. La testimonianza di Ireneo è preziosa sia per l'autorevolezza della fonte, perché egli fu uomo di profonda cultura e di grande presti­gio e autorità nella Chiesa primitiva, sia perché, sebbene giovanissimo, conobbe personalmente san Policarpo, discepolo dell'Apostolo Giovanni.

33. Un altro testimone che conferma l'autenticità dei Vangeli è Clemente Alessandrino (Atene 150 ca. - 212 ca.), di cui ci siamo già occupati quando abbiamo esaminato il pensiero cattolico riguardo l'esi­stenza di Dio. Uomo coltissimo, educato nel paganesimo, conosceva perfettamente i filosofi greci e il Nuovo ed Antico Testamento, citati nei suoi scritti per almeno 3.500 volte.

34. Ricordando le sue Ipotiposi, una raccolta in otto libri di appun­ti sulla Sacra Scrittura, Eusebio di Cesarea scrive: "In questi stessi libri Clemente espone, circa la serie dei Vangeli, la tradizione degli antichi presbiteri che è questa. Egli dice che sono stati scritti dapprima i Vangeli che contengono le genealogie del Salvatore (Matteo, Luca), e che quello secondo Marco ha avuto la seguente origine. Avendo Pietro predicato pubblicamente a Roma la Parola di Dio ed esposto il Vangelo in virtù dello Spirito San­to, i molti che erano stati presenti esortarono Marco come colui che l'aveva seguito da gran tempo e si ricordava delle cose dette, di mettere per iscritto le cose pronunciate. Avendo fatto ciò, Marco consegnò il Vangelo a quelli che l'avevano pregato. Pietro risaputo ciò non volle esplicitamente né impe­dire né incitare. Ultimo, pertanto, è Giovanni: vedendo che negli Evangeli precedenti erano state manifestate le cose corporee (ea quae ad corpus Christi pertinent), spinto dagli amici, divinamente portato dallo Spirito Santo, produsse un Vangelo spirituale" (Historia Ecclesiastica, VI, 14).

35. Come si può notare, anche Clemente Alessandrino attesta i nomi degli Evangelisti e l'epoca in cui furono scritti, certamente il I secolo, offrendoci un ulteriore dato storico in favore della loro autenti­cità.

36. Un altro testimone in favore dell'autenticità dei Vangeli è un discepolo di Clemente Alessandrino, suo successore, a partire dall'anno 203, nella Scuola di Alessandria. Stiamo parlando di Origene, autore di un Commentario in Matteo, in cui scrisse: "Ecco quanto appresi dalla tra­dizione intorno ai quattro Vangeli, che sono gli unici ammessi senza controversia dalla Chiesa di Dio. Dapprima fu composto il Vangelo secondo Mat­teo, il quale una volta era pubblicano e in seguito divenne Apostolo di Gesù Cristo. Egli pubblicò il Vangelo in lingua ebraica per i Giudei convertiti alla fede. Il secondo è quello composto da Marco dietro quantogli aveva espo­sto Pietro... Il terzo è quello secondo Luca, il Vangelo raccomandato da Paolo, scritto a favore dei Gentili. L'ultimo quello secondo Giovanni" (Euse­bio di Cesarea, Historia Ecclesiastica, VI, 25).

37. Un'altra testimonianza è quella di Tertulliano, autore del Libro contro Marcione, scritto intorno al 200. Egli scrive: "Abbiamo stabilito prima di tutto che lo strumento evangelico ha per autori gli Apostoli ai quali il Sitgnore stesso diede l'incarico di promulgare il Vangelo. Quando ne furono autori dei discepoli, non rimasero però isolati, bensì in comunione con gli Apostoli; poiché la predicazione dei discepoli potrebbe essere sospettata di una gloria, se non fosse garantita dall'autorità dei maestri, anzi dall'auto­rità di Cristo che conferì il magistero agli Apostoli. Così, tra gli Apostoli, Gioranni e Matteo ci hanno comunicato la fede; tra i loro discepoli, Luca e Marco la rinnorano" (Adversus Marcionem, IV 2).

38. Fino ad ora abbiamo esaminato una serie di testimonianze molto antiche, tutte concordi sull'autenticità dei quattro Vangeli. Dobbiamo ricordare che queste testimonianze provengono da uomini autorevoli, prestigiosi, di grande cultura anche se diversi tra loro per sensibilità e formazione. Tutti però attestano che la Chiesa primitiva riteneva ispirati, dunque canonici, solo i Vangeli di Matteo, di Marco, di Luca e di Giovanni, che furono scritti nel I secolo.

39. A questa serie di documenti ne possiamo aggiungere un altro di incomparabile valore. Si tratta del celebre Canone Muratoriano, un rammento datato verso la metà del II secolo d.C., scoperto dallo storico Ludovico Antonio Muratori (1672 - 1750) nella Biblioteca Ambrosiana di Milano e reso pubblico nell'anno 1742.

40. È un frammento incompleto. Contiene il catalogo dei Libri del Nuovo Testamento, ma è privo dell'inizio e della fine. Pur così mutilato, esso esordisce affermando"... il terzo Vangelo è di Luca, medico, compa­gno di Paolo,... il quarto è di Giovanni, uno dei discepoli".

41. In realtà, prima dell'esordio sopra ricordato, vi sono alcune parole che concludono una frase precedente, della quale non si ha l'inizio, andato perso. Gli studiosi concordano che si riferisca al Vangelo di Marco. Ma a noi importa notare come il Codice Muratoriano enumera i Vangeli di Luca e di Giovanni, definendoli rispettivamente "il terzo" e "il quarto".

42. Non è proprio difficile credere, anche sulla base delle altre testimonianze che abbiamo ricordato, che i primi due Vangeli, dei quali certamente il Codice Muratoriano riferiva, dovevano essere quelli di Matteo e di Marco.

43. A questo punto della nostra ricerca si impone una conclusione. Tutti i dati storici che abbiamo riferito concordano nel ritenere i Vangeli scritti nel primo secolo e proprio dai noti quattro Evangelisti. Dunque, la loro autenticità è pienamente confermata. Nello stesso secolo in cui Cri­sto era vissuto, dopo la sua morte e risurrezione, vi sono testimoni che hanno messo per iscritto ciò che avevano visto o udito. Il dato è di straordinaria importanza.

44. Quelle che abbiamo ricordato fino ad ora sono prove che gli studiosi definiscono "esterne" ai Vangeli. Vi sono anche prove "interne", cioè prove che possiamo ricavare da un attento esame del testo evange­lico. Qui ne proponiamo soltanto due.

45. La prima. Se si pone attenzione alla Chiesa così come è descritta nei Vangeli, essa ci appare certamente dotata di un "Capo" ("Tu sei Pietro") e di una primitiva scala gerarchica, occupata dagli Apostoli. Ma nei Vangeli non vi è alcun cenno di quella struttura gerarchica più complessa, che nasce subito ma che ci è ricordata da altri scritti del Nuovo Testamento, composta di Vescovi, presbiteri e dia­coni.

46. Questa mancanza si spiega solo se si ammette che i Vangeli sono stati scritti prima che la Chiesa si strutturasse completamente, quindi in un tempo estremamente vicino alla morte del Signore, avve­nuta nel 30 d.C.

47. La seconda. Stando ai Vangeli, gli unici avversari che incontra Gcsù Cristo sono Farisei, Sadducel e Scribi. Manca qualsiasi riferimento ai primi terribili avversari del Cristianesimo primitivo: Gnostici, Doceti, Montanisti, etc. Neppure si trova nei Vangeli alcun riferimento alle per­secuzioni scatenate periodicamente dalle autorità dell'Impero di Roma che ebbero, però, una notevole ripercussione sulla vita delle prime comunità cristiane.

48. Questo silenzio su eventi che sconvolsero la vita della Chiesa primitiva si spiega solo ammettendo che i Vangeli sono stati scritti quando le eresie e le persecuzioni sopra ricordate non erano ancora avvenute, quindi proprio a ridosso della vita terrena di Gesù di Nazareth.

49. La nostra ricerca sull'autenticità dei Vangeli andrebbe completata esaminando più a fondo la data della loro composizione. Fino ad ora, abbiamo visto che furono scritti nel I secolo, ma possiamo essere più precisi.

50. Affronteremo questo tema nel capitolo dedicato alla "veridi­cità" dei Vangeli. Prima, dobbiamo accertare se questi documenti sono giunti fino a noi integralmente, senza alterazioni. È ciò che faremo nelle pagine che seguono immediatamente.



" Gli autori sacri scrissero i quattro Vangeli, scegliendo alcune cose tra le molte tramandate a voce o già per iscritto, redigendo una sintesi delle altre o spiegandole con riguardo alla situazione delle Chiese, conservando infine il carattere di predicazione, sempre però in modo tale da riferire su Gesù cose vere e sincere".

( Dei Verbum, 19)


http://apologetica.altervista.org/libri_perche_credere11.htm

L’attendibilità (la “solidità”) dei Vangeli


L’attendibilità (la “solidità”) dei Vangeli



Luca l’autore del terzo vangelo premette alla sua opera in due vo­lumi un “proemio” come fanno gli scrittori classici di storiografia e geografia. Egli lo riprende, in forma più breve, all’inizio del secondo volume – chiamato dal II secolo «Atti degli apostoli» – riassumendo il contenuto del vangelo: «Nel primo racconto, o Teofilo, ho trattato di tutto quello che Gesù fece e insegnò dagli inizi fino al giorno in cui fu assunto in cielo...».[1] Nel proemio egli s’impegna a fare un resoconto ordinato e comple­to degli avvenimenti che riguardano la vicenda di Gesù e della Chiesa protocristiana, sulla base della tradizione orale che parte dai “te­sti oculari”. Lo scopo è di dare a Teofilo (= amico di Dio), rappresentante dei de­stinatari della sua opera, una documentazione “attendibile” delle cose di cui ha sentito parlare. La “solidità” – avsfa,leia – di cui si parla alla fine del proemio, può essere intesa in senso “teologico” – le promesse di Dio a Israele e le parole di Gesù ai discepoli si sono realmente compiute – ma anche nella sua valenza storio­grafica.

L’autore del vangelo si preoccupa di collocare la vicenda di Gesù dentro le coordinate spazio-temporali di un racconto sto­ricamente attendibile. In altri termini, la figura e l’opera di Gesù non sono un prodotto di fantasia o di fanatismo religioso, ma si radicano nella storia. Nel suo ultimo discorso davanti ad Erode Agrippa II e al governatore romano Porcio Festo, a Cesarea Ma­rittima, prima di essere trasferito a Roma per il processo, Paolo dice, interpellando Agrippa: «Il re è al corrente di queste cose e davanti a lui parlo con franchezza. Penso infatti che niente di questo gli sia sconosciuto, perché non sono fatti accaduti in se­greto».[2]

Luca racconta la vicenda di Gesù secondo i modelli storiogra­fici del suo tempo, utilizzando le fonti disponibili – la tradizione e le prime narrazioni scritte – dentro un quadro interpretativo desunto dalla sua fede in Gesù Cristo, il Signore e il Figlio di Dio. Sulla base dello schema del proemio lucano, nell’epoca moderna si ricostruisce la storia della formazione dei vangeli per verificar­ne l’attendibilità. Tra il Gesù vissuto nella Palestina degli anni trenta e i vangeli scritti passano circa quarant’anni. Nel percorso che va da Gesù ai vangeli vi sono due momenti decisivi. Il pri­mo è il passaggio dall’attività e dall’insegnamento di Gesù alla testimonianza e predicazione su Gesù da parte dei discepoli; il secondo è il passaggio dalla tradizione orale alla stesura scritta dei singoli vangeli da parte dei redattori. A ognuna di queste svolte si ripropone l’interrogativo: Qual è lo scopo dell’annuncio o della predicazione su Gesù? Qual è lo scopo dei redattori finali dei vangeli? Informare sulla vicenda storica di Gesù o suscitare e sostenere la fede in lui, il Cristo vivente?

Attualmente c’è un sostanziale accordo nel ritenere che lo scopo dei vangeli scritti e della tradizione precedente è di an­nunciare Gesù come Cristo e Signore. I vangeli sono documenti di fede in Gesù Cristo risorto. Con questo non s’esclude l’inte­resse degli autori dei vangeli per la realtà storica di Gesù, per ciò che egli ha fatto e detto, per le vicende della sua morte. Questo interesse è subordinato allo scopo primario di cogliere e sottoli­neare il significato delle sue parole e dei suoi gesti. I vangeli non sono un riassunto del messaggio di Gesù e neppure una cronaca della sua attività, ma documenti d’una tradizione viva e fedele, scritti da autori cristiani impegnati.

I vangeli attestano la fede in Gesù Cristo. Si tratta però della fede in una persona che è vissuta, ha parlato e agito concreta­mente in uno spazio e in un tempo preciso. In altri termini, la fede dei discepoli e delle prime comunità cristiane in Gesù Cri­sto, il Signore risorto, è inseparabile dalla loro esperienza storica della vita e morte di Gesù di Nazareth. Lo stesso metodo che per­mette di ricostruire le tappe della formazione dei vangeli offre gli strumenti per verificare l’attendibilità storica del materiale in essi confluito.

Il metodo della cosiddetta «storia delle forme», utilizzato per ricostruire i motivi e le esigenze dell’ambiente che ha conserva­to e trasmesso le piccole unità letterarie dei vangeli – racconti di miracolo, controversie, parabole, ecc. – può essere applicato an­che al periodo precedente la Pasqua per ricostruire la situazione vitale della comunità dei discepoli raccolti attorno a Gesù. Pri­ma della morte e risurrezione di Gesù vi è la tendenza a conser­vare e trasmettere ciò che Gesù insegna e quello che egli compie nei villaggi della Galilea e a Gerusalemme. Nei vangeli attuali le sentenze di Gesù sono raccolte in una forma che ricorda la tec­nica d’insegnamento dei maestri ebrei del suo tempo.

Alcuni insegnamenti o sentenze risentono d’una situazione che si è avuta soltanto prima della Pasqua di risurrezione; co­sì alcune parole sulla fine tragica di Gesù sono troppo oscure ed allusive per essere state ricostruite dopo gli avvenimenti di Pa­squa; l’insegnamento centrale del Vangelo – l’annuncio del re­gno di Dio da parte di Gesù – si colloca in una situazione storica che non è più attuale dopo la sua risurrezione, quando il conte­nuto dell’annuncio riguarda Gesù Cristo risorto.

La tradizione delle parole di Gesù inizia nella cerchia dei di­scepoli raccolti attorno alla sua persona. Questa tradizione si prolunga in quella successiva alla Pasqua, sotto il controllo e la responsabilità delle stesse persone che sono vissute con Gesù, i “dodici” discepoli. La memoria di quello che Gesù ha detto e fat­to si conserva e trasmette in una comunità strutturata e per mez­zo d’incaricati sicuri in modo tale che la continuità e la fedeltà con la fonte originaria sono sufficientemente garantite.

Per verificare l’attendibilità storica del materiale raccolto nei vangeli si può ripercorrere la strada che va dai testi evangelici a Gesù di Nazareth, seguendo alcuni criteri. Il primo è quello delle testimonianze molteplici ed incrociate: una parola o un’azione di Gesù, riferita nei vangeli, è attendibile quando è attestata da più e diversi strati della tradizione. Il secondo criterio è quello della “discontinuità”, nel senso che una parola o un atteggiamento di Gesù è attendibile quando non può essere pensato come un prodotto né dell’ambiente giudaico contemporaneo né dell’am­biente cristiano successivo. Il terzo si chiama “criterio della con­tinuità”. Si considera attendibile una parola o azione di Gesù quando è in sintonia con il suo ambiente vitale (Sitz im leben), con la situazio­ne socio-culturale del suo tempo e soprattutto è conforme con l’originalità della sua persona e del suo messaggio. Negli ultimi decenni sono stati proposti altri criteri di carattere più sintetico. Tra questi si può ricordare quello detto dell’imbarazzo, nel sen­so che una sentenza o azione di Gesù, che crea problemi per la tradizione che ne conserva memoria, è storicamente “attendibi­le”. I vari metodi per verificare l’attendibilità storica dei Vangeli sono validi ed efficaci se sono usati in modo complementare e convergente.

Alla fine, però, si deve riconoscere che l’insegnamento e l’atti­vità di Gesù non si lasciano ridurre alle dimensioni di una realtà storica oggettiva. Con i suoi gesti e con le sue parole Gesù riven­dica un’autorità e identità che interpellano non solo lo storico, ma l’essere umano in quanto tale. Gesù si presenta come uno che decide del significato della vita di ogni essere umano. Alla domanda: «Voi chi dite che io sia?», non si risponde con una for­mula, ma con la decisione di condividere o meno il suo destino.



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