sabato 24 luglio 2010

L’attendibilità (la “solidità”) dei Vangeli


L’attendibilità (la “solidità”) dei Vangeli



Luca l’autore del terzo vangelo premette alla sua opera in due vo­lumi un “proemio” come fanno gli scrittori classici di storiografia e geografia. Egli lo riprende, in forma più breve, all’inizio del secondo volume – chiamato dal II secolo «Atti degli apostoli» – riassumendo il contenuto del vangelo: «Nel primo racconto, o Teofilo, ho trattato di tutto quello che Gesù fece e insegnò dagli inizi fino al giorno in cui fu assunto in cielo...».[1] Nel proemio egli s’impegna a fare un resoconto ordinato e comple­to degli avvenimenti che riguardano la vicenda di Gesù e della Chiesa protocristiana, sulla base della tradizione orale che parte dai “te­sti oculari”. Lo scopo è di dare a Teofilo (= amico di Dio), rappresentante dei de­stinatari della sua opera, una documentazione “attendibile” delle cose di cui ha sentito parlare. La “solidità” – avsfa,leia – di cui si parla alla fine del proemio, può essere intesa in senso “teologico” – le promesse di Dio a Israele e le parole di Gesù ai discepoli si sono realmente compiute – ma anche nella sua valenza storio­grafica.

L’autore del vangelo si preoccupa di collocare la vicenda di Gesù dentro le coordinate spazio-temporali di un racconto sto­ricamente attendibile. In altri termini, la figura e l’opera di Gesù non sono un prodotto di fantasia o di fanatismo religioso, ma si radicano nella storia. Nel suo ultimo discorso davanti ad Erode Agrippa II e al governatore romano Porcio Festo, a Cesarea Ma­rittima, prima di essere trasferito a Roma per il processo, Paolo dice, interpellando Agrippa: «Il re è al corrente di queste cose e davanti a lui parlo con franchezza. Penso infatti che niente di questo gli sia sconosciuto, perché non sono fatti accaduti in se­greto».[2]

Luca racconta la vicenda di Gesù secondo i modelli storiogra­fici del suo tempo, utilizzando le fonti disponibili – la tradizione e le prime narrazioni scritte – dentro un quadro interpretativo desunto dalla sua fede in Gesù Cristo, il Signore e il Figlio di Dio. Sulla base dello schema del proemio lucano, nell’epoca moderna si ricostruisce la storia della formazione dei vangeli per verificar­ne l’attendibilità. Tra il Gesù vissuto nella Palestina degli anni trenta e i vangeli scritti passano circa quarant’anni. Nel percorso che va da Gesù ai vangeli vi sono due momenti decisivi. Il pri­mo è il passaggio dall’attività e dall’insegnamento di Gesù alla testimonianza e predicazione su Gesù da parte dei discepoli; il secondo è il passaggio dalla tradizione orale alla stesura scritta dei singoli vangeli da parte dei redattori. A ognuna di queste svolte si ripropone l’interrogativo: Qual è lo scopo dell’annuncio o della predicazione su Gesù? Qual è lo scopo dei redattori finali dei vangeli? Informare sulla vicenda storica di Gesù o suscitare e sostenere la fede in lui, il Cristo vivente?

Attualmente c’è un sostanziale accordo nel ritenere che lo scopo dei vangeli scritti e della tradizione precedente è di an­nunciare Gesù come Cristo e Signore. I vangeli sono documenti di fede in Gesù Cristo risorto. Con questo non s’esclude l’inte­resse degli autori dei vangeli per la realtà storica di Gesù, per ciò che egli ha fatto e detto, per le vicende della sua morte. Questo interesse è subordinato allo scopo primario di cogliere e sottoli­neare il significato delle sue parole e dei suoi gesti. I vangeli non sono un riassunto del messaggio di Gesù e neppure una cronaca della sua attività, ma documenti d’una tradizione viva e fedele, scritti da autori cristiani impegnati.

I vangeli attestano la fede in Gesù Cristo. Si tratta però della fede in una persona che è vissuta, ha parlato e agito concreta­mente in uno spazio e in un tempo preciso. In altri termini, la fede dei discepoli e delle prime comunità cristiane in Gesù Cri­sto, il Signore risorto, è inseparabile dalla loro esperienza storica della vita e morte di Gesù di Nazareth. Lo stesso metodo che per­mette di ricostruire le tappe della formazione dei vangeli offre gli strumenti per verificare l’attendibilità storica del materiale in essi confluito.

Il metodo della cosiddetta «storia delle forme», utilizzato per ricostruire i motivi e le esigenze dell’ambiente che ha conserva­to e trasmesso le piccole unità letterarie dei vangeli – racconti di miracolo, controversie, parabole, ecc. – può essere applicato an­che al periodo precedente la Pasqua per ricostruire la situazione vitale della comunità dei discepoli raccolti attorno a Gesù. Pri­ma della morte e risurrezione di Gesù vi è la tendenza a conser­vare e trasmettere ciò che Gesù insegna e quello che egli compie nei villaggi della Galilea e a Gerusalemme. Nei vangeli attuali le sentenze di Gesù sono raccolte in una forma che ricorda la tec­nica d’insegnamento dei maestri ebrei del suo tempo.

Alcuni insegnamenti o sentenze risentono d’una situazione che si è avuta soltanto prima della Pasqua di risurrezione; co­sì alcune parole sulla fine tragica di Gesù sono troppo oscure ed allusive per essere state ricostruite dopo gli avvenimenti di Pa­squa; l’insegnamento centrale del Vangelo – l’annuncio del re­gno di Dio da parte di Gesù – si colloca in una situazione storica che non è più attuale dopo la sua risurrezione, quando il conte­nuto dell’annuncio riguarda Gesù Cristo risorto.

La tradizione delle parole di Gesù inizia nella cerchia dei di­scepoli raccolti attorno alla sua persona. Questa tradizione si prolunga in quella successiva alla Pasqua, sotto il controllo e la responsabilità delle stesse persone che sono vissute con Gesù, i “dodici” discepoli. La memoria di quello che Gesù ha detto e fat­to si conserva e trasmette in una comunità strutturata e per mez­zo d’incaricati sicuri in modo tale che la continuità e la fedeltà con la fonte originaria sono sufficientemente garantite.

Per verificare l’attendibilità storica del materiale raccolto nei vangeli si può ripercorrere la strada che va dai testi evangelici a Gesù di Nazareth, seguendo alcuni criteri. Il primo è quello delle testimonianze molteplici ed incrociate: una parola o un’azione di Gesù, riferita nei vangeli, è attendibile quando è attestata da più e diversi strati della tradizione. Il secondo criterio è quello della “discontinuità”, nel senso che una parola o un atteggiamento di Gesù è attendibile quando non può essere pensato come un prodotto né dell’ambiente giudaico contemporaneo né dell’am­biente cristiano successivo. Il terzo si chiama “criterio della con­tinuità”. Si considera attendibile una parola o azione di Gesù quando è in sintonia con il suo ambiente vitale (Sitz im leben), con la situazio­ne socio-culturale del suo tempo e soprattutto è conforme con l’originalità della sua persona e del suo messaggio. Negli ultimi decenni sono stati proposti altri criteri di carattere più sintetico. Tra questi si può ricordare quello detto dell’imbarazzo, nel sen­so che una sentenza o azione di Gesù, che crea problemi per la tradizione che ne conserva memoria, è storicamente “attendibi­le”. I vari metodi per verificare l’attendibilità storica dei Vangeli sono validi ed efficaci se sono usati in modo complementare e convergente.

Alla fine, però, si deve riconoscere che l’insegnamento e l’atti­vità di Gesù non si lasciano ridurre alle dimensioni di una realtà storica oggettiva. Con i suoi gesti e con le sue parole Gesù riven­dica un’autorità e identità che interpellano non solo lo storico, ma l’essere umano in quanto tale. Gesù si presenta come uno che decide del significato della vita di ogni essere umano. Alla domanda: «Voi chi dite che io sia?», non si risponde con una for­mula, ma con la decisione di condividere o meno il suo destino.



http://avemaria.myblog.it/archive/2010/01/18/l-attendibilita-dei-vangeli.html

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