giovedì 18 dicembre 2008

LA NASCITA' DI GESU IL MESSIA IN SAN MATTEO

LA NASCITA' DI GESU IL MESSIA



VANGELO DI MATTEO: 1, 1-2, 23




1

1Gesù Cristo è discendente di Davide, il quale a sua volta è discendente di Abramo. Ecco l'elenco degli antenati della sua famiglia:
2Abramo fu il padre di Isacco;
Isacco di Giacobbe;
Giacobbe di Giuda e dei suoi fratelli;
3Giuda fu il padre di Fares e Zara (loro madre fu Tamar);
Fares di Esrom;
Esrom di Aram;
4Aram fu il padre di Aminadàb;
Aminadàb di Naassòn;
Naassòn di Salmòn:
5Salmòn fu il padre di Booz (la madre di Booz fu Racab);
Booz fu il padre di Obed (la madre di Obed fu Rut);
Obed fu il padre di Iesse;
6Iesse fu il padre di Davide.
Davide fu il padre di Salomone (la madre era stata moglie di Urìa);
7Salomone fu il padre di Roboamo;
Roboamo di Abìa;
Abìa di Asàf;
8Asàf fu il padre di Giòsafat;
Giòsafat di Ioram;
Ioram di Ozia;
9Ozia fu il padre di Ioatam;
Ioatam di Acaz;
Acaz di Ezechia;
10Ezechia fu il padre di Manàsse;
Manàsse di Amos;
Amos di Giosia;
11Giosia fu il padre di Ieconia e dei suoi fratelli, al tempo in cui il popolo d'Israele fu deportato in esilio a Babilonia.
12Dopo l'esilio a Babilonia, Ieconia fu il
padre di Salatiel;
Salatiel fu il padre di Zorobabèle;
13Zorobabèle fu il padre di Abiùd;
Abiùd di Elìacim;
Elìacim di Azor;
14Azor fu il padre di Sadoc;
Sadoc di Achim;
Achim di Eliùd;
15Eliùd fu il padre di Eleàzar;
Eleàzar di Mattan;
Mattan di Giacobbe;
16Giacobbe fu il padre di Giuseppe;
Giuseppe sposò Maria e Maria fu la madre di Gesù, chiamato Cristo.
17Dunque da Abramo a Davide ci sono quattordici generazioni; dal tempo di Davide fino all'esilio di Babilonia ce ne sono altre quattordici; infine, dall'esilio in Babilonia fino a Cristo ci sono ancora quattordici generazioni.

Come nacque Gesù
(vedi Luca 2, 1-7)
18Ecco come è nato Gesù Cristo. Maria, sua madre, era fidanzata con Giuseppe; essi non vivevano ancora insieme, ma lo Spirito Santo agì in Maria ed ella si trovò incinta. 19Ormai Giuseppe stava per sposarla. Egli voleva fare ciò che era giusto, ma non voleva denunziarla di fronte a tutti. Allora decise di rompere il fidanzamento, senza dire niente a nessuno.
20Ci stava ancora pensando, quando una notte in sogno gli apparve un angelo del Signore e gli disse: "Giuseppe, discendente di Davide, non devi aver paura di sposare Maria, la tua fidanzata: il bambino che lei aspetta è opera dello Spirito Santo. 21Essa partorirà un figlio e tu gli metterai nome Gesù, perché lui salverà il suo popolo da tutti i suoi peccati".
22E così si realizzò quel che il Signore aveva detto per mezzo del profeta Isaia:
23Ecco, la vergine sarà incinta,
partorirà un figlio ed egli sarà chiamato Emmanuele.
Questo nome significa: "Dio è con noi".
24Quando Giuseppe si svegliò, fece come l'angelo di Dio gli aveva ordinato e prese Maria in casa sua. 25E senza che avessero avuto fin allora rapporti matrimoniali, Maria partorì il bambino e Giuseppe gli mise nome Gesù.


2
1Gesù nacque a Betlemme, una città nella regione della Giudea, al tempo del re Erode. Dopo la sua nascita, arrivarono a Gerusalemme alcuni uomini sapienti che venivano dall'oriente 2e domandarono: "Dove si trova quel bambino, nato da poco, il re dei Giudei? In oriente abbiamo visto apparire la sua stella e siamo venuti qui per onorarlo".
3Queste parole misero in agitazione tutti gli abitanti di Gerusalemme, e specialmente il re Erode. Egli, appena lo seppe, 4radunò tutti i capi dei sacerdoti e i maestri della Legge e domandò loro:
- In quale luogo deve nascere il Messia?
5Essi risposero:
- A Betlemme, nella regione della Giudea, perché il profeta ha scritto:
6Tu Betlemme, del paese di Giudea,
non sei certo la meno importante tra le città della Giudea,
perché da te uscirà un capo
che guiderà il mio popolo, Israele.
7Allora il re Erode chiamò in segreto quei sapienti e si fece dire con esattezza quando era apparsa la stella. 8Poi li mandò a Betlemme dicendo: "Andate e cercate con ogni cura il bambino. Quando l'avrete trovato, fatemelo sapere, così anch'io andrò a onorarlo".
9- 10Ricevute queste istruzioni da parte del re, essi partirono. In viaggio, apparve ancora a quei sapienti la stella che avevano visto in oriente, ed essi furono pieni di grande gioia. La stella si muoveva davanti a loro fino a quando non arrivò sopra la casa dove si trovava il bambino. Là si fermò.
11Essi entrarono in quella casa e videro il bambino e sua madre, Maria. Si inginocchiarono e lo adorarono. Poi aprirono i bagagli e gli offrirono regali: oro, incenso e mirra.
12Più tardi, in sogno, Dio li avvertì di non tornare dal re Erode. Essi presero allora un'altra strada e ritornarono al loro paese.

Giuseppe e Maria fuggono in Egitto
13Dopo la partenza dei sapienti, Giuseppe fece un sogno. L'angelo di Dio gli apparve e gli disse: "Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre e fuggi in Egitto. Erode sta cercando il bambino per ucciderlo. Tu devi rimanere là, fino a quando io non ti avvertirò".
14Giuseppe si alzò, di notte prese con sé il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto. 15E vi rimase fino a quando non morì il re Erode. Così si realizzò quel che il Signore aveva detto per mezzo del profeta Osea: Ho chiamato mio figlio dall'Egitto.

Erode fa uccidere i bambini di Betlemme
16Il re Erode si accorse che i sapienti dell'oriente lo avevano ingannato e allora si infuriò. Ricordando quel che si era fatto dire da loro, calcolò il tempo; e quindi fece uccidere tutti i bambini di Betlemme e dei dintorni, dai due anni in giù. 17Allora si realizzò quel che Dio aveva detto per mezzo del profeta Geremia:
18Una voce si è sentita nella regione di Rama,
pianti e lunghi lamenti.
Rachele piange i suoi figli
e non vuole essere consolata,
perché essi non ci sono più.

Giuseppe e Maria tornano dall'Egitto
19Dopo la morte di Erode, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe, in Egitto. 20L'angelo gli disse: "Àlzati, prendi il bambino e sua madre e torna nella terra d'Israele: perché ormai sono morti quelli che cercavano di far morire il bambino". 21Giuseppe si alzò, prese con sé il bambino e sua madre e ritornò nella terra d'Israele. 22Ma venuto a sapere che al posto di Erode era diventato re della Giudea suo figlio Archelao, ebbe paura di fermarsi in quella regione. Informato da un sogno, partì verso la Galilea 23e andò ad abitare in un villaggio che si chiamava Nàzaret. Così si realizzò quel che Dio aveva detto per mezzo dei profeti: "Egli sarà chiamato Nazareno".








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LA NASCITA' DI GESU' IL FIGLIO DI DIO DAL VANGELO DI SAN LUCA

LA NASCITA' DI GESU' IL FIGLIO DI DIO DAL VANGELO DI SAN LUCA: 1, 26-56---2, 1-52

L'ANNUNZIO DELLA NASCITA DI GESU'
1:26 Al sesto mese, l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città di Galilea, chiamata Nazaret,
1:27 a una vergine fidanzata a un uomo chiamato Giuseppe, della casa di Davide; e il nome della vergine era Maria.
1:28 L'angelo, entrato da lei, disse: "Ti saluto, o favorita dalla grazia; il Signore è con te".
1:29 Ella fu turbata a queste parole, e si domandava che cosa volesse dire un tale saluto.
1:30 L'angelo le disse: "Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio.
1:31 Ecco, tu concepirai e partorirai un figlio, e gli porrai nome Gesù.
1:32 Questi sarà grande e sarà chiamato Figlio dell'Altissimo, e il Signore Dio gli darà il trono di Davide, suo padre.
1:33 Egli regnerà sulla casa di Giacobbe in eterno, e il suo regno non avrà mai fine".
1:34 Maria disse all'angelo: "Come avverrà questo, dal momento che non conosco uomo?"
1:35 L'angelo le rispose: "Lo Spirito Santo verrà su di te e la potenza dell'Altissimo ti coprirà dell'ombra sua; perciò, anche colui che nascerà sarà chiamato Santo, Figlio di Dio.
1:36 Ecco, Elisabetta, tua parente, ha concepito anche lei un figlio nella sua vecchiaia; e questo è il sesto mese, per lei, che era chiamata sterile;
1:37 poiché nessuna parola di Dio rimarrà inefficace".
1:38 Maria disse: "Ecco, io sono la serva del Signore; mi sia fatto secondo la tua parola". E l'angelo la lasciò.
LA VISITA DI MARIA AD ELISABETTA
1:39 In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta nella regione montuosa, in una città di Giuda,
1:40 ed entrò in casa di Zaccaria e salutò Elisabetta.
1:41 Appena Elisabetta udì il saluto di Maria, il bambino le balzò nel grembo; ed Elisabetta fu piena di Spirito Santo,
1:42 e ad alta voce esclamò: "Benedetta sei tu fra le donne, e benedetto è il frutto del tuo seno!
1:43 Come mai mi è dato che la madre del mio Signore venga da me?
1:44 Poiché ecco, non appena la voce del tuo saluto mi è giunta agli orecchi, per la gioia il bambino mi è balzato nel grembo.
1:45 Beata è colei che ha creduto che quanto le è stato detto da parte del Signore avrà compimento".
1:46 E Maria disse: "L'anima mia magnifica il Signore,
1:47 e lo spirito mio esulta in Dio, mio Salvatore,
1:48 perché egli ha guardato alla bassezza della sua serva. Da ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata,
1:49 perché grandi cose mi ha fatte il Potente. Santo è il suo nome;
1:50 e la sua misericordia si estende di generazione in generazione su quelli che lo temono.
1:51 Egli ha operato potentemente con il suo braccio; ha disperso quelli che erano superbi nei pensieri del loro cuore;
1:52 ha detronizzato i potenti, e ha innalzato gli umili;
1:53 ha colmato di beni gli affamati, e ha rimandato a mani vuote i ricchi.
1:54 Ha soccorso Israele, suo servitore, ricordandosi della misericordia,
1:55 di cui aveva parlato ai nostri padri, verso Abraamo e verso la sua discendenza per sempre".
1:56 Maria rimase con Elisabetta circa tre mesi; poi se ne tornò a casa sua.

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LA NASCITA DI GESU'
2:1 In quel tempo uscì un decreto da parte di Cesare Augusto, che ordinava il censimento di tutto l'impero.
2:2 Questo fu il primo censimento fatto quando Quirinio era governatore della Siria.
2:3 Tutti andavano a farsi registrare, ciascuno alla sua città.
2:4 Dalla Galilea, dalla città di Nazaret, anche Giuseppe salì in Giudea, alla città di Davide chiamata Betlemme, perché era della casa e famiglia di Davide,
2:5 per farsi registrare con Maria, sua sposa, che era incinta.
2:6 Mentre erano là, si compì per lei il tempo del parto;
2:7 ed ella diede alla luce il suo figlio primogenito, lo fasciò, e lo coricò in una mangiatoia, perché non c'era posto per loro nell'albergo.
2:8 In quella stessa regione c'erano dei pastori che stavano nei campi e di notte facevano la guardia al loro gregge.
2:9 E un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore risplendé intorno a loro, e furono presi da gran timore.
2:10 L'angelo disse loro: "Non temete, perché io vi porto la buona notizia di una grande gioia che tutto il popolo avrà:
2:11 "Oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è il Cristo, il Signore.
2:12 E questo vi servirà di segno: troverete un bambino avvolto in fasce e coricato in una mangiatoia"".
2:13 E a un tratto vi fu con l'angelo una moltitudine dell'esercito celeste, che lodava Dio e diceva:
2:14 "Gloria a Dio nei luoghi altissimi, e pace in terra agli uomini ch'egli gradisce!"
2:15 Quando gli angeli se ne furono andati verso il cielo, i pastori dicevano tra di loro: "Andiamo fino a Betlemme e vediamo ciò che è avvenuto, e che il Signore ci ha fatto sapere".
2:16 Andarono in fretta, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia;
2:17 e, vedutolo, divulgarono quello che era stato loro detto di quel bambino.
2:18 E tutti quelli che li udirono si meravigliarono delle cose dette loro dai pastori.
2:19 Maria serbava in sé tutte queste cose, meditandole in cuor suo.
2:20 E i pastori tornarono indietro, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com'era stato loro annunziato.
LA PRESENTAZIONE DI GESU' AL TEMPIO
2:21 Quando furono compiuti gli otto giorni dopo i quali egli doveva essere circonciso, gli fu messo il nome di Gesù, che gli era stato dato dall'angelo prima che egli fosse concepito.
2:22 Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione secondo la legge di Mosè, portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore,
2:23 come è scritto nella legge del Signore: "Ogni maschio primogenito sarà consacrato al Signore";
2:24 e per offrire il sacrificio di cui parla la legge del Signore, di un paio di tortore o di due giovani colombi.
2:25 Vi era in Gerusalemme un uomo di nome Simeone; quest'uomo era giusto e timorato di Dio, e aspettava la consolazione d'Israele; lo Spirito Santo era sopra di lui;
2:26 e gli era stato rivelato dallo Spirito Santo che non sarebbe morto prima di aver visto il Cristo del Signore.
2:27 Egli, mosso dallo Spirito, andò nel tempio; e, come i genitori vi portavano il bambino Gesù per adempiere a suo riguardo le prescrizioni della legge,
2:28 lo prese in braccio, e benedisse Dio, dicendo:
2:29 "Ora, o mio Signore, tu lasci andare in pace il tuo servo, secondo la tua parola;
2:30 perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza,
2:31 che hai preparata dinanzi a tutti i popoli
2:32 per essere luce da illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele".
2:33 Il padre e la madre di Gesù restavano meravigliati delle cose che si dicevano di lui.
2:34 E Simeone li benedisse, dicendo a Maria, madre di lui: "Ecco, egli è posto a caduta e a rialzamento di molti in Israele, come segno di contraddizione
2:35 a te stessa una spada trafiggerà l'anima), affinché i pensieri di molti cuori siano svelati".
2:36 Vi era anche Anna, profetessa, figlia di Fanuel, della tribù di Aser. Era molto avanti negli anni: dopo essere vissuta con il marito sette anni dalla sua verginità, era rimasta vedova e aveva raggiunto gli ottantaquattro anni.
2:37 Non si allontanava mai dal tempio e serviva Dio notte e giorno con digiuni e preghiere.
2:38 Sopraggiunta in quella stessa ora, anche lei lodava Dio e parlava del bambino a tutti quelli che aspettavano la redenzione di Gerusalemme.
RITORNO A NAZARETH
2:39 Com'ebbero adempiuto tutte le prescrizioni della legge del Signore, tornarono in Galilea, a Nazaret, loro città.
2:40 E il bambino cresceva e si fortificava; era pieno di sapienza e la grazia di Dio era su di lui.
GESU' FRA I DOTTORI NEL TEMPIO
2:41 I suoi genitori andavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua.
2:42 Quando giunse all'età di dodici anni, salirono a Gerusalemme, secondo l'usanza della festa;
2:43 passati i giorni della festa, mentre tornavano, il bambino Gesù rimase in Gerusalemme all'insaputa dei genitori;
2:44 i quali, pensando che egli fosse nella comitiva, camminarono una giornata, poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti;
2:45 e, non avendolo trovato, tornarono a Gerusalemme cercandolo.
2:46 Tre giorni dopo lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri: li ascoltava e faceva loro delle domande;
2:47 e tutti quelli che l'udivano, si stupivano del suo senno e delle sue risposte.
2:48 Quando i suoi genitori lo videro, rimasero stupiti; e sua madre gli disse: "Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre e io ti cercavamo, stando in gran pena".
2:49 Ed egli disse loro: "Perché mi cercavate? Non sapevate che io dovevo trovarmi nella casa del Padre mio?"
2:50 Ed essi non capirono le parole che egli aveva dette loro.
2:51 Poi discese con loro, andò a Nazaret, e stava loro sottomesso. Sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore.
2:52 E Gesù cresceva in sapienza, in statura e in grazia davanti a Dio e agli uomini.


da: La Sacra Bibbia "Nuova Riveduta sui testi originali"
Copyright © 1994, Società Biblica di Ginevra - CH-1211 Ginevra




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martedì 16 dicembre 2008

Gesù Cristo è nato veramente il 25 Dicembre?

Gesù Cristo è nato veramente il 25 Dicembre?



E’ risaputo che Gesù non nacque il 25 dicembre. Questa data fu scelta dalla Chiesa in Occidente, perché era già una festività pagana. Il 25 dicembre ricorreva la festa romana Dies Natalis Invicti Solis del compleanno del sole “non conquistato dalle tenebre”, che al solstizio invernale iniziava a prolungare la luce del giorno. Prima del 336 d.C., non potendo estirpare questa festività pagana, la Chiesa in Roma la spiritualizzò come festa della natività “del Sole di giustizia sorto a Betlemme”. Ma allora quando nacque Gesù? Che indicazioni di dà la Scrittura?

Elisabetta rimane incinta quando il marito Zaccaria, levita del turno di Abija serviva al Tempio (Lc.1:5-25). C’erano 24 famiglie di Leviti che servivano a turno nel Tempio, due ogni mese: Abija era nell’ottavo turno (1Cron.24:10).

L’anno religioso Ebraico inizia il primo giorno del mese di Nisan (Marzo-Aprile) (Es.12:2-6), “il primo dei mesi”, il mese della Pesah, la Pasqua (il 15° giorno). Quindi il turno di Zaccaria discendente della famiglia di Abija era nel mese di Tammuz (Giugno-Luglio). (L’anno civile Ebraico inizia il primo giorno di Tishri (Settembre-Ottobre), con la festa di Rosh Hashanah - Capodanno).

Maria andò a fare visita ad Elisabetta sua parente incinta di sei mesi, mentre lei rimase incinta in quei giorni (Lc.1:26-45), cioè tra la fine del mese di Kislev (Dicembre) e l’inizio del mese di Tevet (Dicembre-Gennaio).

Giovanni il battista, cugino di Gesù, nacque nel mese di Nisan (Marzo-Aprile) mentre Gesù, molto probabilmente, nacque sei mesi dopo nel mese di Tishri (Settembre-Ottobre). Poiché Dio non ha stabilito le Feste Ebraiche a caso, ma le ha collegate ad uno specifico evento significativo per la salvezza dell’umanità (la Pasqua = morte e risurrezione di Gesù; la Pentecoste = discesa dello Spirito Santo) è molto probabile che Gesù, essendo nato nel mese di Settembre, sia nato durante la Festa dei Tabernacoli, magari nel settimo e più importante giorno della Festa, chiamato “Hoshana Raba” o “il Grande Osanna” (Sal.118:25).

Sia nella Bibbia che negli scritti rabbinici la Festa dei Tabernacoli simboleggia i giorni del Messia: “Quel giorno io rialzerò la capanna (tabernacolo, tenda) di Davide che è caduta” (Am.9:11), vuol dire che la linea regale di Davide sarà ristabilita, che il Messia siederà sul trono di Davide e governerà la Terra con una verga di ferro. “E la Parola (Gesù Cristo) è divenuta carne e ha abitato (letteralmente dal greco: “ha abitato come in un tabernacolo” o “ha tabernacolato” o “ha abitato in un rifugio temporaneo”) per un tempo fra di noi” (Gv.1:14); “Egli (Gesù) è lo splendore della sua (di Dio) gloria” (Eb.1:3). Nella carne di Gesù la gloria di Dio ha “tabernacolato “ tra di noi.

Gesù fu concepito in Dicembre ma nacque in Settembre. La Parola è diventata carne al momento del suo concepimento non alla sua nascita. La Chiesa celebra la cosa sbagliata nel momento giusto. Il 25 Dicembre si festeggia la nascita di Gesù nel tempo in cui invece si dovrebbe festeggiare il suo concepimento (la Parola che diventa carne).

Da uno studio di Corrado Maggia

http://www.incontraregesu.it/risposte/25dicembre.htm

sabato 13 dicembre 2008

La storia di Gesù di Nazaret, il Salvatore

La storia di Gesù di Nazaret, il Salvatore
di G. Butindaro



Ai giorni dell'imperatore Cesare Augusto, una giovane vergine di Nazareth (una cittadina della Galilea) che era stata promessa sposa a Giuseppe, figlio di Giacobbe, che era della casa di Davide, ricevette la visita di un santo angelo di Dio il quale le preannunziò che ella avrebbe concepito e partorito un figlio che sarebbe stato grande e sarebbe stato chiamato Figlio dell'Altissimo; il suo nome sarebbe stato Gesù. A lui Dio avrebbe dato il regno di Davide suo padre ed Egli avrebbe dominato su Israele in eterno. Maria, questo il nome della giovane vergine, sentendo dirgli quelle parole chiese come sarebbe potuto avvenire tutto ciò dato che lei non conosceva uomo; e l'angelo le rispose che lo Spirito Santo sarebbe venuto sopra di lei, e la potenza di Dio l'avrebbe coperta della sua ombra, per cui il santo che sarebbe nato sarebbe stato chiamato Figliuolo di Dio. Al che Maria rispose all'angelo che le fosse fatto secondo la sua parola.
E così avvenne, Maria rimase incinta per virtù dello Spirito Santo, senza che Giuseppe l'avesse conosciuta. Ma quando Giuseppe, tempo dopo, si accorse che la sua promessa sposa era incinta si propose di lasciarla di nascosto; ma mentre aveva queste cose nell'animo un angelo di Dio gli apparve in sogno e gli disse di non preoccuparsi di prendere Maria in sposa perché quello che in lei era generato era dallo Spirito Santo; e che lui avrebbe dovuto mettere al figlio che doveva nascere il nome di Gesù che significa 'YHWH salva' (YHWH è il nome ebraico di Dio che si pronuncia Yahweh). Tranquillizzato da quelle parole, Giuseppe appena si svegliò prese in sposa Maria, sapendo per certo che il messaggero di Dio che gli era apparso non gli aveva mentito.

Proprio in quei giorni avvenne che uscì da parte di Cesare Augusto un decreto che si facesse un censimento di tutto l'impero. Allora Giuseppe prese la sua sposa che era incinta e si recò a Betleem a farsi registrare perché, come abbiamo detto innanzi, egli era della casa di Davide. Ed avvenne che mentre si trovavano a Betleem di Giuda, Maria partorì il fanciullo a cui in capo a otto giorni, quando fu circonciso, fu posto il nome di Gesù.
Il giorno stesso in cui Gesù nacque, apparve a dei pastori della contrada di Betleem un angelo del Signore il quale gli annunziò la buona notizia che in quel giorno nella città di Davide era nato il Salvatore, che era Cristo (dal greco Christòs che significa 'Unto'), il Signore. Essi dunque, udito ciò, si recarono a Betleem e vi trovarono il fanciullino e divulgarono quello che era loro stato detto di quel bambino. Al sentire quelle cose coloro che erano là presenti si meravigliarono.
Quando si compirono i giorni durante i quali - secondo la legge - la donna che aveva partorito un figlio maschio doveva rimanere a purificarsi del suo sangue, i suoi genitori lo portarono in Gerusalemme per presentarlo al Signore, ed anche per offrire l'olocausto e il sacrificio per il peccato che prescriveva la legge di Mosè.
In seguito, quando Gesù aveva ancora poche settimane giunsero a Betleem, presso la casa dove egli era tenuto, dei magi provenienti dall'Oriente i quali lo adorarono, e aperti i loro tesori gli offrirono dei doni: oro, incenso e mirra. Come avevano fatto quegli uomini a giungere a Betleem? In questa maniera: mentre erano in Oriente era apparsa loro la sua stella che li aveva condotti in Israele. Giunti a Gerusalemme avevano chiesto dove fosse il re dei Giudei che era nato perché essi erano venuti per adorarlo. Ed il re della Giudea, Erode, chiamati gli scribi e i capi sacerdoti, s'informò da loro dove il Cristo doveva nascere, ed essi gli dissero che il Cristo doveva nascere in Betleem di Giudea. Il re dunque aveva mandato i magi a Betleem (dopo essersi informato del tempo in cui la stella era apparsa loro), dicendogli di tornare poi da lui quando avrebbero trovato il fanciullino perché pure lui voleva andare ad adorarlo. Ma i magi dopo avere trovato il fanciullino Gesù, non tornarono da Erode perché furono divinamente avvertiti in sogno di non ripassare da Erode; quindi per altra via tornarono al loro paese.
Questo naturalmente fece infuriare Erode che si vide beffato dai magi; e allora egli mandò a sterminare tutti i maschi ch'erano in Betleem e in tutto il suo territorio dall'età di due anni in giù (secondo il tempo del quale egli s'era informato dai magi). Ma il fanciullino Gesù non fu messo a morte perché Dio mediante un angelo aveva avvertito per tempo Giuseppe dicendogli di prendere il fanciullino e sua madre e di andare in Egitto e rimanervi fino a nuovo ordine. Quando poi Erode fu morto, allora Dio, sempre mediante un suo angelo, avvertì Giuseppe e gli disse di tornare in Israele.
Giunto in Israele, Giuseppe si ritirò in Galilea e precisamente nella città di Nazareth. Qui in Nazareth Gesù fu allevato dai suoi genitori e cresceva in sapienza e in statura, si fortificava e la grazia di Dio era sopra lui.

Quando Gesù raggiunse i trenta anni circa lasciò la Galilea e si recò al fiume Giordano a farsi battezzare da Giovanni il Battista, che era apparso da qualche tempo nel deserto della Giudea predicando un battesimo di ravvedimento per la remissione dei peccati. Chi era costui? Egli non era né Elia, e neppure il Cristo, come lui stesso ebbe a rispondere a quei Farisei che lo avevano interrogato un giorno al di là del Giordano dove lui stava battezzando; ma egli era colui del quale aveva parlato Dio tramite il profeta Malachia quando disse: "Ecco, io vi mando il mio messaggero; egli preparerà la via davanti a me" (Mal. 3:1). Un uomo perciò che Dio aveva mandato innanzi al suo Unto per preparargli la via. Ma in che maniera il messaggero di Dio avrebbe preparato la strada davanti all'Unto di Dio? Testimoniando di lui affinché tutti credessero per mezzo di lui; e questo difatti è quello che fece Giovanni.
Quando in quel giorno il Battista lo battezzò e Gesù fu uscito dall'acqua avvenne che i cieli si apersero ed egli vide scendere su di lui lo Spirito Santo in forma corporea a guisa di colomba ed udì una voce che disse: "Questo è il mio diletto Figliuolo nel quale mi son compiaciuto" (Matt. 3:17). Da allora il Battista cominciò ad attestare alle turbe: "Ho veduto lo Spirito scendere dal cielo a guisa di colomba, e fermarsi su di lui. E io non lo conoscevo; ma Colui che mi ha mandato a battezzare con acqua, mi ha detto: Colui sul quale vedrai lo Spirito scendere e fermarsi, è quel che battezza con lo Spirito Santo. E io ho veduto e ho attestato che questi è il Figliuol di Dio" (Giov. 1:32-34). In occasione dunque del suo battesimo in acqua Gesù di Nazareth fu unto da Dio di Spirito Santo.
Dopo che Gesù fu unto, lo Spirito Santo lo condusse nel deserto affinché fosse tentato da Satana. Dopo che ebbe digiunato per quaranta giorni e quaranta notti per tre volte il tentatore cercò di farlo cadere in peccato; ma Gesù si oppose a lui in maniera efficace citandogli la legge del Signore che egli aveva riposto nel suo cuore secondo che è scritto: "La legge del suo Dio è nel suo cuore; i suoi passi non vacilleranno" (Sal. 37:31). Il diavolo allora lo lasciò fino ad altra occasione, e gli angeli di Dio vennero a servirlo.

Dopo di ciò, Gesù tornò in Galilea dove cominciò a predicare e ad insegnare, glorificato da tutti. Venne anche a Nazareth dove era stato allevato, ma qui i suoi concittadini si levarono pieni di ira contro di lui perché dopo che egli ebbe letto in sinagoga quel passo di Isaia dove è detto: "Lo Spirito del Signore, dell'Eterno è su me, perché l'Eterno m'ha unto per recare una buona novella agli umili; m'ha inviato per fasciare quelli che hanno il cuore rotto, per proclamare la libertà a quelli che sono in cattività, l'apertura del carcere ai prigionieri, per proclamare l'anno di grazia dell'Eterno" (Is. 61:1), egli affermò che in quel giorno quella Scrittura s'era adempiuta, e che nessun profeta è ben accetto nella sua patria. Essi allora lo cacciarono fuori dalla città e cercarono di precipitarlo giù dal ciglio del monte su cui era fabbricata Nazareth, ma egli passando in mezzo a loro se ne andò a Capernaum, città sul mare ai confini di Zabulon e Neftali, dove fissò la sua residenza, infatti questa città è chiamata la sua città (cfr. Matt. 9:1).
Gesù andava attorno di città in città e di villaggio in villaggio predicando ed annunziando la buona novella del regno di Dio. Egli diceva alla turbe: "Ravvedetevi e credete all'Evangelo" (Mar. 1:15); quindi esortava tutti a pentirsi dei loro peccati ed a credere nella buona notizia di cui lui era l'ambasciatore per volontà di Dio. Il profeta Isaia infatti aveva detto del Cristo che egli avrebbe recato una buona novella ai poveri. Ma in che cosa consisteva questa buona notizia in cui Gesù ordinava agli uomini di credere? Nel fatto che Dio nella pienezza dei tempi aveva mandato nel mondo il suo Figliuolo affinché chiunque credesse in lui non perisse ma avesse vita eterna. In altre parole nella meravigliosa notizia che Dio nel suo grande amore aveva mandato nel mondo il suo Figliuolo affinché per mezzo di lui il mondo fosse salvato, e che per essere salvati era necessario, indispensabile, credere in lui.

Oltre ad annunziare ai Giudei il ravvedimento e la fede in lui, Gesù insegnò molte cose in parabole alle turbe e così si adempirono le parole del profeta: "Io aprirò la mia bocca per proferir parabole, esporrò i misteri dei tempi antichi" (Sal. 78:2).
Ma Gesù operò anche tante guarigioni in mezzo ai Giudei. Egli risuscitò pure i morti e cacciò molti demoni dai corpi di coloro che li possedevano, e questo perché Dio era con lui.
Ma nonostante Gesù andasse in giro per il paese dei Giudei facendo del bene, e guarendo tutti coloro che erano sotto il dominio del diavolo perché Dio era con lui, ci furono molti che non credettero in lui, e dissero di lui che era un mangione e un ubriacone, uno che seduceva le persone, un pazzo, uno che aveva il principe dei demoni e mediante di esso cacciava i demoni, un peccatore perché violava il sabato, un bestemmiatore perché chiamava Dio suo Padre e si faceva uguale a lui. Calunnie, solo calunnie; perché Gesù fu un uomo temperato in ogni cosa; un uomo che non cercò mai il suo interesse come invece fanno i seduttori di menti che insegnano cose che non dovrebbero per amore di disonesto guadagno; un uomo ripieno di sapienza, ma non di quella dei principi di questo mondo ma di quella di Dio misteriosa ed occulta; un uomo ripieno di Spirito Santo che cacciava i demoni per l'aiuto dello Spirito; un uomo che non violò mai il Sabato perché in giorno di Sabato è lecito di fare del bene, è lecito di salvare una persona e lui in quel giorno faceva proprio questo guarendo coloro che avevano bisogno di guarigione; un uomo verace che non si fece uguale a Dio per presunzione ma perché egli era uguale a Dio per natura essendo il suo Unigenito Figliuolo venuto da presso a Lui. Ma quantunque fosse uguale a Dio, Egli non reputò una cosa da ritenere con avidità questa uguaglianza con Dio ma umiliò se stesso prendendo la forma di servo, divenendo simile ai figliuoli degli uomini. Ecco perché molti non riconobbero in lui il Figlio di Dio perché si presentò sotto forma di un umile servo che apparentemente non aveva nulla di diverso dagli altri uomini.
Queste calunnie naturalmente fecero soffrire Gesù perché egli si vide rigettato proprio da quelli di casa sua; egli soffrì come i profeti che erano stati prima di lui i quali erano stati mandati da Dio al popolo per il suo bene ed invece furono rigettati e calunniati in ogni maniera quasi che essi cercassero il suo male. Si adempirono così le parole del profeta Isaia con cui egli aveva definito il Cristo: "Uomo di dolore, familiare col patire" (Is. 53:3), e così fu infatti Gesù Cristo.
Tra coloro che rigettarono Gesù ci furono i capi sacerdoti e i Farisei i quali, avendo disconosciuto lui e le dichiarazioni dei profeti che si leggevano ogni sabato, deliberarono di pigliarlo e di farlo morire.

Alcuni giorni prima della Pasqua, Gesù salì a Gerusalemme entrandovi montato sopra un asinello. Avvenne proprio in quei giorni che precedevano la Pasqua che Satana entrò in uno dei discepoli di Gesù, chiamato Giuda Iscariota, il quale andò dai capi sacerdoti per darglielo nelle mani. Ed essi rallegratisi di ciò, promisero di dargli in cambio del denaro, trenta sicli d'argento. Da quel momento perciò Giuda Iscariota cercava il momento opportuno di tradirlo.
Avvenne così che durante la festa della Pasqua, dopo che Gesù ebbe mangiato la Pasqua coi suoi discepoli che Giuda uscì da dove essi erano radunati. Poco dopo venne nell'orto del Getsemani, dove Gesù intanto era andato coi suoi discepoli per pregare, con una grande turba che aveva spade e bastoni. Dopo avere ricevuto il convenuto segnale da parte di Giuda, costoro misero le mani addosso a Gesù e lo arrestarono; esattamente come avrebbero fatto con un malfattore. Tutti i suoi discepoli allora lo lasciarono e se ne fuggirono.
Lo portarono prima davanti al Sinedrio che lo condannò come reo di morte perché si era dichiarato il Figlio di Dio, e quindi per bestemmia. Quando i membri del Sinedrio dissero: "È reo di morte" (Matt. 26:66), gli sputarono in viso e gli diedero dei pugni; e altri lo schiaffeggiarono, dicendo: "O Cristo profeta, indovinaci: Chi t'ha percosso?" (Matt. 26:68). Poi, legatolo, lo menarono dal governatore Ponzio Pilato per chiedergli di crocifiggerlo. Questi in un primo tempo aveva deliberato di liberarlo perché non trovava in lui nulla che fosse degno di morte (lo aveva anche mandato da Erode che in quei giorni si trovava in Gerusalemme il quale lo aveva schernito coi suoi soldati, ed anche lui non aveva trovato in Gesù alcuna delle colpe di cui l'accusavano i capi sacerdoti e gli scribi), ma siccome la moltitudine chiedeva con grande grida di crocifiggerlo acconsentì a quello che essa chiedeva e perciò comandò che fosse fatto prima flagellare e poi crocifiggere. I soldati del governatore lo menarono allora dentro il pretorio e lo vestirono di porpora, gli misero sul capo una corona di spine, una canna nella mano destra, e prostratisi davanti a lui lo beffavano dicendo: Salve, re dei Giudei! e gli percuotevano il capo con la canna e gli sputavano addosso.
Dopo averlo spogliato della porpora e rivestito dei suoi vestimenti lo menarono fuori al luogo detto Golgota, dove lo inchiodarono sulla croce affinché si adempissero le parole: "M'hanno forato le mani e i piedi" (Sal. 22:16), in mezzo a due malfattori e questo affinché si adempissero le parole di Isaia: "E' stato annoverato fra i trasgressori" (Is. 53:12).
Mentre era appeso sulla croce i soldati presero le sue vesti e ne fecero quattro parti affinché ognuno di loro ne avesse una parte, mentre la tunica la tirarono a sorte per sapere a chi toccherebbe; questo avvenne affinché si adempisse la Scrittura: "Spartiscon fra loro i miei vestimenti e tirano a sorte la mia veste" (Sal. 22:18).
Un'altra cosa che avvenne mentre Gesù era appeso sulla croce agonizzante fu che lui venne schernito da coloro che passavano di là e dai capi sacerdoti, dagli scribi e dagli anziani i quali gli dicevano: "Ha salvato altri e non può salvar se stesso! Da che è il re d'Israele, scenda ora giù di croce, e noi crederemo in lui. S'è confidato in Dio; lo liberi ora, s'Ei lo gradisce, poiché ha detto: Son Figliuol di Dio" (Matt. 27:42-44); e questo avvenne affinché si adempissero le parole di Davide: "Chiunque mi vede si fa beffe di me; allunga il labbro, scuote il capo, dicendo: Ei si rimette nell'Eterno; lo liberi dunque; lo salvi, poiché lo gradisce" (Sal. 22:7-8), ed ancora: "Apron la loro gola contro a me, come un leone rapace e ruggente" (Sal. 22:13).
Prima che Gesù spirasse gridò: "Elì, Elì, lamà sabactanì? cioè: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?" (Matt. 27:46), e in quel momento uno degli astanti corse a prendere una spugna e inzuppatala d'aceto e postala in cima ad una canna gli diè da bere. Questo avvenne affinché si adempisse quello che era stato detto da Davide: "Nella mia sete, m'han dato a ber dell'aceto" (Sal. 69:21).
Dopo che Gesù spirò, i soldati vennero a fiaccare le gambe a coloro che erano sulla croce, fiaccarono le gambe ai due che erano stati crocifissi con lui, ma a Gesù non gliele fiaccarono, perché lo videro già morto, affinché si adempisse la Scrittura che dice: "Niun d'osso d'esso sarà fiaccato" (Giov. 19:36; Sal. 34:20). Quella sera si adempì anche la Scrittura: "Ed essi riguarderanno a me, a colui ch'essi hanno trafitto" (Zacc. 12:10).

Ma perché morì Gesù Cristo? "Egli è stato trafitto a motivo delle nostre trasgressioni, fiaccato a motivo delle nostre iniquità" (Is. 53:5), dice Isaia. Quindi la sua morte sulla croce, voluta e decretata dai Giudei ed eseguita materialmente dai Gentili, non fu altro che l'adempimento delle parole del profeta Isaia. E perciò diciamo che fu Dio che fece sì che i Giudei e i Gentili si mettessero assieme contro il suo Unto per ucciderlo e questo affinché con la sua morte egli ci liberasse dal peccato.
Vediamo ora di spiegare questo concetto molto importante. Il peccato è entrato nel mondo tramite un uomo solo di nome Adamo e questo peccato è passato su tutti gli uomini, per cui tutti hanno peccato. Ma che cosa rende forte il peccato nell'uomo? La legge, perché, come dice Paolo, essa è "la forza del peccato" (1 Cor. 15:56). Sempre Paolo spiega questo quando dice che: "Il peccato, còlta l'occasione, per mezzo del comandamento, mi trasse in inganno; e, per mezzo d'esso, m'uccise" (Rom. 7:11), in altre parole il peccato fa leva sulla legge per portare la morte nell'uomo. La legge è sì buona e santa, ma il peccato si usa di essa proprio per cagionare la morte nell'uomo. Per fare un paragone, è come se un omicida si usasse di un pezzo di legno fatto da Dio per uccidere un altro uomo. Chi ammazza non è il legno fatto da Dio e buono in se stesso, ma l'omicida che si usa di esso per adempiere il suo criminoso disegno. Così il peccato omicida si usa della legge, data da Dio ad Israele e perciò buona, per uccidere spiritualmente le persone. Quindi occorreva annullare il peccato, cioè spogliarlo del suo potere che aveva sull'uomo. E GESÙ HA FATTO PROPRIO QUESTO CON IL SUO SACRIFICIO, HA ANNULLATO IL PECCATO; LO HA POTUTO FARE QUESTO PERCHÉ EGLI SI È CARICATO DELLE NOSTRE INIQUITÀ MORENDO SULLA CROCE PER NOI TUTTI. Ecco perché chi crede in lui viene affrancato dal peccato, perché Gesù sulla croce ha crocifisso il suo (di chi crede) vecchio uomo. Quindi il credente in Cristo è morto con Cristo al peccato; e di conseguenza la legge ha cessato di dominarlo perché la legge signoreggia l'uomo solo mentre egli vive e non anche dopo che è morto. Ed il credente mediante il corpo di Cristo è morto alla legge, a quella cioè che lo teneva soggetto a schiavitù, per appartenere ad un altro, cioè a colui che è risorto dai morti.

Dopo che Gesù spirò sulla croce, venne un certo Giuseppe d'Arimatea che era un uomo ricco e che era diventato anch'egli discepolo di Gesù, il quale chiesto il corpo a Pilato, prese il corpo di Gesù, lo avvolse in un panno lino netto e lo depose nella sua tomba che aveva fatta scavare lì nei pressi, e nella quale ancor nessuno era stato posto. Fu così che si adempì quell'altra Scrittura che dice: "Gli avevano assegnata la sepoltura fra gli empi, ma nella sua morte, egli è stato col ricco" (Is. 53:9).
Ma il terzo giorno Dio lo risuscitò dai morti perché era impossibile che Cristo fosse ritenuto dalla morte; ed anche la sua risurrezione era stata preannunziata da Dio nella sua parola infatti Davide aveva detto: "Tu non lascerai l'anima mia nell'Ades, e non permetterai che il tuo Santo vegga la corruzione" (Atti 2:27). E' chiaro che qui Davide non parlò di lui perché il suo corpo rimase nel sepolcro e vide la corruzione, ma parlò della risurrezione del Cristo, di uno dei suoi discendenti, perché lui sapeva che Dio gli aveva promesso con giuramento che lo avrebbe fatto sedere sul suo trono in eterno secondo che è scritto: "L'Eterno ha fatto a Davide questo giuramento di verità, e non lo revocherà: Io metterò sul tuo trono un frutto delle tue viscere" (Sal. 132:11).

Dopo che Gesù risuscitò si fece vedere da quelli che egli aveva scelti, mangiò e bevve con loro, e discusse con loro delle cose relative al regno di Dio e diede loro dei comandamenti; dopodiché fu assunto in cielo alla destra della Maestà e questo affinché si adempissero le parole di Davide: "L'Eterno ha detto al mio Signore: Siedi alla mia destra finché io abbia fatto dei tuoi nemici lo sgabello dei tuoi piedi" (Sal. 110:1). E dal cielo, a suo tempo, egli tornerà con gloria e potenza.

Ravvediti e credi in Lui

Una delle cose che Gesù prima di essere assunto in cielo ordinò di fare fu quella di predicare nel suo nome agli uomini il ravvedimento e la remissione dei peccati (cfr. Luca 24:46-47). Questo è quello che fecero gli apostoli dopo che lui fu assunto in cielo, e questo è quello che facciamo noi oggi a distanza di quasi duemila anni in obbedienza all'ordine di Cristo Gesù.
Ti esortiamo quindi nel nome di Cristo a pentirti dei tuoi peccati e a credere in Gesù Cristo, perché SOLO MEDIANTE LA FEDE IN LUI PUOI OTTENERE LA REMISSIONE DEI TUOI PECCATI secondo che è scritto: "Di lui attestano tutti i profeti che chiunque crede in lui riceve la remissione dei peccati mediante il suo nome" (Atti 10:43). Gesù Cristo infatti ha l'autorità di rimettere agli uomini i loro peccati, come l'aveva quando era sulla terra (cfr. Mar. 2:5-11), perché egli è il Figlio di Dio, e questo egli fa PERSONALMENTE verso coloro che credono in lui. Non c'è dunque bisogno di nessun altro mediatore tra Dio e gli uomini, oltre a Gesù Cristo, al fine di ottenere la remissione dei propri peccati. Te lo ripetiamo: nessuno (cfr. 1 Tim. 2:5-6).
Credi nel nome del Figliuolo di Dio e otterrai la remissione dei tuoi peccati. E non solo, otterrai anche la vita eterna secondo che è scritto: "Chi crede ha vita eterna" (Giov. 6:48), per cui SARAI SICURO che quando morirai andrai in paradiso - un luogo celeste meraviglioso dove non c'è nè dolore nè pianto e dove regna la pace (cfr. 2 Cor. 12:2-4; Giob. 25:2) - e comincerai perciò ad avere il desiderio di partire dal corpo e abitare con il Signore in Paradiso (cfr. Fil. 1:23; 2 Cor. 5:8). Non indugiare, non posticipare questa decisione a domani o a qualche altro giorno (cfr. 2 Cor. 6:2), potrebbe essere troppo tardi per farlo perché all'improvviso potresti morire senza avere neppure il tempo di pentirti e credere in Gesù e te ne andresti direttamente all'inferno - un luogo orribile che esiste nel cuore della terra dove arde il fuoco e le anime dei peccatori soffrono dei tormenti atroci e terribili (cfr. Luca 16:24) - senza avere più per tutta l'eternità un'altra opportunità di pentirti e credere in Gesù. Questa è infatti la fine che aspetta tutti coloro che non si ravvedono e non credono in Gesù Cristo (Sal. 9:17).
Due vie stanno dinnanzi a te: quella del peccato che mena all'inferno e sulla quale ti trovi, e quella santa che mena in paradiso sulla quale ci troviamo noi per la grazia di Dio e che ti abbiamo indicato: abbandona la via del peccato e incamminati per la via santa, e non te ne pentirai giammai perché è scritto che del ravvedimento che mena alla salvezza non c'è mai da pentirsi (cfr. 2 Cor. 7:10).


Si vedano anche:


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Studio biblico su Gesù Cristo
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Studio biblico su Gesù, il Cristo

Studio biblico su Gesù, il Cristo
Myer Pearlman

1. La Parola di Dio (eterna preesistenza ed attività)

Con la parola l'uomo si esprime e si mette in comunicazione con gli altri, attraverso la parola rende noti i suoi pensieri ed i suoi sentimenti e per essa impartisce ordini e mette ad effetto la sua volontà. La parola che egli pronuncia reca l'impronta dei suoi pensieri e del suo carattere: per le parole di un uomo un'altra persona potrebbe conoscerlo perfettamente, anche se tosse cieca; la vista e l'informazione potrebbero rivelare ben poco circa il carattere d'un uomo, se non si potessero ascoltare le sue parole; la parola dell'uomo è il suo carattere espresso.

Allo stesso modo, la «Parola di Dio» è quella con la quale Egli comunica con gli altri esseri e tratta con loro; è il mezzo con il quale esprime la Sua potenza, intelligenza e volontà. Cristo è quella Parola, perché attraverso di Lui Iddio ha rivelato la Sua attività, la Sua volontà ed il Suo scopo, e perché attraverso di Lui Dio viene a contatto con il mondo. Noi ci esprimiamo attraverso le parole; l'Iddio eterno si esprime attraverso il Suo Figliuolo, il quale è «l'espressa immagine della Sua persona» (cfr. Ebrei 1:3). Cristo è la Parola di Dio perché rivela Dio dimostrandoLo appieno. Egli non solo reca il messaggio, ma è il messaggio di Dio.

È vero che Dio si rivelò attraverso la parola profetica, attraverso i sogni e le visioni ed anche attraverso temporanee manifestazioni. Ma l'uomo bramava una risposta più chiara alla domanda: «Come è Dio?». Per rispondere a questa domanda era necessario il più meraviglioso avvenimento della storia:

«Nel principio era la Parola, e la Parola era con Dio, e la Parola era Dio. ... E la Parola è stata fatta carne ed ha abitato per un tempo fra noi, piena di grazia e di verità; e noi abbiam contemplata la sua gloria, gloria come quella dell'Unigenito venuto da presso al Padre.»
(Giovanni 1:1, 14)
La Parola eterna di Dio prese su di Sé la natura umana e divenne uomo per rivelare l'Iddio eterno attraverso una personalità umana: «Iddio, dopo aver in molte volte e in molte maniere parlato anticamente ai padri per mezzo dei profeti, in questi ultimi giorni ha parlato a noi mediante il suo Figliuolo» (Ebrei 1:1,2). Pertanto alla domanda: «Come è Dio?» il cristiano risponde: «Dio è come Cristo», perché Cristo è la Parola di Dio stesso. Cristo è «l'espressa immagine della Sua persona», «l'immagine dell'invisibile Iddio» (Colossesi 1: 15).



2. La deità del Figlio di Dio

a. La coscienza che Cristo aveva di Sé

Quale coscienza aveva Gesù di Se stesso, ovvero che cosa sapeva sul proprio conto? Luca riporta un episodio dell'infanzia di Gesù, in cui dice che già da piccolo Egli aveva coscienza di due cose: di una speciale relazione con Dio, che definiva Suo Padre, e di una speciale missione sulla terra, quella di curare «le cose del Padre Mio».

Al fiume Giordano Gesù udì la voce del Padre (Dio) che corroborava e confermava questa Sua consapevolezza (Matteo 3:17) e, nel deserto, Egli resistette valorosamente al tentativo di Satana di mettere in dubbio che Egli fosse il Figliuolo di Dio («se sei il Figliuolo di Dio» Matteo 4:3). Più tardi, durante il Suo ministerio, proclamò beato Pietro perché, ispirato dal cielo, aveva reso testimonianza della Sua Deità e messianicità (Matteo 16:15-17). Quando, davanti al consiglio dei Giudei, avrebbe potuto sfuggire alla morte negando la figliolanza unica ed affermando semplicemente che era un figliuolo di Dio nello stesso modo in cui lo erano gli altri uomini, Egli dichiarò la propria coscienza di Deità pur sapendo che questo significava una condanna a morte (Matteo 26:63-65).

b. Le asserzioni di Cristo

Cristo si metteva fianco a fianco con l'attività divina: «Mio Padre opera fino ad ora, ed Io opero», «Io son proceduto dal Padre» (Giovanni 16:28), «Il Padre mi ha mandato» (Giovanni 20:21). Asseriva di conoscere Dio Padre e di avere comunione con Lui (Matteo 11:27; Giovanni 17:25); sosteneva di svelare l'essere del Padre in Se stesso (Giovanni 14:9-11); si attribuiva delle prerogative divine: onnipresenza (Matteo 18:20), potestà di perdonare i peccati (Marco 2:5-10), potenza di risuscitare i morti (Giovanni 6:39,40,54; Giovanni 11:25; Giovanni 10:17,18); si proclamava Giudice ed Arbitro del destino dell'uomo (Giovanni 5:22; Matteo 25:31-46).

Gesù richiedeva un arrendimento ed una fedeltà che solo Dio può avere il diritto di pretendere; insisteva sul completo arrendimento del proprio essere da parte dei Suoi seguaci: essi dovevano essere pronti a rompere il più caro ed il più stretto dei legami, perché chiunque avesse amato anche il padre o la madre più di Lui non era degno di Lui (Matteo 10:37; Luca 14:25-33).

Queste elevatissime asserzioni venivano fatte da Uno che viveva come il più umile degli uomini e venivano esposte con la stessa naturalezza con la quale, ad esempio, Paolo avrebbe potuto dire: «Io sono un uomo giudeo». Per arrivare alla conclusione che Cristo era divino ci dovevano porre due premesse: primo, che Gesù non era un uomo malvagio e, secondo, che non era demente. Se Egli diceva di essere divino, mentre sapeva di non esserlo, non poteva essere buono; se Egli immaginava falsamente di essere Dio, non poteva essere savio. Ma nessuna persona di senno avrebbe potuto negare il Suo perfetto carattere o la Sua superiore sapienza. Di conseguenza, si può concludere che Egli era ciò che asseriva di essere: il Figliuolo di Dio.

c. L'autorità di Cristo

Negli insegnamenti di Cristo si nota l'assenza di espressioni come «È mia opinione», «può darsi», «penso che...», «possiamo allo stesso modo supporre», ecc. Uno studioso razionalista ebreo ammise che Egli parlò con l'autorità dell'Iddio Onnipotente stesso. Il Dott. Henry van Dyke mette in rilievo che nel sermone sul monte, ad esempio, abbiamo:

La visione sorprendente di un Ebreo credente, che si mette al di sopra della regola della sua fede; di un umile maestro che mostra un'autorità suprema sopra la condotta umana; di un riformatore morale che scarta ogni altro fondamento e dice: «Chiunque ode queste mie parole e le mette in pratica sarà paragonato ad un uomo avveduto che ha edificata la sua casa sopra la roccia» (Matteo 7:24). Quarantanove volte, in questa breve descrizione dei discorsi di Gesù, ricorre la frase solenne con la quale Egli autentica la verità: «In verità io ti dico».

d. L'irreprensibilità di Cristo

Nessun predicatore che chiami gli uomini al ravvedimento e alla giustizia può fare a meno di riferirsi alla propria imperfezione ed ai propri peccati; infatti, quanto più santo sarà, tanto più lamenterà e riconoscerà la propria limitazione. Ma, nei detti e nelle parole di Gesù, vi è una completa assenza di coscienza e di confessione del peccato. Egli aveva la più profonda conoscenza del male e del peccato, ma nessun'ombra o macchia di esso si rifletteva sull'anima Sua. Anzi, Lui che era il più umile degli uomini, lancia la sfida: «Chi di voi mi convince di peccato?» (Giovanni 8:46).

Anche le beffe dei pagani sono una testimonianza della Deità di Cristo. Su una parete di un antico palazzo romano (che non va oltre il terzo secolo) è stato trovato un disegno raffigurante una figura umana con la testa di asino appesa alla croce, mentre un uomo sta ritto davanti ad essa in attitudine di adorazione; sotto, un'iscrizione dice: «Alexamenos adora il suo Dio». Henry van Dyke commenta:

Pertanto i canti e le preghiere dei credenti, le accuse dei persecutori, le beffe degli scettici ed i grossolani motteggi degli schernitori si uniscono per provare che, senza ombra di dubbio, i cristiani primitivi rendevano onori divini al Signor Gesù... Non vi è ragione di dubitare che i cristiani dell'era apostolica vedessero in Cristo una rivelazione personale di Dio, più di quanto non si possa dubitare che gli amici ed i seguaci di Abramo Lincoln guardavano questo Presidente come un bravo e leale cittadino americano di razza bianca.

Non dobbiamo, però, concludere che la Chiesa primitiva non adorasse Dio Padre, perché avveniva perfettamente l'opposto. Era pratica generale pregare il Padre nel nome di Gesù e ringraziarLo per il dono del Suo Figliuolo. Ma per loro era così reale la Deità di Cristo e l'unità tra le due Persone, che era perfettamente naturale invocare il nome di Gesù. Fu la loro perfetta aderenza all'insegnamento dell'Antico Testamento sull'Unicità di Dio, unita alla loro ferma credenza nella Deità di Cristo, che li portò a formulare la dottrina della Trinità.

La seguente definizione tratta dal credo Niceno (quarto secolo) sono state, e sono tuttora, recitate da molti in modo formale, ma esse esprimono fedelmente la profonda convinzione del cuore di quei fedeli.

Noi crediamo in un Signore: Gesù Cristo, il Figliuolo di Dio, unigenito del Padre, cioè della sostanza del Padre, Dio da Dio, Luce di Luce, vero Dio di vero Dio, generato e non creato, essendo di una sostanza con il Padre; per il quale tutte le cose furono fatte che sono in cielo ed in terra; il Quale, per noi uomini e per la nostra salvezza, discese, e fu incarnato e fu fatto uomo; e soffrì, e risuscitò il terzo giorno ed ascese al cielo, e ritornerà per giudicare i vivi ed i morti.



3. Significato del titolo di “figliuolo dell’uomo”

Secondo l'uso ebraico, «figliuolo di» denota relazione e partecipazione. Ad esempio: «i figliuoli del regno» (Matteo 8:12) sono quelli che devono partecipare alle sue verità e alle sue benedizioni; «i figliuoli della resurrezione» (Luca 20:36) sono coloro che sono risorti; un «figliuolo di pace» (Luca 10:6) è colui che possiede una disposizione pacifica; un «figliuolo di perdizione» (Giovanni 17:12) è colui che è destinato alla condanna e alla rovina. Quindi «figliuol d'uomo» indica, in primo luogo, colui che è partecipe della natura umana e delle umane qualità: l'espressione mette in risalto i caratteri di debolezza e di impotenza tipici dell'uomo (Numeri 23:19; Giobbe 16:21; Giobbe 25:6). In questo senso, il titolo viene applicato per circa ottanta volte ad Ezechiele, per ricordargli la sua debolezza e la sua caducità e indurlo all'umiltà nel compimento del suo ministerio profetico.

Applicato a Cristo, «Figliuol d'uomo» Lo designa come partecipe della natura e delle qualità umane e soggetto alle infermità umane, ma, allo stesso tempo, questo titolo implica la Sua Deità. Perché, se qualcuno dichiarasse enfaticamente: «Io sono un figliuol d'uomo», la gente gli risponderebbe: «Lo credo bene! Tutti lo sanno»; sulle labbra di Gesù, invece, l'espressione significava che Egli proveniva dal cielo ed aveva identificato Se stesso con l'umanità per divenirne il rappresentante e il Salvatore. Notate anche che Egli è il e non un figliuol d'uomo.

Il titolo è connesso alla Sua vita terrena (Marco 2:10; Marco 2:28; Matteo 8:20; Luca 19:10), alle Sue sofferenze a favore dell'umanità (Marco 8:31), alla Sua esaltazione e al Suo dominio sull'umanità (Matteo 25:31; Matteo 26:24; cfr. Daniele 7:14).

Riferendosi a Se stesso come al «Figliuol dell'uomo», Gesù comunicava, in pratica, il seguente messaggio: «Io, il Figliuolo di Dio, sono venuto come Uomo, in debolezza, in sofferenza fino alla morte. Però sono tuttora in contatto con il cielo da dove sono venuto e sono Dio, infatti posso rimettere i peccati (Matteo 9:6); inoltre, sono al di sopra dei regolamenti religiosi, che hanno solo un significato temporaneo e nazionale (Matteo 12:8). La mia natura umana non cesserà quando sarò passato attraverso gli ultimi stadi della sofferenza e della morte, che devo sopportare per la salvezza dell'uomo, perché Io risorgerò e porterò la mia natura umana con Me, in cielo, da dove ritornerò per regnare sopra coloro la cui natura ho assunto».

L'umanità del Figliuolo di Dio era reale e non simbolica; Egli soffrì realmente la fame, la sete, la stanchezza e ogni dolore.



4. Significato del titolo di “Cristo”

a. La profezia

«Cristo» è la forma greca della parola ebraica «Messia», che letteralmente significa «l'unto». La parola è suggerita dalla pratica di ungere con olio, simbolo della consacrazione divina al servizio. Quantunque anche i sacerdoti, e qualche volta i profeti, fossero unti quando s'insediavano nel loro ufficio, il titolo «Unto» veniva applicato particolarmente ai re d'Israele, che governavano come rappresentanti di Yahwê(h) (II Samuele 1:14). In certi casi il simbolo dell'unzione era seguito dalla realtà spirituale, cosicché la persona diveniva l'unto del Signore in senso vero e proprio (I Samuele 10:1,6; I Samuele 16:13).

Saul venne meno, mentre Davide, che gli succedette, fu un uomo «secondo il cuore di Dio», un re che poneva la volontà di Dio come sovrana nella propria vita e che si riteneva un rappresentante di Dio. Molti re successivi a Davide si allontanarono dalla regola divina, conducendo il popolo all'idolatria, ed anche alcuni dei re migliori non furono senza macchia. In contrasto con questo sfondo oscuro, i profeti proclamavano la promessa che sarebbe venuto un re della casa di Davide, molto maggiore di Davide. Lo Spirito del Signore sarebbe stato sopra di Lui con una potenza mai conosciuta prima (Isaia 9:5,6; Geremia 23:5,6); a differenza di quello di Davide il Suo regno sarebbe stato eterno e tutte le nazioni sarebbero state sotto il Suo dominio. Questo Re era l'Unto, o il Messia, o il Cristo, e sopra di Lui Israele fondava le proprie speranze.

b. Il compimento

È testimonianza continua del Nuovo Testamento che Gesù asserì di essere il Messia, il Cristo promesso nell'Antico Testamento.

Come il presidente del nostro Paese viene prima eletto e poi insediato, così Gesù Cristo fu stabilito nell'eternità ad essere il Messia, o il Cristo, e poi pubblicamente “insediato”, al Giordano, nel Suo ufficio messianico. Come Samuele prima unse Saul e poi gli spiegò il significato dell'unzione (I Samuele 10:1), così Dio Padre unse il Suo Figliuolo con lo Spirito della potenza e Gli confermò verbalmente il significato della Sua unzione: «Tu sei il mio diletto Figliuolo; in te mi sono compiaciuto» (Marco 1:11).

Il popolo in mezzo al quale Gesù doveva servire aspettava la venuta del Messia, ma disgraziatamente le loro speranze erano colorate di politica. Essi aspettavano un «uomo forte», che fosse una combinazione fra il soldato e l'uomo di Stato. Gesù sarebbe stato un Messia di tal genere? Lo Spirito Lo condusse nel deserto a combattere contro Satana, il quale astutamente Gli suggerì di adottare la piattaforma della popolarità per raggiungere il potere attraverso una via più breve. «Appaga le loro brame materiali», suggeriva il tentatore (cfr. Matteo 4:3,4; e Giovanni 6:14,15,26), abbagliali saltando dal Tempio (e, tra l'altro, fatti una buona reputazione presso il sacerdozio), mettiti in mostra come un campione del popolo e guidali alla guerra (cfr. Matteo 4:6-9 e Apocalisse 13:2-4).

Gesù sapeva che Satana, ispirato dal proprio spirito egoistico e violento, propugnava la politica della popolarità ed è certo che un simile sistema avrebbe condotto allo spargimento di sangue e alla rovina. No! Egli avrebbe seguito la via di Dio e avrebbe fatto assegnamento solo sulle armi spirituali, per conquistare il cuore degli uomini; anche se sapeva che quel sentiero avrebbe fatto capo all'incomprensione, alla sofferenza e alla morte, Gesù nel deserto scelse la croce e la scelse perché faceva parte del piano di Dio per la Sua vita.

Il Maestro non si sviò mai da quella scelta, sebbene fosse spesso tentato dall'esterno ad abbandonare la via della croce. Vedi, ad esempio, Matteo 16:22.

Gesù evitò scrupolosamente di confondersi con la situazione politica contemporanea. A volte proibiva a coloro che erano stati da Lui guariti di spandere la Sua fama, affinché il Suo ministerio non fosse mal compreso e non fosse scambiato per un tentativo di sollevare il popolo contro Roma. In Matteo 12:15,16 e Luca 23:5 il Suo successo Gli fu rivolto contro come un'accusa. Egli rifiutò deliberatamente di capeggiare un movimento popolare (Giovanni 6:15) e proibì la pubblica proclamazione della Sua messianicità e la testimonianza della Sua trasfigurazione, affinché non venissero sollevate false speranze fra il popolo (Matteo 16:20; Matteo 17:9). Con grande sapienza, sfuggì ad una trappola abilmente tesaGli per screditarLo davanti al popolo come «non patriottico», o per farLo trovare in difficoltà con il governo romano (Matteo 22:15-21). In tutto questo, il Signor Gesù adempì la profezia di Isaia che l'Unto di Dio avrebbe proclamato la verità divina e non sarebbe stato un violento agitatore, cioè un uomo che solleva il popolo a Suo favore (Matteo 12:16-21), come erano stati alcuni dei falsi messia che Lo avevano preceduto (Giovanni 10:8; Atti 5:36; Atti 21:38). Egli non perseguì fini terreni, ma solo fini spirituali, tanto che Pilato, il rappresentante di Roma, poteva testimoniare: «Io non trovo colpa alcuna in quest'uomo» (Luca 23:4).

Abbiamo visto che Gesù cominciò il Suo ministerio fra un popolo che aveva una giusta speranza nel Messia, ma una errata concezione della Sua Persona e dell'opera Sua. Essendo consapevole di ciò, Gesù dapprima non si proclamò pubblicamente Messia (Matteo 16:20), perché sapeva che questo sarebbe stato un segnale di ribellione contro Roma. Egli parlava, piuttosto, del regno descrivendo le sue norme e la sua natura spirituale, per suscitare nel popolo la brama di un regno spirituale che lo avrebbe, a sua volta, condotto a desiderare un Messia spirituale. I Suoi sforzi in questo senso non furono assolutamente privi di risultati, perché Giovanni, l'Apostolo, ci dice (Giovanni 1) che fin dal principio vi fu un gruppo di persone che Lo riconobbe come il Cristo; inoltre, di tanto in tanto, si rivelò ad individui che erano spiritualmente pronti (Giovanni 4:25,26; Giovanni 9:35-37).

Ma la nazione, nel suo insieme, non vedeva relazione tra il ministerio spirituale di Gesù e il concetto ch'essa aveva del Messia. Era pronta ad ammettere che Egli era un grande dottore, un potente predicatore e perfino un profeta (Matteo 16:13,14), ma non quel capo militare e politico che doveva essere, secondo il suo concetto, il Messia. Non possiamo biasimare il popolo d'Israele per questa idea che s'era fatta della persona e dell'opera del Messia, perché Dio aveva veramente promesso di instaurare un regno terreno (Zaccaria 14:9-21; Amos 9:11-15; Geremia 22:5); solo che prima di questo doveva verificarsi una purificazione morale ed una rigenerazione spirituale della nazione (Ezechiele 36:25-27; cfr. Giovanni 3:1-3). Tanto Giovanni Battista che Gesù avevano fatto capire chiaramente che la nazione, nella condizione in cui si trovava, non poteva entrare nel regno, perciò esortavano: «Ravvedetevi, perché il regno dei cieli è vicino». Ma, mentre le parole «regno dei cieli» commuovevano profondamente il popolo, la parola «ravvedetevi» faceva poca impressione: sia i capi (Matteo 21:31,32), sia il popolo (Luca 13:1-3; Luca 19:41-44) rifiutarono di ottemperare alle condizioni del regno e conseguentemente perdettero il privilegio del regno stesso (Matteo 21:43).

Iddio, nella Sua onniscienza, aveva antiveduto il fallimento di Israele (Isaia 6:9,10; Isaia 53:1; Giovanni 12:37-40) e, nella Sua onnipotenza, aveva fatto sì che questo fallimento servisse alla realizzazione di un piano tenuto segreto fino a quel momento. Il piano era il seguente: la reiezione di Israele avrebbe offerto a Dio l'opportunità di scegliere un popolo fra i Gentili (Romani 11:11; Atti 15:13,14; Romani 9:25,26) che, con i credenti Giudei, avrebbe costituito un organismo conosciuto come la Chiesa (Efesini 3:4-6). Gesù stesso lasciò intravedere questo periodo (l'Era della Chiesa), che doveva inserirsi fra il Suo primo e il Suo secondo avvento, e chiamava queste rivelazioni «misteri», perché esse non erano rivelate ai veggenti dell'Antico Testamento (Matteo 13:11-17). Un giorno la fede incrollabile di un centurione Gentile, che contrastava nettamente con la mancanza di fede di molti Israeliti, richiamò alla Sua mente ispirata lo spettacolo dei Gentili che, provenienti da ogni nazione, entravano nel Regno respinto (Matteo 8:10-12) da Israele.

La crisi antiveduta nel deserto venne e Gesù si preparò a fornire delle tristi notizie ai Suoi discepoli. Con tatto, Egli cominciò a fortificare la loro fede: prima, attraverso la testimonianza della Sua messianicità, ispirata dal cielo a Simon Pietro; poi, con la predizione di un avvenimento straordinario (Matteo 16:18,19) che può essere parafrasata così: «La congregazione di Israele (o «chiesa», Atti 7:38) mi ha respinto come Messia e i loro capi scomunicheranno Me che sono la pietra angolare della nazione (Matteo 21:42). Ma il piano di Dio non fallirà per questo, perché Io stabilirò un'altra congregazione («chiesa»), composta di uomini come te, Pietro (I Pietro 2:4-9), che credi nella mia divinità e nella mia messianicità. Tu sarai un conduttore ed un ministro di questa congregazione, avrai il privilegio di aprire le sue porte con la chiave della verità evangelica e tu ed i tuoi fratelli l'amministrerete».

Poi Cristo fece un annuncio che i Suoi discepoli non compresero appieno se non dopo la Sua resurrezione (Luca 24:25-48), l'annuncio cioè, che la croce rientrava nel programma di Dio per il Messia: «Da quell'ora Gesù cominciò a dichiarare ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrir molte cose dagli anziani, dai capi sacerdoti e dagli scribi, ed esser ucciso, e risuscitare il terzo giorno» (Matteo 16:21).

A suo tempo la profezia si adempì. E quando Gesù sarebbe potuto sfuggire alla morte negando la Sua divinità, quando avrebbe potuto essere rilasciato se avesse negato di essere re, Egli persistette nella Sua testimonianza e morì su di una croce che recava l'iscrizione: «QUESTO È IL RE DEI GIUDEI».

Ma il Messia sofferente (Isaia 53:7-9) risuscitò dai morti (Isaia 53:10,11) e, come Daniele aveva antiveduto, ascese alla destra di Dio (Daniele 7:14; Matteo 28:18), da dove deve venire a giudicare i vivi e i morti.

Ora che abbiamo esaminato l'insegnamento dell'Antico e del Nuovo Testamento, siamo in condizione di definire il significato del titolo «Messia»: il Messia è Colui che Dio ha autorizzato a salvare Israele e le nazioni dal peccato e dalla morte, ed a regnare sopra loro come il Signore e il Maestro della loro vita. I Giudei riconoscono che queste affermazioni implicano la Deità, ma sono per essi "una pietra d'inciampo".

Claude Montefiore, un noto studioso giudeo, disse: «Se potessi credere che Gesù era Dio, Egli sarebbe, per conseguenza naturale, il mio Maestro. Perché il mio Maestro, il Maestro dei Giudei moderni è, e può essere, solo Dio».


Note sull'Autore:
Myer Pearlman, ebreo, nacque a Edimburgo il 19 dicembre 1898. Istruito in una Scuola Ebraica nutrì una profonda avversione per il Cristianesimo, finché, emigrato negli Stati Uniti, cominciò ad essere attratto dalla persona di Cristo. Una sera, passando davanti a una Missione cristiana, e udendo la comunità cantare con gioia si sentì spinto ad entrare. In quell'occasione accettò il Signore Gesù Cristo come il Messia promesso e come suo personale Salvatore e Signore. Ecco come ci descrive la sua conversione: "Non ero emozionato, né mi attendevo che dovesse accadere qualcosa, non stavo pregando, ma, mentre ero lì in piedi, sentii una particolare potenza cadere su me in modo indescrivibile, che mi riempì di gioia. Non vidi nessuno, né udii nessuna voce, ma questa esperienza rivoluzionò la mia vita! Il mio viaggio verso il santuario ignoto era concluso. Avevo trovato la realtà del Cristo. Qualche giorno appresso, non appena m'inginocchiai, mi accorsi con somma meraviglia che stavo pronunziando parole sconosciute (Pearlman conosceva l'ebraico, il greco, lo spagnolo, il francese e l'italiano). Quest'esperienza [il battesimo dello Spirito Santo] mi elevò in una sfera più alta e mi diede il senso dell'intimità con Dio".
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Natale, "Gesù nacque a giugno"

Natale, "Gesù nacque a giugno"
Lo sostiene un astronomo australiano
"Gesù nacque a giugno". E' quanto sostiene un astronomo australiano che, grazie a un complesso software, ha disegnato la posizione esatta di tutti i corpi celesti che brillarono sopra la Terra Santa più o meno all'epoca della nascita di Cristo. Inoltre, secondo l'astronomo, la stella cometa che guidò i Re Magi fino alla stalla a Betlemme fu il frutto di una congiunzione dei pianeti Venere e Giove, così vicini da sembrare un'unica "scia luminosa".

Dave Reneke, questo il nome dello scienziato, ha svelato quello che probabilmente fu lo straordinario evento astronomico che segnò la nascita di Gesù Bambino. Secondo Reneke, i Re Magi interpretarono l'evento astrale come il segno che attendevano e seguirono la "stella" fino alla stalla a Betlemme, come era scritto nella Bibbia.

Usando come termine di riferimento il Vangelo di Matteo, Reneke ha localizzato l'eccezionale congiunzione planetaria, apparsa nella costellazione del Leone, al 17 giugno dell'anno secondo prima della nascita di Cristo.

Secondo Reneke, la sua ricerca non ha alcun intento demistificatorio. Tutt'altro: servirà a "rinforzare la fede" perché davvero dimostra che "ci fu un evento straordinariamente luminoso in quell'epoca". Nel passato, la stella di Natale di cui parlano i Vangeli era stata spiegata come una "supernova" o anche come una vera e propria cometa.



http://www.tgcom.mediaset.it/mondo/articoli/articolo435501.shtml




il Giornale.it
n. 296 del 2008-12-11 pagina 19

La sorpresa di Natale? «Gesù è nato a giugno»
di Erica Orsini

La tesi è sostenuta da un astronomo australiano. Grazie a un «software sofisticato» Reneke avrebbe calcolato la posizione dei corpi celesti sulla Terrasanta all’epoca della Natività e fissato una nuova data, a fine primavera
LondraGesù Cristo nacque in giugno, non in dicembre. A sostenerlo questa volta sono dei ricercatori australiani che hanno ricostruito al computer l’esatta posizione nel cielo della stella cometa che guidò i re magi alla stalla di Betlemme. E anche sulla stella dalla lunga coda ci sarebbe qualcosa da dire visto che nell’ultima versione diventa la congiunzione planetaria tra Venere e Giove, insolitamente luminosa.
Secondo la nuova ipotesi, le novità sarebbero due. Astrologicamente parlando, il Bambin Gesù sarebbe dei Gemelli anziché del Capricorno come si era sempre pensato; e poi dovremmo rivedere la data della più importante festività cristiana, perché Natale cadrebbe in primavera, quasi in estate, anziché in inverno. Quasi sicuramente però non è questo che vuole suggerire l’ultimo studio dell’astronomo Dave Reneke. Lo studioso sostiene di aver voluto solo ricostruire nel dettaglio un evento astronomico di grande spettacolarità verificatosi nel cielo sopra alla Terrasanta più di duemila anni fa. Utilizzando un software molto sofisticato Reneke ritiene di aver individuato l’esatta posizione dei corpi celesti al momento della nascita di Cristo spiegando che molto probabilmente i re magi interpretarono la loro luminosità come un segno di qualcosa atteso da tempo e seguirono quella che appariva loro come una stella fino a Betlemme, come racconta la Bibbia.
Secondo gli studiosi Gesù vede la luce tra il terzo anno prima di Cristo e il primo dopo Cristo. Usando il Vangelo di Matteo come punto di riferimento temporale, l’astronomo australiano ha individuato la congiunzione planetaria che appare nella costellazione del Leone esattamente il 17 giugno nell’anno secondo prima di Cristo. «La tecnologia attuale ci ha permesso di ricreare il cielo di quella notte di duemila anni fa - ha spiegato Reneke che attualmente è anche direttore di Sky and Space Magazine -. Non possiamo affermare con certezza che la congiunzione tra Giove e Venere fosse la stella vista dai re magi, ma senza dubbio questo è il risultato più convincente. L’astronomia è una scienza precisa». Secondo Reneke, dicembre sarebbe una data arbitraria che gli uomini hanno scelto come mese di nascita del Salvatore, ma questo non significa che si tratti del mese giusto. Del resto non è la prima volta che si discute sulla data di nascita del figlio di Dio. Secondo il vangelo di Luca, Cristo sarebbe nato in occasione di un censimento, ma l’unico censimento disposto dai Romani in Palestina è quello del 6 o 7 dopo Cristo. Matteo racconta invece che Gesù nasce ai tempi del re Erode che morì nel 4 avanti Cristo.
Ripercorrendo le Scritture, qualcuno ha già fatto osservare che proprio il particolare dei pastori che vedono la stella cometa durante la notte, mentre portano a pascolare il loro gregge farebbe pensare che si tratti di una sera primavera o estiva, essendo le notti invernali in Palestina particolarmente rigide. Anche la stella cometa prima di essere una congiunzione planetaria è stata a sua volta per altre teorie una Supernova apparsa attorno al 5 avanti Cristo. Alla fine però che differenza fa per il comune credente sapere se Gesù nasce con l’afa o con il gelo? Nei Paesi caldi la gente il Natale lo può anche celebrare in spiaggia, ma la fede rimane immutata. Babbo Natale, lui sì che suderebbe se dovesse portare i suoi regali a metà giugno, ma quella è tutta un’altra storia.


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MAGDALA: SCOPERTE AMPOLLE DI PROFUMO DI 2000 ANNI FA


Magdala, scoperto il profumo della Maddalena
di Giuseppe Caffulli
Gerusalemme, 10 dicembre 2008

Preziose ampolle in terracotta e in vetro finissimo, contenenti quello che potrebbe rivelarsi come il «profumo della Maddalena», l'unguento usato per ungere i piedi di Cristo. La notizia del ritrovamento arriva dal sito archeologico di Magdala, sulla riva occidentale del lago di Galilea (o di Tiberiade), dove sono impegnati da diversi anni gli archeologi dello Studium Biblicum Franciscanum di Gerusalemme.
Nel complesso termale compreso nella più vasta area archeologica di Magdala è stato rinvenuto un ninfeo del I secolo d.C. che ha restituito agli studiosi materiale di grandissima importanza: «In una piscina sovrastata da un arco e colma di fango - spiega padre Stefano De Luca, il direttore degli scavi - abbiamo trovato piatti e coppe in legno, oltre ad altro materiale risalente al più tardi al 70 d.C. Piatti e tazze di legno erano probabilmente l'equipaggiamento dei soldati romani, il che dice molto sulla vita della città a quel tempo. Il ninfeo, come il resto del complesso termale, era in uso ai tempi di Gesù e venne distrutto dalla campagna di Tito Vespasiano nel 66-67 d.C.. Sul livello di distruzione è stato ricavato nel III secolo un secondo pavimento che ha salvato il materiale coperto dalla demolizione. Il ritrovamento di oggetti in legno è eccezionale, visto il contesto di Madgala, una zona umida affacciata sul lago di Tiberiade».

Oltre alle tante suppellettili rinvenute, che gettano nuova luce sulla vita quotidiana di Magdala nel I secolo (secondo lo storico Giuseppe Flavio la città contava a quel tempo oltre 40 mila abitanti ed era il centro nevralgico della regione), gli scavi della campagna condotta dall'archeologo francescano hanno portato alla luce qualcosa di davvero unico. «Sul fondo delle piscine frequentate dalle donne, con scalini e banchi lungo le mura, abbiamo trovato una quantità di suppellettili femminili: oggetti per i capelli, per il trucco, spille... Le particolari condizioni del sito, riempito di fango, ci hanno permesso la repertazione di oggetti davvero straordinari, come alcuni unguentari intatti e sigillati, contenenti ancora materia grassa. Noi pensiamo che si tratti di balsami e profumi. Se l'analisi chimica lo confermerà, potrebbero essere i profumi e i balsami analoghi a quelli che la Maddalena o la peccatrice del Vangelo usarono per ungere i piedi di Cristo».

L'identificazione della peccatrice che lava e unge i piedi di Cristo (Lc 7,37-50) con la Maddalena non è certa ed è tardiva. Dai Vangeli sappiamo solamente che Maria chiamata la Maddalena, era la donna «dalla quale erano usciti sette demoni» (Lc 8,2). La Maddalena appartenne fin dagli inizi al gruppo delle discepole itineranti che seguivano Gesù. Nel racconto giovanneo la troviamo menzionata sotto la croce insieme alla «madre, la sorella di sua madre, Maria di Cleofa » (Gv 19,25). La Maddalena è quindi certamente «presso la croce di Gesù» ed è la prima a recarsi al Sepolcro dove vede e riconosce Cristo risorto da morte. Alla Maddalena Gesù si rivolge chiamandola per nome: «Maria!» e a lei affida l'annuncio della resurrezione.

«La scoperta degli unguentari di Magdala ha comunque una grandissima importanza - spiega padre De Luca -. Se anche non fosse la Maddalena la donna che ha unto i piedi del Cristo, abbiamo tra le mani i "prodotti cosmetici" del tempo di Gesù. È insomma molto probabile che la donna che ha unto i piedi di Gesù abbia usato proprio questi unguenti, o prodotti comunque simili per composizione e qualità organolettiche».

Ora le ampolle con il «profumo della Maddalena» sono state affidate ai laboratori di un'importante università italiana e non si esclude di poter arrivare a riprodurre chimicamente i balsami e gli unguenti in uso al tempo di Gesù.

(Nel numero di gennaio-febbraio 2009 del bimestrale Terrasanta torneremo più diffusamente sull'argomento)


(Nella foto una immagine di una delle ampolle trovate a Magdala)



http://www.terrasanta.net/terrasanta/att_det.jsp?wi_number=1403&wi_codseq=

Il fatto della risurrezione di Gesù

LA STORICITÀ DI GESÙ

Il fatto della risurrezione di Gesù


Gesù morì sulla croce verso le tre del pomeriggio del venerdì 14 Nisan (7 aprile), vigilia della Pasqua dell’anno 30 (cfr. Gv 19,31-34). Il cadavere avrebbe dovuto essere tolto dalla croce e gettato nella fossa comune. Invece Giuseppe di Arimatea, un personaggio ragguardevole, membro del Sinedrio e discepolo di Gesù, ma di nascosto, si presentò a Pilato e gli chiese di poterlo seppellire in una tomba nuova, scavata nella roccia e posta in un giardino, vicino al luogo della crocifissione. Tutto fu fatto in gran fretta, perché al tramonto iniziava il giorno della Pasqua, nel quale era proibito prendersi cura dei cadaveri. Alcune donne tennero ben in mente il luogo del sepolcro, perché avevano intenzione di tornare il giorno dopo il sabato per rendere al cadavere di Gesù gli onori dovuti. Ma, giunte al sepolcro, trovarono la pietra ribaltata e il cadavere di Gesù era scomparso. Solo le bende che lo avevano avvolto e il sudario erano al loro posto. Ricevettero pure un annuncio: “Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui” (Mc 16,6).


Il crocifisso è risorto
"Gesù Nazareno, il crocifisso, è risorto”. Questa piccola frase costituisce l’annuncio del fatto più incredibile della storia umana: la risurrezione di Gesù di Nazareth, la sua vittoria sulla morte, in virtù della quale Gesù oggi è “vivente”. Fatto incredibile, perché se c’è una cosa di cui siamo assolutamente sicuri è che dalla morte non si ritorna alla vita, salvo un miracolo – evento assolutamente eccezionale – da parte di Dio. E tuttavia, per quanto incredibile, il fatto della risurrezione è affermato a proposito di Gesù: proprio su di esso da 20 secoli poggia il cristianesimo, al punto che, se Cristo non fosse risorto, tutta la fede cristiana crolla. Quale fondamento ha tale affermazione?

IL NUOVO TESTAMENTO – L’unica testimonianza storica che abbiamo della risurrezione di Gesù è quella del Nuovo Testamento: tutti i libri neotestamentari ne parlano, e non come uno dei fatti riguardanti Gesù, ma come il fatto centrale e costitutivo della fede cristiana. Alcuni testi sono più recenti ed elaborati, ma altri sono assai antichi e primitivi.

LA PRIMA LETTERA AI CORINZI – La testimonianza più antica è contenuta nella Prima lettera di san Paolo ai cristiani di Corinto (cfr. 1Cor 15,1-11). Questa lettera, secondo la grande maggioranza degli studiosi, è stata scritta da Paolo tra il 55 e il 57 d.C. Egli parla in essa dei problemi sorti nella città di Corinto, dove era giunto negli anni 50-51 e nella quale, con grande fatica, aveva costituito una comunità. Un problema assai vivo era quello della risurrezione dei credenti (cfr. 1Cor 15,12). Alcuni “illuminati” e “spiritualisti” ritenevano di essere già giunti alla salvezza “spirituale” e di non aver bisogno di una risurrezione “corporea”. Per combattere tale idea, Paolo ricorda la Buona Notizia che egli, fin dall’inizio del suo apostolato, aveva trasmesso, e che, a sua volta, aveva ricevuto dalla primitiva comunità cristiana, dai “ministri della Parola” con i quali era venuto a contatto sia nel soggiorno ad Antiochia (verso gli anni 40-42), sia verso l’anno 35, al tempo della sua conversione. Siamo in una data estremamente vicina ai fatti, poiché Gesù – con molta probabilità – è stato crocifisso il 7 aprile dell’anno 30. Gli scritti di Paolo sono stati dunque composti in una data che dista appena pochi anni (5-10) dalla morte di Gesù, e in cui il suo ricordo è ancora vivissimo. Ora, che cosa ha ricevuto Paolo? Un breve riassunto della fede cristiana:
1. Cristo è morto per i nostri peccati secondo le Scritture;
2. Cristo fu sepolto;
3. Cristo è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture;
4. Cristo è apparso a Cefa (cioè Pietro) e quindi ai Dodici.


Il primitivo “credo” cristiano
CRISTO È MORTO PER I NOSTRI PECCATI SECONDO LE SCRITTURE – Abbiamo già esaminato in precedenza gli avvenimenti della passione e morte di Gesù sulla croce e non c’è bisogno di ritornarvi. Ma Paolo aggiunge due affermazioni che chiedono di essere spiegate. Dice anzitutto che Cristo è morto “per i nostri peccati”: è una affermazione di fede che sottolinea il valore salvifico della morte di Gesù, in quanto è in forza della morte che Cristo ha sofferto “per noi” che noi riceviamo il perdono di Dio e la riconciliazione con Lui. E tale affermazione di fede è “secondo le Scritture”, poggia sulla rivelazione di Dio, è il naturale compimento delle Scritture. In particolare, l’affermazione “per i nostri peccati” poggia su una parola di Gesù (cfr. Mc 10,45) e il fatto che egli è venuto “per dare la propria vita in riscatto per molti”, cioè per la totalità degli uomini, è qualcosa di totalmente estraneo alle attese giudaiche: il Messia non solo non poteva morire, ma non doveva neppure morire per loro (in riscatto dei loro peccati), né tanto meno per tutti.

CRISTO FU SEPOLTO – Questo secondo punto del primitivo “credo” cristiano indica la definitività della morte di Gesù. La sua non è stata una morte apparente, da cui avrebbe potuto riprendersi. Non solo egli, mentre peneva morto dalla croce, ha ricevuto il colpo di lancia da un soldato, ma è stato calato dalla croce e deposto in un sepolcro, un sepolcro “nuovo” perché il cadavere di un giustiziato non doveva contaminare quello degli altri defunti. La sepoltura del cadavere esprime la definitività della morte, nel senso che con essa si perde anche l’ultimo legame – il cadavere – che unisce il defunto al mondo dei viventi. Con la sepoltura l’uomo non c’è più, neppure in quella “cosa” fredda e inanimata che non è più il suo “corpo”, ma che tuttavia lo ricorda e lo raffigura: egli è veramente e definitivamente morto. Questa affermazione di Paolo è storicamente certa, affermata da tutti e quattro i Vangeli con abbondanza di particolari.

CRISTO È RISUSCITATO IL TERZO GIORNO SECONDO LE SCRITTURE – Il terzo punto del primissimo “credo” cristiano merita un esame più approfondito. Esso pone tre problemi.
1. Il verbo eghêghertai (perfetto passivo di egheirô, risuscitare) deve essere inteso in senso passivo (“è stato risuscitato”) o in senso intransitivo (“è risorto”)? Le due traduzioni sono ugualmente accettabili sotto il profilo grammaticale, ma sotto quello teologico hanno un senso diverso: nel primo caso la risurrezione di Gesù è attribuita a una azione di Dio (“Dio lo ha risuscitato dai morti”: At 4,10; cfr. 1Ts 1,10; Rm 4,24; At 2,32; 13,37); nel secondo la risurrezione di Gesù è attribuita alla sua propria potenza. La prima formula è la più antica (il Padre ha risuscitato Gesù da morte), la seconda è la più recente (Gesù è risorto da morte).
2. Le parole “il terzo giorno” indicano la data della risurrezione o hanno un significato non “storico”, ma “metastorico” e quindi “teologico”? Gli esegeti sono divisi. Alcuni vedono non l’indicazione della data della risurrezione (nessuno ha visto Gesù risorgere e non si può quindi sapere il quando) ma l’indicazione che il suo soggiorno nella tomba è stato breve, non ha superato “il quarto giorno”, dove si può parlare di una dimora “stabile” nel sepolcro (cfr. Gv 11,39). Ad altri sembra meno artificioso vedere una vera indicazione cronologica (ripresa da Os 6,2), che colloca la risurrezione in una serie di fatti (morte, sepoltura, risurrezione, apparizioni) per dire che anch’essa è un fatto realmente avvenuto e quindi databile.
3. L’inciso “secondo le Scritture” si riferisce al “terzo giorno” oppure alle parole “è risuscitato”? La maggioranza degli studiosi propende per l’attribuzione delle parole “secondo le Scritture” alla frase “è risuscitato”, perché è la risurrezione che per sé realizza le Scritture e ne fa comprendere il compimento, e non il fatto, per sé accessorio, che sia avvenuta “il terzo giorno”, anche se il riferimento ad Osea farebbe propendere, secondo altri esegeti, per questa soluzione.

CRISTO È APPARSO A CEFA E QUINDI AI DODICI – Ma quello che più importa è precisare il senso di “risurrezione”: Gesù, dopo essere realmente morto, ha vinto la morte ed è tornato alla vita. Non però alla vita precedente alla sua morte, ma nella pienezza della vita divina. Il suo corpo è sì reale, è il corpo di Gesù di Nazareth che ha subito la crocifissione, ma è pure un “corpo di gloria”. Ed è questo ciò che fu visto dai molti testimoni, come avremo modo di analizzare in seguito, prendendo in esame i “segni” della risurrezione.


I “segni” della risurrezione di Gesù
La Chiesa primitiva ha affermato – e lo afferma anche la Chiesa di oggi – che Gesù è risuscitato da morte. Ma in base a quali elementi ha fatto tale affermazione? In base a un atto di fede o in base a fatti storici, a esperienze storicamente documentabili?

LA RISURREZIONE DI GESÙ È UN FATTO STORICO – Precisiamo che la storicità di cui parliamo non riguarda il “modo” della risurrezione, che per noi resta assolutamente misterioso e in attingibile, ma il “fatto”, l’avvenimento storico in se stesso. E parlando di “fatto” storico, intendiamo dire che Gesù è risorto obiettivamente, nella realtà e non solo nella coscienza di coloro che hanno creduto nella sua risurrezione. Intendiamo dire che qualcosa di obiettivo e di reale è avvenuto nella persona di Gesù, per cui dalla condizione di morto sulla croce e deposto nel sepolcro è passato alla condizione di Vivente e di Signore della storia.

UNA OPPORTUNA DISTINZIONE – Per rispondere alla domanda dobbiamo distinguere tra ciò che è storico e direttamente verificato, e ciò che è storico anche se non direttamente verificato. In altre parole: tra ciò che è “storico” e ciò che è “reale”. È storico e direttamente verificato ciò che è collocabile nell’ambito dell’esperienza e della verificabilità umana, mediante i metodi della ricerca storica. È invece storico, anche se non direttamente verificabile – cioè è “reale” – ciò che, pur non attingibile in se stesso direttamente, lo è però indirettamente, mediante la riflessione su fatti storicamente accaduti che sono in relazione con esso. Ora, la risurrezione di Gesù è un fatto storico – nel senso di “reale” – anche se non direttamente verificato. E ciò per il fatto che essa non è solo un avvenimento di questo mondo (perché Gesù non è tornato alla vita di prima), ma anche “escatologico”, definitivo (perché è entrato nella vita eterna e definitiva di Dio). Perciò, la risurrezione non può essere messa sullo stesso livello di tutti gli altri avvenimenti storici direttamente verificabili che, appunto perché tali, sono passeggeri. In questo senso la risurrezione si pone al di sopra delle categorie della storia umana: è “metastorica” e “trans-storica”.

LA CERTEZZA MORALE – Dobbiamo quindi affermare che la risurrezione è un fatto storico, anche se non direttamente verificato. Infatti, riflettendo sui fatti storici del sepolcro trovato vuoto, delle apparizioni di Gesù ai suoi discepoli, del mutamento avvenuto in questi rispetto a ciò che erano stati durante la vita di Gesù e, soprattutto, durante la sua passione e la sua morte, della nascita e dell’espansione della Chiesa primitiva, noi possiamo avere la certezza morale del fatto storico della risurrezione. Cioè questa ha lasciato nella nostra storia “tracce”, “segni”, riflettendo sui quali noi possiamo avere la certezza morale, e quindi storica, che Gesù è realmente risorto. Evidentemente, la certezza storica o morale non è la certezza della fede: questa è di un altro ordine e ha la sua giustificazione nella testimonianza che Dio stesso dà al credente, attirandolo con la sua grazia interiore a compiere l’atto di fede in Cristo risorto. Proprio per questo la certezza del credente è assoluta. La certezza morale costituisce la giustificazione della fede sul piano razionale, facendo sì che l’adesione alla fede nella risurrezione sia non assurda né infondata, ma ragionevole e razionalmente valida.

LA DISPONIBILITÀ DI CUORE – Ovviamente, i “segni” della risurrezione, per essere percepiti, richiedono una mente e un cuore “purificati”: una mente purificata dai pre-giudizi contro il soprannaturale e un cuore purificato dalle passioni e dal peccato. Chi fosse pregiudizialmente materialista e positivista, negando un intervento di Dio nella storia, non può vedere alcun “segno”, così come chi è immerso nel male è chiuso a Dio.


I “segni” e le “tracce” della risurrezione
Esaminare i “segni” e le “tracce” della risurrezione significa esaminare i racconti che i vangeli ci hanno lasciato circa questo evento.

LA SCOPERTA DEL SEPOLCRO VUOTO – Si tratta di un dato tradizionale che appartiene a uno strato antico delle tradizioni pasquali. Alcuni esegeti moderni (Dibelius e Bultmann) lo hanno messo in dubbio, ritenendolo una “leggenda”. È possibile che istanze apologetiche abbiano portato a dare una notevole importanza alla scoperta del sepolcro vuoto: se il cadavere fosse rimasto al suo posto, data anche la mentalità ebraica del tempo, secondo la quale la resurrezione comportava la rianimazione del cadavere, non si sarebbe potuto parlare di risurrezione. Tuttavia la storicità del ritrovamento della tomba vuota non può essere negata perché:
1. stando alla narrazione della sepoltura di Gesù, la sua tomba era conosciuta e corrispondeva all’uso del tempo che le donne visitassero la tomba di un defunto: non si può quindi negare che alcune donne siano andate al sepolcro di Gesù che esse conoscevano bene;
2. la scoperta del sepolcro vuoto non può essere fatta risalire a una trovata apologetica della Chiesa primitiva, perché le donne a quel tempo non erano ritenute testimoni attendibili;
3. i nemici di Gesù non negarono il fatto che la sua tomba fosse vuota, ma lo giustificavano con il trafugamento del cadavere da parte dei suoi discepoli. Il ritrovamento della tomba vuota è dunque un fatto storico ben fondato e se non è una prova storica della risurrezione, tuttavia è pur sempre una “traccia”, un “segno” che, pur ambiguo in se stesso, “orienta” verso di essa: dice che qualcosa è avvenuto.

LE APPARIZIONI DEL RISORTO – Il “segno” storico più importante, più chiaro e più evidente che la risurrezione di Gesù ha lasciato nella storia è costituito dalle sue “apparizioni”. Se infatti nessuno ha visto risorgere Gesù, i suoi discepoli lo hanno visto risorto: Gesù è apparso ai suoi discepoli molte volte e in diversi luoghi (cfr. 1Cor 15,1-11 dove Paolo, coerentemente, non cita le donne, ma testimoni autorevoli e viventi). Da notare che Paolo usa il verbo ôphthê (aoristo passivo di horaô) che deve essere tradotto non con “fu visto”, ma con “si fece vedere”, “apparve”, “si lasciò vedere”, perché è costruito col dativo (“a Cefa”, “ai Dodici”, “ai 500”, “a Giacomo”). Non furono Cefa, Giacomo e gli altri a “vedere” Gesù risorto, ma fu Gesù che “apparve” loro: non si trattò di una “visione” soggettiva dei discepoli, ma di una “apparizione” oggettiva, reale, di Gesù che s’impose loro. La stessa testimonianza è affermata dai vangeli con diversi linguaggi, anche molto “realisti” (cfr. Lc 24,36-43). In tutti i racconti due elementi sono essenziali e costanti:
1. anzitutto l’iniziativa è sempre e solo di Gesù: appare quando meno te lo aspetti e scompare quando lo si vuole trattenere;
2. un secondo elemento è il riconoscimento. In colui che si mostra loro in forme diverse, i discepoli riconoscono il Gesù che era stato con loro e che era stato crocifisso, non subito e spontaneamente, ma lentamente e con molta difficoltà, tanto che Gesù deve rimproverarli e convincerli che non è un fantasma (cfr. Lc 24,13-35; Gv 20,11-18). I discepoli sono talmente sconcertati delle apparizioni di Gesù che di fronte alle prove più evidenti fanno fatica a credere; sentono di trovarsi di fronte a un mistero, perché il Gesù che sperimentano è, certo, il Gesù col quale sono vissuti, ma anche qualcosa di “più” e di “diverso”, come appare dalle affermazioni di Tommaso e di Maria di Magdala (cfr. Gv 20,28 e Gv 20,7).

LA TRASFORMAZIONE DELLA VITA DEI DISCEPOLI – Il terzo “segno” che la risurrezione di Gesù ha lasciato nella storia è la radicale trasformazione avvenuta nei suoi discepoli immediatamente dopo tale avvenimento. Durante la vita di Gesù essi appaiono meschini e interessati; nella passione hanno paura di esporsi e lo abbandonano, fuggendo; a deporre Gesù dalla croce e a seppellirlo non sono i Dodici, ma due discepoli “nascosti”. Dopo la risurrezione avviene in loro un inspiegabile mutamento. Contro tutto il loro passato, accettano l’idea – per loro assolutamente inconcepibile – di un Messia crocifisso, così come affermano che Gesù è “il Signore” (una vera e propria bestemmia per degli ebrei rigidamente monoteisti). E fanno tutto ciò con estremo coraggio, affrontando i capi del popolo e subendo persecuzione e morte.

La risurrezione di Gesù è dunque un fatto reale, non mitico né soggettivo. Quale ne è il significato?


Il “significato” della risurrezione di Gesù
La risurrezione di Gesù è un fatto storico: egli è veramente risorto dalla morte. Ma quale è il significato di tale avvenimento? Che cosa significa per la persona di Gesù, per la vita della Chiesa, per la nostra vita e per la storia del mondo? Cambia qualcosa o tutto resta come prima?

CHE COSA SIGNIFICA PER LA PERSONA DI GESÙ? – Abbiamo visto che la vicenda storica di Gesù si è svolta nella sofferenza e nella contraddizione ed è culminata nel “fallimento” della crocifissione. Storicamente, agli occhi del mondo, Gesù è apparso un vinto e un fallito: il suo messaggio è stato accettato d pochi; i suoi miracoli sono stati ritenuti opere diaboliche da molti; è stato odiato, deriso, calunniato, accusato di essere un bestemmiatore dal massimo tribunale ebraico e condannato a morte da un tribunale romano come ribelle. Sulla croce Gesù non rispose alle accuse che gli venivano rivolte e non accettò la sfida di scendere per essere creduto. Emise invece un grande grido che ai suoi nemici dovette sembrare di suprema disperazione (cfr. Mc 15,37). Era per loro il segno che Dio lo aveva rigettato come Messia.

Che cosa fu allora la Risurrezione per Gesù crocifisso? Fu un gesto col quale Dio – autore della Risurrezione – diede ragione a Gesù contro tutti i suoi avversari, mostrando che si erano sbagliati nei suoi confronti. Facendolo risorgere da morte, Dio mostrava che Gesù aveva insegnato al verità, aveva compiuto i miracoli con la sua potenza, aveva annunziato il suo disegno di salvezza.

In particolare, Dio mostrava che quella morte era stata opera della malvagità umana, ma che rientrava nel disegno di amore e di salvezza che Egli aveva concepito per l’umanità peccatrice: la croce sulla quale era morto, se agli occhi degli uomini rappresentava il supplizio più ignominioso e crudele, agli occhi di Dio era lo strumento dei salvezza con cui Gesù avrebbe attirato tutti a sé. Nella Risurrezione, o meglio in Cristo risorto, la crocifissione e la morte di Gesù compiono la salvezza degli uomini, poiché Cristo morto e risorto è “spirito datore di vita” (1Cor 15,45), cioè Salvatore degli uomini.

RISURREZIONE E GLORIFICAZIONE – Per Gesù la Risurrezione non è solo il “sì” di Dio alla sua vita e alla sua morte, è anche, e soprattutto, la sua glorificazione. Infatti, con la Risurrezione, Gesù, nella sua umanità, è stato costituito “Figlio di Dio con potenza” (Rm 1,4), “Signore e Cristo” (At 2,36), “capo e salvatore” (At 5,31), “giudice dei vivi e dei morti” (1Cor 2,8). Egli è stato “sovra-esaltato” e ha ricevuto un “nome – il nome proprio di Dio, Kyrios (Signore) – che è al di sopra di ogni altro nome” (Fil 2,9). Nella sua natura umana, Gesù è stato elevato alla “destra” di Dio e tutto è stato posto sotto i suoi piedi. Con la sua Risurrezione, Gesù è passato dallo stato di kenosis allo stato di Kyrios: dallo stato di spogliazione, di svuotamento, di umiliazione (tutto questo indica il termine paolino di kenosis), che ha caratterizzato la vita terrena di Gesù e ha avuto il culmine nella sua morte in croce, allo stato di “Signore”, uguale nella gloria e nella potenza di Dio Padre. In tal modo la Risurrezione ha rivelato hi era veramente Gesù di Nazareth: non solo un Giusto, non solo un grande Profeta, ma il Figlio stesso di Dio, il “Signore”.

RILEGGERE LA STORIA DI GESÙ ALLA LUCE DELLA RISURREZIONE – “Gesù è il Signore”: è questo dunque il senso della Risurrezione. Ma, se è così, la vicenda di Gesù acquista una nuova e diversa dimensione: non è la vicenda di un semplice uomo, per quanto grande possa essere, ma è la vicenda di un uomo che nello stesso tempo è il Signore, il Kyrios, il Figlio di Dio. Egli vive la sua vita sulla terra nella “condizione di servo” (Fil 2,7), dunque in tutta la meschinità e la povertà della condizione umana: soffre la stanchezza, la fame e la sete; gioisce ed è angosciato; sente l’amicizia e soffre per l’avversione e per l’odio).

Ma nello stesso tempo c’è in lui qualcosa che sconcerta: egli infatti parla come nessuno ha mai parlato, si arroga il diritto di cambiare la Torah data da Dio a Mosé, si dichiara padrone del sabato, compie opere straordinarie; in altre parole risplende nella sua persona qualcosa della “gloria” di Dio. La Risurrezione ne spiega la causa: nella sua condizione di “servo” Gesù è il “Signore”.

Ciò significa che la vita terrena di Gesù – dalla sua concezione alla sua morte – dev’essere letta alla luce della Risurrezione: non deve allora fare meraviglia che la sua concezione sia stata “verginale” (cfr Lc 1,26-35), cioè senza concorso d’uomo; che alla sua nascita gli angeli abbiano cantato: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama” (Lc 2,14); che quando è presentato al Tempio il vecchio Simeone abbia esclamato: “Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori” (Lc 2,34-35); che al momento del battesimo una voce abbia detto: “Tu sei il Figlio mio prediletto, in te mi sono compiaciuto” (Mc 1,11). Così la vita di Gesù si comprende nella sua profonda verità solo se la si legge alla luce della Risurrezione. Ha dunque ragione la Chiesa primitiva e hanno ragione i quattro vangeli a proiettare sulla vicenda terrena di Gesù la luce che promana dalla Risurrezione e a vedere nell’uomo Gesù il Figlio di Dio. In conclusione, la Risurrezione svela l’enigma che costituisce per lo storico la figura di Gesù, gettando su questa una luce che la rende comprensibile; tale anzi che non avrebbe potuto essere diversa da quella che è stata. Essa risponde dunque alla domanda che tante volte ci siamo posti dinanzi alla meraviglia che le parole e le azioni di Gesù producevano in noi: “Chi è Gesù di Nazareth?”.


Che cosa significa per la nostra storia?
Ma la Risurrezione non riguarda solo la persona e l’opera di Gesù di Nazareth. Essa è un fatto di portata universale, che concerne l’intera storia umana e il destino di ogni uomo. La Risurrezione, infatti, ha radicalmente trasformato la situazione del mondo e quella di ogni uomo. Fin dall’inizio della storia umana, quella del mondo è stata una situazione di peccato e di morte. Indubbiamente, sia pure con alti e bassi e continue cadute, l’umanità nel suo insieme è stata in ascesa, ha progredito. E tuttavia è stata sotto il dominio del peccato e della morte. Troppo spesso in essa il male ha prevalso sul bene, lo ha irriso e se ne è fatto beffe; la giustizia è stata sopraffatta dall’ingiustizia; l’innocenza ha dovuto soccombere sotto i colpi della malvagità. Soprattutto nella storia ha dominato la morte. Non solo sono morti gli uomini, ma sono scomparse nel nulla tutte le grandi costruzioni umane, i grandi imperi, le civiltà che sembravano dover sfidare i secoli ed essere immortali. Quel che è più triste è che la morte ha dominato nella storia nelle forme più orrende e crudeli: la condizione dominante dell’umanità è stata la guerra, col seguito orribile di mali che essa si porta dietro. I periodi di tregua – non di pace – sono stati brevi e agitati.

RILEGGERE LA NOSTRA STORIA ALLA LUCE DELLA RISURREZIONE – In questa storia di peccato e di morte ha fatto irruzione la Risurrezione di Gesù. Essa ne ha cambiato il corso, dando inizio a una nuova storia. Infatti la Risurrezione è la “vittoria” sul peccato e sulla morte. Ancora una volta la storia umana ha seguito il suo corso: i malvagi hanno vinto, infliggendo la morte all’innocente e al giusto. Gesù ha condiviso in tutto il suo orrore la sorte di tutti i vinti della storia umana. Ma la vittoria della morte è stata momentanea: “al terzo giorno” egli è risuscitato alla vita di Dio e in tal modo ha conseguito sulla morte una vittoria splendida e definitiva: “Cristo risuscitato dai morti non muore più; la morte non ha più potere su di lui” (Rm 6,9). La liturgia pasquale celebra la Risurrezione come un duello tra la Morte e la Vita: “La Morte e la Vita hanno ingaggiato un mirabile duello. Il Signore della Vita, morto, regna vivo” (Mors et Vita duello conflixere mirando / Dux Vitae, mortuus, regnat vivus). Risorgendo dalla morte, Cristo ha vinto la morte, non solo per sé, ma per tutti gli uomini e per l’intero cosmo. Indubbiamente, la vittoria di Cristo risorto sul peccato e sulla morte è stata decisiva, ma non definitiva: lo sarà solo alla fine dei tempi, quando Cristo “porrà sotto i piedi tutti i suoi nemici” (cfr Sal 109[110]) e l’ultimo di essi sarà la morte (cfr 1Cor 15,26). Il male avrà ancora la sua parola da dire e “sapendo che gli resta poco tempo” (Ap 12,12) si scaglierà con forza contro gli uomini. Ma, ormai, l’ultima parola non sarà la sua: appartiene al Cristo risorto. E su questa parola si fonda la speranza cristiana.

http://holy.harmoniae.com/gesu_10_risurrezione.htm