venerdì 14 novembre 2008

Prove archeologiche a conferma della Bibbia

Prove archeologiche a conferma della Bibbia
elementi citati dalle ricerche di Bryant Wood e di altri ricercatori



Nota del curatore: come riportato nell'indice di questa sezione del sito, le conferme storiche o archeologiche possono essere d'aiuto a quanti di noi si confrontano con discussioni su determinate questioni, e questo è l'unico scopo dello studio che segue; la nostra fede tuttavia non si fonda sulle conferme che abbiamo dalla scienza, ma sulla conoscenza che ciascuno di noi ha di Dio per lo Spirito Santo, dal giorno in cui Lo abbiamo conosciuto nella nostra vita.

Quelli che seguono sono solo alcuni esempi dei numerosi reperti archeologici che hanno confermato l'autenticità della narrazione e degli eventi della Sacra Bibbia.

Le prove sono così schiaccianti che il rinomato archeologo Nelson Glueck ha dichiarato: "Si può affermare categoricamente che nessuna scoperta archeologica abbia mai contraddetto i riferimenti biblici". Huston Smith, uno studioso, ha giustamente affermato che se i canoni rigorosi impiegati per verificare l'affidabilità storica della Bibbia fossero stati applicati anche agli studi classici, la nostra visione del mondo Greco-Romano oggi sarebbe in frantumi.

Relativamente all'Antico Testamento, l'evento biblico maggiormente documentato è quello del diluvio descritto nella Genesi. Il racconto del diluvio si trova in più di 500 miti, nelle diverse civiltà, in popoli lontani geograficamente e culturalmente.
Di particolare rilevanza sono i ritrovamenti Babilonesi, Sumeri, e Assiri. Molti di quelli Babilonesi ne parlano con dovizia di particolari; un esempio è l'undicesima tavoletta del poema epico su Gilgamesh, che descrive accuratamente gli eventi secondo lo schema biblico (si veda anche questo documento).

La scoperta dell'archivio di Ebla, nel nord della Siria, verso la fine degli anni 1970 ha dimostrato che il racconto biblico che riguarda i Patriarchi è attendibile. I documenti scritti su tavole di creta a partire dal 2300 a.C. circa confermano che diversi nomi di persone e di luoghi nella narrativa della Genesi sono autentici. Ad esempio, era in uso ad Ebla il nome "Canaan", che un tempo i critici dichiaravano non usato in quell'epoca e quindi adoperato a sproposito nei primi capitoli della Bibbia. Si affermava che la parola "tehom" ("l'abisso") in Genesi 1:2 fosse una parola tardiva e quindi una prova della tarda composizione del racconto della Creazione. Ma "tehom" faceva parte del vocabolario in uso ad Ebla, circa 800 anni prima del tempo di Mosè! I costumi antichi riflessi nelle narrative dei Patriarchi sono stati confermati anche da tavole di creta rinvenute a Nuzi e a Mari.

Le "cinque città della pianura", citate nella Bibbia, fra cui Sodoma e Gomorra (il cui nome attuale è Bab edh-Dhra e Numeira) e altre città della valle di Siddim, erano iscritte su una tavoletta dell'archivio del palazzo di Ebla addirittura nella stesso ordine di Genesi 14:2. "La distruzione catastrofica di Sodoma e Gomorra avvenne verosimilmente intorno al 1900 a.C." - scrive nel 1951 lo scienziato americano Jack Finegan. "Un minuzioso esame dei documenti letterari, geologici ed archeologici porta alla conclusione che la scomparsa terra di quella regione (Genesi 19:29) era situata nel territorio attualmente sommerso sotto le acque che vanno lentamente crescendo nella parte meridionale del Mar Morto, e che la causa della distruzione fu un grande terremoto, probabilmente accompagnato da esplosioni e da fulmini, dallo sprigionamento di gas e da fenomeni ignei". Intorno al 1900 a.C.: l'epoca di Abramo!

Inoltre, nel settembre del 1977 in un numero di "Scientific American" apparve un articolo delle scoperte fatte ad Ebla. Vi si legge: "La lista delle "cinque città della pianura", Sodoma, Gomorra, Adma, Tseboim e Bela (cfr. Genesi 14:2), è ripetuta in un testo di Ebla e i nomi appaiono nello stesso ordine". Due mesi dopo, in una conferenza, il prof. Noel Freedman, direttore dell'Istituto di Ricerca Archeologica di Gerusalemme W.F. Albright, confermò la notizia. Fu reso noto perfino il numero della tavoletta (n° 1860) che menziona le cinque città nello stesso ordine di Genesi cap. 14. Nelle tavolette era anche menzionato anche il re Birsha, lo stesso nome che il re di Gomorra aveva nel tempo di Abrahamo (Genesi 14:2). Si potrebbe dire molto di più su questa sensazionale scoperta che, via via che le tavolette sono lette dall'epigrafista, fornisce costantemente nuove rivelazioni (le tavolette ritrovate nelle rovine del palazzo di Ebla che nel 1975 erano circa 15.000, salirono poi a circa 20.000 durante gli scavi del 1976-77).

Gli Hittiti (o Ittiti, o Hittei) una volta si pensava fossero una leggenda biblica, fino a quando nel 1906 la loro capitale e i loro archivi furono scoperti a Bogazkoy in Turchia.
Ancora, molti pensavano che le descrizioni bibliche delle ricchezze di Salomone fossero fortemente esagerati. Ma i documenti recuperati da epoche remote mostrano che ai tempi antichi, la ricchezza era concentrata in mano ai re, e che la ricchezza di Salomone era perfettamente verosimile.
Una volta, si pretendeva che non fosse mai esistito un re assiro di nome Sargon, come riferito in Isaia 20:1, perché tale nome non era noto da nessun'altra fonte. Poi il palazzo di Sargon fu scoperto a Khorsabad nell'Iraq. Proprio lo stesso evento menzionato in Isaia cap. 20, cioè la sua conquista di Asdod (Ashdod), veniva ricordato sulle pareti del palazzo! Inoltre, frammenti di una stele che commemorava la vittoria furono rinvenuti ad Asdod stessa.

Gli scavi della biblica Sichem presentarono nel 1960 nuove prove a favore di una data per il regno del re Abimelec, il figlio del giudeo Gedeone. Quando si scavò il tempio di Baalberith a Sichem, menzionato in Giudici cap. 9, gli archeologi furono in grado di datare la distruzione di quel tempio da parte di Abimelec. Tale data era in accordo con quella del breve regno di tre anni di Abimelec a cui si era già arrivati esclusivamente sulla base dei dati cronologici trovati nella Bibbia.

Un altro re la cui esistenza era stato messo in dubbio era Baldassar (o Belshatsar), re di Babilonia, nominato in Daniele cap. 5. Secondo gli storiografi, l'ultimo re di Babilonia era stato Nabonide. Poi furono ritrovate delle tavole che mostravano che Baldassar fu il figlio di Nabonide e che regnò come suo co-reggente a Babilonia. Così, Baldassar poté offrire di costituire Daniele "terzo signore del regno" (Dan. 5:16), la posizione più elevata a disposizione, per essere riuscito a leggere il testo scritto sulla parete. Qui risalta la natura di "testimonianza oculare" del testo biblico, come tante volte viene messo in evidenza dalle scoperte archeologiche.

Coerenti con la narrazione biblica sono anche un antico elenco di re Sumeri (il prisma Weld-Blundell, composto da molti frammenti il primo dei quali fu scoperto nel 1906 a Nippur, in Iraq), e una tavoletta sumera che descrive la confusione risultante dall'evento della Torre di Babele, attribuendola al "dio della sapienza".

Nel secolo scorso scavi hanno portato alla luce i resti di una grande città. Lo storico W. Keller riepiloga così i risultati: "Nel 1899 la Società Orientale Tedesca inviò una grossa spedizione sotto la direzione del Professor Robert Koldewey, per esaminare i famosi resti di Babil. Gli scavi richiesero molto più tempo del previsto. Durante un periodo di 18 anni, fu portata alla luce la più famosa metropoli del mondo antico, il regno di Nabucodonosor, e al tempo stesso, una delle Sette Meraviglie del Mondo, i Giardini Pensili, e "E-temen-an-ki", la leggendaria Torre di Babele. Nel palazzo di Nabucodonosor e sul Cancello di Ishtar, che si trovava dietro di esso, furono scoperte innumerevoli iscrizioni" (W. Keller, The Bible as History, 1980, p. 302).

La cattività di Ioiachin, re di Giuda, in Babilonia (2 Re 24:15-16) è riportata in alcune tavolette in cuneiforme contenenti la cronaca dei primi anni di regno di Nabucodonosor. Esse si riferiscono alla presa di Gerusalemme, alla sua cattività e all'intronamento di Sedekia, l'ultimo re di Giuda, il 16/17 marzo del 697 a.C. (riferito al nostro calendario).

La dinastia del re Davide è confermata dalle iscrizioni in aramaico su una tavoletta commemorativa rinvenuta a Tel Dan (a nord di Israele), datata IX secolo a.C., probabilmente parte di un monumento ad Hazael, re di Aram. La tavoletta cita diversi eventi registrati nel primo libro dei Re.

La campagna del faraone Shishak contro Israele (1 Re 14:25-26) è riportata sulle mura del Tempio di Amun a Tebe, in Egitto.

La rivolta di Moab contro Israele (2 Re 1:1; 3:4-27) è descritta nell'iscrizione di Mesha.

La caduta di Samaria (2 Re 17:3-6, 24; 18:9-11) per mano di Sargon II, re d'Assiria, è descritta sulle mura del suo palazzo.

La sconfitta di Ashdod per mano di Sargon II (Isaia 20:1) è descritta sulle mura del suo palazzo.

La campagna del re assiro Sennacherib contro Giuda (2 Re cap. 18 e 19; 2 Cronache 32; Isaia 37) è riportata dal prisma Taylor, e nelle diverse stele biografiche di Tirhaka in Nubia.

L'assedio di Lachish da parte di Sennacherib (2 Re 18:14,17) è descritto nei bassorilievi di Lachish.

L'assassinio di Sennacherib per mano dei suoi stessi figli (2 Re 19:37) è descritto negli annali di suo figlio Esarhaddon.

La caduta di Ninive predetta dai profeti Nahum e Sofonia (2:13-15) è riportata sulla tavoletta di Nabopolasar.

La caduta di Gerusalemme per mano di Nabucodonosor, re di Babilonia (2 Re 24:10-14) è riportata nelle cronache Babilonesi.

La caduta di Babilonia sotto i Medi e i Persiani (Daniele 5:30-31) è riportata sul cilindro di Ciro.

La narrazione biblica sul profeta Balaam è confermata dalle iscrizioni su 119 frammenti rinvenuti a Deir 'Alla.

Nel 1868 fu rinvenuta una tavoletta Moabita. Clearmon-Ganneau ne prese l'impronta prima che gli arabi la rompessero in più parti per venderla. L'iscrizione convalida il contenuto del capitolo 16 del primo libro dei Re e del capitolo 3 del secondo libro dei Re. Essa cita anche il nome (Yahweh) con cui Dio si fece conoscere a Israele in Esodo.

La liberazione degli schiavi in Babilonia per mano di Ciro il Grande (Esra 1:1-4; 6:3-4) è riportata sul cilindro di Ciro.

L'obbligo di lasciare Roma per tutti i Giudei durante il regno di Claudio (41-54 d.C.) è riportato da Svetonio.

La scoperta di un grosso altare di pietra fornito di corna, negli scavi di Beer-Seba nel 1973 fece luce su due versetti del libro del profeta Amos (5:5 e 8:14) che sembravano suggerire che in quella città esistesse un santuario.

La distruzione di Tiro, famoso porto fenicio dell'antichità noto per il culto orgiastico e crudele di Baal, fu profetizzata nei minimi dettagli (Ezechiele 26:3-14) dal profeta Ezechiele nel 586 a.C., l'anno che precedette la sua caduta.

L'esistenza di Gesù Cristo è riportata anche dal Talmud Babilonese e da diversi autori non cristiani, tra cui Giuseppe Flavio, Svetonio, Plinio il Giovane, Luciano, e altri, che confermano anche eventi come quello della crocifissione e la vita dei primi cristiani.


Si vedano anche:


Prove storiche da fonti non cristiane dell'esistenza di Gesù
Le profezie della Bibbia adempiutesi in Gesù Cristo
Note storiche e archeologiche sulla Genesi
Monoteismo e politeismo nell'antichità
Importanza e affidabilità della Bibbia
Esistono contraddizioni nella Bibbia?
Qual è il messaggio del Vangelo?
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Note storiche e archeologiche sulla Genesi

Note storiche e archeologiche sulla Genesi
tratte dal Commentario biblico di Merril F. Unger



Il racconto babilonese: le tavolette della creazione

Scoperta delle tavolette della creazione. Tra il 1848 e il 1876 furono scoperte le prime tavolette e frammenti di tavolette del racconto babilonese sulla creazione chiamato Enuma Elish. Scritti in caratteri cuneiformi, i sette canti dell'epopea furono incisi su sette tavolette e furono ricuperati dalla libreria di Ninive, la capitale dell'imperatore assiro Assurbanipal (669-626 a.C.). Questa versione, sebbene tardiva, nella sua forma politica risale ai giorni di Hammurabi il Grande (1792-1750 a.C.), ed ancora oltre ai Sumeri, i primi abitanti della Bassa Babilonia.

Similitudini e differenze con la Genesi. La narrazione babilonese e quella della Bibbia sono simili in quanto: (1) entrambe le narrazioni parlano di un oceano primordiale, anche se è dimostrato che l'ebraico tehom (l'abisso) non deriva dal mitologico Tiamat (cfr. TWOT, pagg. 2495-96). (2) Entrambe le narrazioni hanno un ordine simile di eventi - la luce, il firmamento, la terra asciutta, i luminari, l'uomo, e Dio o gli dèi di Babilonia che si riposano. (3) Entrambe le narrazioni hanno una predilizione per il numero sette, sette giorni, sette canti. Ma questa similarità è superficiale, e le differenze tra la grossolana versione politeistica babilonese e la narrazione della Genesi sono enormi. La narrazione babilonese è una versione corrotta di una tradizione originale, la verità della quale è stata garantita a Mosè per mezzo dell'ispirazione, liberandola così dalle sue incrostazioni politeistiche.


Altre tradizioni della creazione

Il mito di Adapa. Questo racconto della creazione venne scoperto su quattro frammenti cuneiformi, tre dei quali provenienti dalla libreria di Assurbanipal di Ninive (VII sec. a.C.) e il quarto dagli archivi dei re egiziani Amenhotep III e IV ad El'Amarna (XIV sec. a.C.). Questo racconto leggendario, anche se non proprio parallelo alla storia della caduta di Gen. 3 come talvolta affermato, contiene sorprendenti similarità, come ad esempio il "cibo della vita" corrispondente al frutto dell'albero della vita (Gen. 3:3, 22). Entrambi i racconti trattano il problema del perché l'uomo soffra e muoia, ma sono poli opposti riguardo l'argomento dell'effettiva caduta da uno stato di innocenza, di cui il mito di Adapa non sa nulla.

Il sigillo della tentazione ritrae due persone che siedono accanto ad un albero da frutta, e dietro una delle due la figura ritta di un serpente. Tuttavia questa non sembra una rappresentazione accurata della scena della tentazione, poiché entrambe le figure sono totalmente vestite, mentre in Gen. 2:25 viene detto esplicitamente che erano nude.

Il sigillo di Adamo ed Eva appartiene allo strato del IV millennio a.C. degli scavi di Tepe Gawra, vicino Ninive, ed ora si trova nell'Univerity Museum di Philadelphia. Questa piccola pietra scolpita, trovata nel 1932, mostra un uomo e una donna nudi ed avviliti, seguiti da un serpente, e dà l'idea dell'espulsione dall'Eden.

Tradizioni della caduta si trovano nel mondo tra i Cinesi, gli Indù, i Greci, i Persiani ed altri popoli e, come altri racconti della creazione e del diluvio, si riferiscono ad un effettivo evento storico, corrottosi nella trasmissione.


Durata della vita dei patriarchi prima del diluvio

È stato d'uso per i critici considerare la longevità dei patriarchi anteriori al diluvio come palesemente leggendaria o mitica. Secondo il prisma di Weld-Blundell, otto re antidiluviani regnarono sulle città meridionali della Mesopotamia: Eridu, Badtibira, Larak, Sippar e Shuruppak; il periodo del loro governo combinato ammontava a 241200 anni (il regno più breve era di 18600 anni, il più esteso di 43200 anni). Beroso, un sacerdote babilonese (III sec. a.C.), elenca dieci nomi in tutto (invece di otto) ed esagera ulteriormente la durata dei loro regni. Anche altre nazioni hanno tradizioni in cui viene presentata una longevità primordiale.

I nomi riportati dall'elenco reale sumerico e da quello di Beroso rappresentano evidentemente una tradizione corrotta dei fatti storici riportati in Genesi 5, oltre a fornire indicazioni extra-bibliche della maggiore longevità umana prima del diluvio.


Storia babilonese del diluvio

La storia babilonese del diluvio è conservata nell'undicesimo libro del famoso poema epico che va sotto il nome di "Ghilgamesh" - principale eroe della cultura sumero-babilonese - venuto alla luce a Kouyounjik (Ninive) nel 1853. Esso descrive un enorme battello con un dislocamento intorno alle 228500 tonnellate e con una struttura cubica. Sia nel racconto babilonese che in quello biblico si evidenziano principalmente il bitume o la pece per sigillare i punti di giuntura dell'imbarcazione. Entrambe le narrazioni affermano che la catastrofe fu divinamente decretata. Ma, in evidente contrasto con la narrazione monoteistica ebraica, quella babilonese è politeistica e non ha un adeguato concetto morale della causa del diluvio. Entrambe le narrazioni asseriscono che l'eroe del diluvio (Noè, Utnapishtim) venne istruito divinamente a costruire una grande barca per preservare la vita. Di tutte le narrazioni parallele extra-bibliche dell'antichità, che ci sono pervenute dalla vasta letteratura cuneiforme della valle del Tigri - Eufrate, quella più singolare rimane la narrazione babilonese del diluvio.

Sia la narrazione babilonese che quella biblica specificano la durata del diluvio. La narrazione pre-babilonese (sumera) parla di sette giorni e sette notti, la babilonese di sei giorni e sei notti. Il racconto biblico indica una durata di poco superiore ad un anno (371 giorni). La Bibbia sostiene il catastrofismo soprannaturale contro le moderne teorie naturalistiche dell'uniformità (II Pietro 3:5, 6).

Nella narrazione babilonese del diluvio, Utnapishtim offrì un sacrificio, una libazione, e bruciò "canna dolce, cedro e mirto" dopo aver lasciato l'imbarcazione. Voleva, in parte placare l'ira delle divinità adirate che avevano decretato la completa distruzione dell'umanità ed in parte esprimere la sua gratitudine al dio Ea per averlo risparmiato. In entrambe le narrazioni ricorre l'espressione "sentì". Prima di lasciare l'imbarcazione, come Noè, Utnapishtim mandò fuori degli uccelli: una colomba, sette giorni dopo che il battello era approdato sul M. Nisir, seguita da una rondine ed infine da un corvo.


La torre di Babele

La torre di Babele è illuminata dalle gigantesche montagne artificiali di mattoni seccati al sole nella Babilonia meridionale chiamate ziggurat (ziqquratu in assiro-babilonese, e significa "pinnacolo" o "cima di montagna"). Lo ziggurat più antico ritrovato (tra più di due dozzine conosciuti oggi) è nell'antica Uruk (Erec, Genesi 10:10; l'odierna Warka). Si trattava di un grande cumulo di argilla rinforzata all'esterno da mattoni ed asfalto (bitume), simile agli ziggurat di Borsippa, Ur e Babilonia. Costruiti a terrazze, alti da tre a sette piani, erano variopinti. Sul piano più alto erano collocati il santuario e l'immagine della divinità protettrice della città. La torre di Genesi 11 può ben essere stata uno dei primi tentativi di tali torri, un simbolo della rivolta e ribellione dell'uomo contro Dio. L'uso politeistico di torri successive, copie dell'originale, esemplificano la completa apostasia idolatra così caratteristica dei Sumeri e dei posteriori Babilonesi semitici della Pianura di Scinear.


Abramo nella Mesopotamia settentrionale

Evidenza del suo soggiorno. È venuta alla luce l'evidenza del soggiorno di Abramo intorno a Charan, (vedi note su Genesi 12:1, 2).

Le tavolette di Mari del XVIII sec. a.C., scoperte nel 1935, citano Nahor (Til-Nahiri, "la collina di Nahor") patria di Rebecca (Genesi 24:10). Città nei pressi di Charan sono Serug (l'assira Serugi, Genesi 11:20) e Til Turakhi, "collina di Terah". Peleg rievoca la posteriore Paliga sull'Eufrate. Paddam-Aram (Genesi 25:20) in aramaico è Paddana, "campo" o "pianura" di Aram. Reu (Genesi 11:20) corrisponde anche a nomi successivi di città nella valle del Medio Eufrate.

Note archeologiche

L'archeologia attesta l'antica datazione di Genesi 14, così come la sua accuratezza. Esempi di nomi arcaici di antiche località con note esplicative, apposte da scribi per renderli comprensivi alle generazioni successive, sono:

"Bela (che è Tsoar)", v. 2;
"La valle di Siddim (ch'è il Mar Salato)", v. 3;
"En-Mishpat (che è Kades)", v. 17;
"la valle di Shaveh (che è la Valle del re)", v. 17.
Le città di Hauran (Basan), Ashteroth e Karnaim, furono tutte occupate in questo antico periodo, come hanno mostrato gli esami dei loro siti archeologici (Tell, collina formata da detriti archeologici). La città di Ham è ritenuta da A. Jirku e W. F. Albright come corrispondente all'odierna Ham e risalente all'età del Bronzo Medio (2000 a.C. ca.). L'itinerario dei re invasori attraverso Hauran, il Galaad orientale e Moab, fino al S E della Palestina è stato dimostrato come storicamente verosimile per la scoperta di una linea di strati archeologici dell'età del Bronzo Antico e Medio che si estende lungo questo percorso; lì fu scoperta nel 1924 la città di Addar risalente all'età del Bronzo Antico e Medio. In seguito questo itinerario, chiamato la Via dei Re, fu famoso, ma dopo il 1200 a.C. sembra che sia stato abbandonato. Il bitume del Mar Morto e gli importanti depositi di rame e manganese di Edom e Madian sembrano essere stati il motivo dell'invasione originaria (dodici anni prima di Genesi 14, cfr. 14:4).


Carestie in Egitto

Esiste un'ampia evidenza di carestie in Egitto. Almeno due ufficiali egizi elencano tra le loro buone opere la distribuzione di cibo ai bisognosi "in ogni anno di scarsità".

Un'iscrizione (100 a.C. ca.) descrive proprio una carestia di sette anni ai giorni di Zoser, Faraone della III dinastia (2700 a.C. ca.). I titoli di "capo dei coppieri" e "capo dei panettieri" (Genesi 40:2) erano quelli degli ufficiali di palazzo menzionati nei documenti egiziani.

L'intera storia di Giuseppe è piena di dettagli corretti relativamente ai luoghi e ai tempi, così come in generale le narrazioni egiziane di Genesi ed Esodo.

Quando Potifar nominò Giuseppe "maggiordomo della sua casa" (Genesi 39:4), il titolo indicava una mansione diffusamente svolta nelle case della nobiltà egizia. Faraone diede a Giuseppe un ufficio con un titolo simile nell'amministrazione del regno (Genesi 41:46), corrispondente all'ufficio di viceré, cioè amministratore principale del paese, secondo in potere soltanto allo stesso Faraone. L'incarico di sovrintendente ai granai era di fondamentale importanza e fu adempiuto da Giuseppe in aggiunta alle sue responsabilità di primo ministro (vicerè). I doni fatti da Faraone a Giuseppe (Genesi 41:42, 43) in occasione del suo insediamento nell'ufficio erano completamente in armonia con le usanze egiziane.


L'Egitto

La storia biblica comincia in Babilonia, la "culla della civiltà" (Genesi 1-11). La storia d'Egitto, invece, non entra nella narrativa biblica se non dopo che questa ha già alle spalle migliaia di anni, al tempo di Abrahamo (ca. 2050 a.C.; da Genesi 12 in poi). L'Egitto fu fondato subito dopo il diluvio da Mitsraim, figlio di Cam. Le tavolette di El'Amarna indicano che i Cananei lo chiamavano Mitsri (Mitsraim era una forma duale che conservava l'antica divisione tra Alto Egitto, con capitale Menfi, e Basso Egitto, il Delta). Il periodo antico e predinastico si estende dal ca. 5000 al 3100 a.C.

Dodici delle trenta dinastie d'Egitto. Nel III sec. a.C. un sacerdote egiziano di nome Manetho ordinò la storia egiziana in 30 dinastie, da Menes, considerato il primo re dell'Egitto unito (ca. 3100 a.C.), fino alla conquista di Alessandro Magno, 332 a.C.

Le piramidi. Abrahamo vide probabilmente le piramidi quando si recò in Egitto, perché erano state costruite durante l'Antico Regno (dalla III alla VI dinastia, ca. 2700-2200 a.C.). Il famoso Imhotep costruì sotto Zoser, primo re della III dinastia, la nota "piramide a gradini" di Saccara, alta 58 m e precorritrice delle altre piramidi.

La grande piramide di Cheope (Khufu), della IV dinastia, è la più grande, costituita da 2. 300.000 blocchi di calcare del peso di circa 2 tonnellate e mezzo, con una base che occupa più di 5 ettari. Originariamente torreggiava per un'altezza di 150 m. Chefrem (Khafre), un successore di Cheope, eresse la seconda piramide a Gizeh. Sbalorditiva quasi quanto la grande piramide, si eleva per 136,5 m (sua altezza attuale), ed è solo leggermente inferiore all'attuale altezza della grande piramide. Ad E della seconda piramide si trova la grande sfinge, con il corpo da leone e la testa del re Chefrem con la consueta pettinatura e il cobra (uraeus), simbolo reale, avvolto in spire sulla sua fronte pronto a distruggere i nemici di faraone.

Testi delle piramidi. Le piramidi provano l'alto grado di civiltà della valle del Nilo e il forte governo centralizzato. I monarchi della V e VI dinastia costruirono un certo numero di piramidi più piccole a Saccara, contenenti iscrizioni scolpite note come "testi delle piramidi", che prospettano al re deceduto una vita felice dopo la morte alla presenza del dio sole. Nulla di più appropriato visto che le piramidi erano tombe che immortalavano la gloria dei re che le avevano costruite.

Primo periodo intermedio.

Al tempo di Abrahamo la gloria dell'Antico Regno era passata e le grandi piramidi erano testimoni silenziosi di quella potenza. Le dinastie VII-XI non ebbero un governo centrale forte. Le dinastie VII e VIII governarono a Menfi, le dinastie IX e X ad Eracleopoli, a S del Cairo.

Egitto: la terra e il popolo

Egitto. L'Egitto era una nazione larga da 3 a 50 km, situata lungo il corso del possente Nilo, a SO della Palestina, senza montagne rilevanti o fiumi che la dividessero, ad eccezione del piccolo wadi El Arish, "il torrente d'Egitto" (Numeri 34:5; Giosuè 15:4, 47). L'Egitto era il Nilo. La stretta fascia di terra alluvionale che il fiume fertilizzava era irrigata da un'inondazione annuale che la rendeva il granaio del mondo antico. La terra produttiva e il commercio via mare con la Siria-Palestina ed il resto della mezzaluna fertile riversarono in Egitto un costante flusso di beni e denaro. Il risultato fu una ricchezza favolosa concentrata nelle splendide corti di Tebe, Menfi e Akhetaton (Tell El'Amarna).

Città deposito. Queste città erano costruite per accogliere l'eccedenza di grano in tempi di abbondanza. Il lavoro forzato degli Ebrei fu usato per costruirne un certo numero, come Pithom (Tell Retabeh) e Raamses (Tanis). In queste città venivano anche immagazzinati beni locali e importati, oltre ad equipaggiamenti militari per le campagne in Siria-Palestina.

Popolo e lingua. Gli antichi Egiziani erano Camiti (Genesi 10:6), ma le successive migrazioni, prevalentemente di Semiti, lasciarono un'impronta sulla lingua e la cultura. L'antica scrittura era ideografica (geroglifici) e includeva rappresentazioni di oggetti comuni e simboli geometrici. Attraverso i secoli, il geroglifico fece gradualmente spazio, dall'VIII sec. a.C., ad un carattere corsivo popolare o "demotico". Nel 1799 fu scoperta la pietra di Rosetta, una stele scritta in egiziano antico (geroglifici), demotico e greco. La decifrazione della pietra ad opera di F. Champollion (1822) fornì la chiave per la comprensione dei georogrifici e pose il fondamento della egittologia moderna.

Egitto: sua storia e primo contatto con Israele

Il periodo delle origini e predinastico, ca. 5000-3100 a.C. Il Neolitico e culture posteriori precedettero l'unione del regno ad opera di Menes. Manetho, un sacerdote del III sec. a.C. scrisse una storia dell'Egitto dividendo il periodo storico del 2900-332 ca. a.C. in 30 dinastie reali.

Periodo dinastico antico, ca. 3100-2686 a.C. Menes regnò a Tini sotto Tebe. Tombe di re tiniti (I e II dinastia) nei pressi di Abydos sono state dissotterrate da Flinders Petrie.

Antico Regno, ca. 2686-2181 a.C., dinastie III-VI. La III e la IV dinastia segnarono l'epoca delle grandi piramidi e dei testi delle piramidi. Zoser (III dinastia) costruì la piramide a gradini di Saccara. Cheope, fondatore della IV dinastia, costruì la più grande delle piramidi a Gizeh (alta 150 m, 232 m per lato alla base, con l'occupazione di una superficie di più di 5 ettari. Chefrem, successore di Cheope, costruì la sfinge e la seconda grande piramide a Gizeh. I testi delle piramidi che trattano della vita futura dei re deceduti appartengono alla V e VI dinastia.

Primo periodo intermedio, ca. 2181-1991 a.C. Le dinastie VII-XI governarono a Menfi ed Eracleopoli, 125 km a S del Cairo. Questo fu un periodo di relativa debolezza. La visita di Abrahamo in Egitto avvenne durante questo periodo.

Medio Regno, ca. 1991-1786 a.C., XII dinastia. Fu governato da nativi tebani a Menfi e nel Fayum. Fu contemporaneo al periodo patriarcale in Palestina. Probabilmente in questo periodo Giuseppe divenne primo ministro. Giacobbe si trovò di fronte ad uno dei potenti governanti di questa stirpe, Amenemhet I-IV, o Sesostri I-III. Un'iscrizione sulla tomba di Khnumhotep II, un potente nobile di Sesostri II, descrive la visita di 37 asiatici sotto "lo sceicco della regione montuosa, Ibshe", richiamando alla nostra mente la visita in Egitto di Abrahamo e di Giacobbe.

Secondo periodo intermedio, ca. 1786-1567, dinastie XIII-XVII. Il forte Medio Regno fu seguito da un periodo di disordini sotto le dinastie XIII e XIV, a cui successero gli Hyksos, "sovrani dei paesi stranieri". Questi sovrani stranieri regnarono quasi 150 anni, dinastie XV e XVI, ad Avaris (Tanis) nel Delta. Introdussero cavalli e carri ed uno spirito bellicoso. Alcuni studiosi collocano il governo di Giuseppe in questo periodo.

Il Nuovo Regno, ca. 1567-1150 a.C., dinastie XVIII-XX. Fu il periodo in cui l'Egitto governò l'Oriente, l'apice della gloria faraonica. Fu il tempo della schiavitù degli Israeliti. Grandi faraoni di quest'epoca includono Amenhotep I (ca. 1546-1525), Tuthmosi I (ca. 1525-1512, Tuthmosi II (1512-1504), la regina Hatshepsut (ca. 1504-1482). In quest'epoca nacque Mosè. Tuthmosi III (ca. 1490-1436) fu un grande costruttore, conquistatore e schiavizzatore degli Israeliti, mentre Amenhotep II (ca. 1438-1425) fu probabilmente il faraone dell'Esodo. Sotto Tuthmosi IV si verificò un declino. Amenhotep III regnò nel 1417-1379 ca., chiamato il periodo di Amarna, seguito da Amenhotep IV (Akhenaton), ca. 1379-1362. La capitale fu Akhetaton (Tell El'Amarna). Le lettere di El'Amarna furono scoperte in questa capitale nel 1886. La ricca tomba di Tutankamen fu riportata alla luce nel 1922. Il periodo di El'Amarna fu forse contemporaneo al soggiorno di Israele nel deserto e alla conquista della Palestina.

Molti studiosi collocano l'Esodo e la Conquista sotto la XIX dinastia: Ramsete I (ca. 1319), Seti I (1318-1304), Ramsete II (ca. 1304-1237), Merneptah (ca. 1236-1222). Nella famosa stele di quest'ultimo, Israele viene menzionato per la prima volta nei documenti egiziani: "Il popolo di Israele è devastato, non ha più progenie".

La XX dinastia (ca. 1200-1085) ebbe circa dieci re di nome Ramsete. Ramsete III (ca. 1198-1167) fu il più grande. La XX dinastia fu contemporanea al periodo dei Giudici in Israele. Le dinastie XXI-XXX segnarono il declino.

Le rovine di Tebe

Tebe (in egiziano Net, la biblica No, in greco Tebai), fu la capitale della potente XVIII dinastia e probabilmente venne costruita con il lavoro degli schiavi israeliti. Le sue rovine sul Nilo, 550 km a SE del Cairo, vicino i moderni villaggi di Luxor e Karnak sono impressionanti.

Il magnifico tempio di Ammone, a Karnak, è una delle meraviglie del mondo e vi si accede attraverso un viale di sfingi. Il suo grande cortile misura 84 m per 103 m ed è attraversato da una doppia fila di colossali colonne. Il grande vestibolo o ipostilo, lungo 366 m e largo 107 m, era sostenuto da 134 colonne disposte su 16 file, di cui la fila centrale era alta 24 m ed aveva una circonferenza di 10 m. Splendidamente dipinto e scolpito, è un luminoso esempio dell'abilità architettonica egiziana. Un altro tempio di Ammone, situato a Luxor, proprio a S di Karnak, fu eretto da Amenhotep III e i suoi successori.

Sulla riva destra del Nilo, vicino il villaggio odierno di Medinet Habu, c'è il palazzo di Amenhotep III, i due colossi di Memnon (alti 19,5 m), il Raamaseum, un tempio di Ammone costruito da Ramsete II, un tempio di Tuthmosi III, e molte altre splendide rovine. Ammone (Ammon Ra) era il dio sole, con un potente culto concentrato a Tebe e contro cui si ribellò Akhenaton quando costruì El'Amarna.

Raamses (Tell el-Dab'a) era chiamata Pi-Ràamesé (casa di Ramsete, ca. 1300-1100 a.C.).

Il riferimento a questa città in Esodo 1:11 deve essere interpretato come la modernizzazione del nome arcaico di Tsoan-Avaris, dove secoli prima gli Israeliti oppressi lavorarono nella capitale degli Hyksos, costruita nel 1820 ca. a.C.


Si vedano anche:


Studio: dal monoteismo al politeismo
Storia e profezie della Bibbia riguardo al Cristo
Importanza e affidabilità della Bibbia
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Prove storiche da fonti non cristiane

Prove storiche da fonti non cristiane
sull'esistenza e sulla vita di Gesù Cristo
elaborato sulla base di uno studio di M. Gleghorn



Nota del curatore: come ho sottolineato nell'indice di questa sezione del sito, ho voluto riportare alcuni documenti riguardanti le conferme storiche e archeologiche in quanto possono tornare utili a quanti si confrontano con discussioni su determinate questioni. La nostra fede, tuttavia, non si fonda sulle conferme che abbiamo dalle scienze, ma unicamente sull'incontro che abbiamo fatto con il Signore Gesù, e sulla comunione che abbiamo con Lui giorno per giorno da quanto lo abbiamo conosciuto nella nostra vita.

Nonostante l'evidenza dell'accuratezza e della fedeltà storica del Nuovo Testamento della Bibbia, molte persone rifiutano di accettarne e crederne il contenuto perché vogliono un riscontro in fonti non bibliche e non cristiane che ne avvalorino le affermazioni.

Alcuni agnostici ed atei affermano che escludendo "qualche oscuro riferimento in Giuseppe Flavio e simili", non ci sono prove storiche della vita di Gesù al di fuori della Bibbia.

La realtà è che tali prove esistono, e in questo articolo ne osserveremo qualcuna.


Prove dagli annali di Cornelio Tacito
Cominciamo con un passaggio che lo storico Edwin Yamauchi definisce "probabilmente il riferimento più importante a Gesù al di fuori del Nuovo Testamento".

Cornelio Tacito è comunemente riconosciuto come storico tra i più scrupolosi, come ci attesta anche l'antica testimonianza di Plinio il Giovane che ne loda la diligenza; Tacito si dedicò infatti con gran scrupolo alla raccolta di informazioni e notizie, utilizzando non solo fonti letterarie, ma anche documentarie. Per la sua posizione politica, egli aveva accesso agli acta senatus (i verbali delle sedute del senato romano) e agli acta diurna populi romani (gli atti governativi e le notizie su ciò che accadeva giorno per giorno).

Riportando la decisione dell'imperatore Nerone di riversare sui Cristiani la colpa dell'incendio che distrusse Roma nel 64 d.C., Tacito scrisse:

"Nerone si inventò dei colpevoli e sottomise a pene raffinatissime coloro che la plebaglia, detestandoli a causa delle loro nefandezze, denominava cristiani. Origine di questo nome era Christus, il quale sotto l'impero di Tiberio era stato condannato all'estrema condanna dal procuratore Ponzio Pilato" (Tacito, Annali XV, 44).
Cosa possiamo apprendere da questo antico (e piuttosto animoso) riferimento a Gesù e ai primi Cristiani? Notiamo, innanzi tutto, che Tacito riporta che il titolo di Cristiani deriva da una persona realmente esistita, chiamata Christus, il nome latino per Cristo. Di lui si dice che ha subìto "l'estrema condanna", alludendo ovviamente al metodo romano di praticare l'esecuzione capitale mediante la crocifissione.
Questi avvenimenti sono avvenuti "durante il regno di Tiberio" e per decisione di Ponzio Pilato. Ciò conferma le affermazioni del Vangelo sulle circostanze della morte di Gesù.

Tacito riporta anche le seguenti notizie sulla persecuzione verso i cristiani:

"Alla pena vi aggiunse lo scherno: alcuni ricoperti con pelli di belve furono lasciati sbranare dai cani, altri furono crocifissi, ad altri fu appiccato il fuoco in modo da servire d'illuminazione notturna, una volta che era terminato il giorno. Nerone aveva offerto i suoi giardini per lo spettacolo e dava giochi nel Circo, ove egli con la divisa di auriga si mescolava alla plebe oppure partecipava alle corse con il suo carro. . . . [I cristiani] erano annientati non per un bene pubblico, ma per soddisfare la crudeltà di un individuo."
Come Tacito, anche Svetonio (120 d.C.), scriba dell'imperatore Adriano, fa riferimento a Gesù ed i suoi seguaci nelle Epistole (X, 96). Nella "Vita di Claudio", inoltre, egli scrive: "Claudio espulse i giudei da Roma, visto che sotto l'impulso d'un certo Christus non cessavano di agitarsi" (Claudius 25).

Ci sono inoltre altri autori antichi, fra i quali Epitteto, Galeno, Celso, l'imperatore Marco Aurelio, il siriaco Mara Bar Serapion e Luciano di Samosata; questi e altri hanno fatto allusioni a Gesù e ai cristiani.

(N.d.r.: Per quanto riguarda i commenti sulle "nefandezze" di cui si accusavano i Cristiani, si rimanda alle note a fine pagina).


Prove da Plinio il Giovane
Un'altra importante fonte di prove storiche su Gesù e sui primi Cristiani si trova nelle lettere di Plinio il Giovane all'imperatore Traiano. Plinio fu allievo del famoso retore Quintiliano, ed era il governatore romano di Bitinia, in Asia Minore, e del Ponto. Egli ci ha lasciato una raccolta di epistole contenute in 10 libri, l'ultimo dei quali contiene il carteggio ufficiale tra lui e l'imperatore Traiano. Queste lettere risalgono per lo più al periodo del governatorato di Plinio in Bitinia, ovvero agli anni 111-113, e sono una fonte documentaria di eccezionale importanza.

In una delle sue lettere, egli chiede consiglio a Traiano sul modo più appropriato di condurre le procedure legali contro le persone accusate di essere Cristiane (cfr. Plinio, Epistole X,96).
Plinio dichiara di avere necessità di consultare l'imperatore riguardo a tale questione, poiché un gran numero di persone, di ogni età, sesso e ceto sociale, erano state accusate di essere Cristiani.

Il procedimento di Plinio è il seguente: egli interroga i presunti Cristiani, e se essi risultano tali, e non ritrattano entro il terzo interrogatorio, li manda a morte. Per coloro che neghino di essere Cristiani, o dicano di esserlo stato in passato, anche vent'anni prima (allusione alle apostasie dovute alla persecuzione di Domiziano?), egli pretende la dimostrazione di quanto affermano, inducendoli a sacrificare agli dei, a venerare l'effigie dell'imperatore e a imprecare contro Gesù Cristo.

A un certo punto della sua lettera, Plinio riporta alcune informazioni sui Cristiani:

"Essi avevano l'abitudine di incontrarsi in un certo giorno prestabilito prima che facesse giorno, e quindi cantavano in versi alternati a Cristo, come a un dio, e pronunciavano il voto solenne di non compiere alcun delitto, né frode, furto o adulterio, né di mancare alla parola data, né di rifiutare la restituzione di un deposito; dopo ciò, era loro uso sciogliere l'assemblea e riunirsi poi nuovamente per partecipare al pasto - un cibo di tipo ordinario e innocuo" (Plinio, Epistole, trad. di W. Melmoth, revis. di W.M.L. Hutchinson, vol. II, X,96).
Questo passaggio ci fornisce un interessante scorcio della vita e delle pratiche dei primi Cristiani. Innanzi tutto, leggiamo che i Cristiani si incontravano regolarmente un certo giorno per adorare. Poi, leggiamo che la loro adorazione era diretta a Cristo, e ciò dimostra che essi credevano fermamente nella Sua divinità.
Inoltre, la frase di Plinio che sottolinea come i Cristiani cantassero inni a Cristo "come a un dio", viene interpretata da uno studioso come riferimento al fatto singolare che, "a differenza degli dèi che venivano adorati dai romani, Cristo era una persona che era vissuta sulla terra" (M. Harris, "References to Jesus in Early Classical Authors"). Se questa interpretazione è corretta, allora Plinio comprendeva che i Cristiani stavano adorando una persona realmente esistita che però reputavano essere Dio stesso. Questa conclusione concorda perfettamente con la dottrina della Bibbia secondo cui Gesù è Dio ma venne nel mondo come uomo.

Non solo la lettera di Plinio ci conferma ciò che i primi Cristiani credevano sulla persona di Gesù, ma rivela anche la grande considerazione in cui tenevano i Suoi insegnamenti. Ad esempio, Plinio nota che i Cristiani "pronunciavano il voto solenne" di non violare alcuno standard morale, il che trova la sua fonte negli insegnamenti e nell'etica di Gesù. Inoltre, il riferimento di Plinio all'usanza Cristiana di condividere un pasto comune fa evidentemente riferimento alla loro osservanza di prescrizioni Cristiane come la comunione fraterna e lo "spezzare il pane" insieme, di cui parla il Nuovo Testamento (Habermas, "The Historical Jesus").

Plinio sottolinea anche che il loro era "un cibo di tipo ordinario e innocuo", quindi rigetta le false accuse di "cannibalismo rituale" sollevate da alcuni pagani, come Cecilio (cfr. Bruce, "Christian Origins", 28), insieme ad altre simili dicerie (infanticidio, riunioni edipodee e cene tiestee in cui ci si cibava di infanti), e non ritiene i Cristiani pericolosi membri di sodalizi sovversivi.

Circa le molte calunnie contro i Cristiani (su cui aveva anche fatto leva Nerone per accusarli dell'incendio di Roma), il cartaginese Quinto Settimio Fiorente Tertulliano (160-222 circa), avvocato e letterato, dichiarò espressamente che esse non avevano nulla a vedere con i motivi delle sentenze di morte: "Le vostre sentenze", scrive, "muovono da un solo delitto: la confessione dell'essere cristiano. Nessun crimine è ricordato, se non il crimine del nome". Egli anzi cita la formula di queste sentenze: "In fin dei conti, che cosa leggete dalla tavoletta? 'Egli è cristiano.' Perché non aggiungete anche omicida?".


Prove da Giuseppe Flavio
Quelli che forse sono i riferimenti più notevoli a Gesù al di fuori della Bibbia, si trovano negli scritti di Giuseppe Flavio, uno storico giudeo-romano del primo secolo (nacque nel 37 d.C.), che fu prima delegato del Sinedrio e governatore della Galilea, ed in seguito consigliere al servizio dell'imperatore Vespasiano e di suo figlio Tito.

Nelle sue "Antichità giudaiche", egli menziona diverse volte Gesù e i Cristiani. In uno dei riferimenti descrive l'illegale lapidazione dell'apostolo Giacomo, che era a capo della comunità cristiana di Gerusalemme, avvenuta nel 62, descritto come un atto sconsiderato del sommo sacerdote nei confronti di un uomo virtuoso: "Anano ... convocò il sinedrio a giudizio e vi condusse il fratello di Gesù, detto il Cristo, di nome Giacomo, e alcuni altri, accusandoli di trasgressione della legge e condannandoli alla lapidazione" (Ant. XX, 200). Questa descrizione combacia con quella fatta dall'apostolo Paolo in Galati 1:19, dove egli parla di "Giacomo, il fratello del Signore".

In un altro passo, Giuseppe Flavio menziona la figura di Giovanni Battista; Erode Antipa, per sposare Erodiade moglie del proprio fratello aveva ripudiato la figlia di Arete, re di Nabatene, la quale si rifugiò dal proprio padre. Ne sorse una guerra nel 36 in cui Erode fu sconfitto, e questo è il commento di Giuseppe Flavio:

"Ad alcuni dei Giudei parve che l'esercito di Erode fosse stato annientato da Dio, il quale giustamente aveva vendicato l'uccisione di Giovanni soprannominato il Battista. Erode infatti mise a morte quel buon uomo che spingeva i Giudei che praticavano la virtù e osservavano la giustizia fra di loro e la pietà verso Dio a venire insieme al battesimo; così infatti sembrava a lui accettabile il battesimo, non già per il perdono di certi peccati commessi, ma per la purificazione del corpo, in quanto certamente l'anima è già purificata in anticipo per mezzo della giustizia. Ma quando si aggiunsero altre persone - infatti provarono il massimo piacere nell'ascoltare i suoi sermoni - temendo Erode la sua grandissima capacità di persuadere la gente, che non portasse a qualche sedizione - parevano infatti pronti a fare qualsiasi cosa dietro sua esortazione - ritenne molto meglio, prima che ne sorgesse qualche novità, sbarazzarsene prendendo l'iniziativa per primo, piuttosto che pentirsi dopo, messo alle strette in seguito ad un subbuglio. Ed egli per questo sospetto di Erode fu mandato in catene alla già citata fortezza di Macheronte, e colà fu ucciso" (Antichità XVIII,116-119).

Altrettanto interessante, e davvero sorprendente, è un capitolo della stessa opera, conosciuto come "Testimonium Flavianum", nel quale leggiamo (libro 18, capitolo 3, paragrafo 3):

"Ci fu verso questo tempo Gesù, uomo saggio, se è lecito chiamarlo uomo: era infatti autore di opere straordinarie, maestro di uomini che accolgono con piacere la verità, ed attirò a sé molti Giudei, e anche molti dei greci. Questi era il Cristo. E quando Pilato, per denunzia degli uomini notabili fra noi, lo punì di croce, non cessarono coloro che da principio lo avevano amato. Egli infatti apparve loro al terzo giorno nuovamente vivo, avendo già annunziato i divini profeti queste e migliaia d'altre meraviglie riguardo a lui. Ancor oggi non è venuta meno la tribù di quelli che, da costui, sono chiamati Cristiani" (Giuseppe Flavio, Antichità XVIII, 63-64).
Giuseppe Flavio menziona anche Giovanni il Battista, e Giacomo il fratello di Gesù. Egli parla inoltre del battesimo praticato da Giovanni il Battista, dei suoi discepoli, della sua condanna a morte sotto Erode (Antichità XVIII, 5). E' interessante la seguente citazione dal libro 20 capitolo 9 paragrafo 1 della sua opera:

"Festo era ora morto, e Albino era per la strada; così riunì il Sinedrio dei giudici, e portò dinanzi a loro il fratello di Gesù che era chiamato Cristo, il cui nome era Giacomo, e alcuni altri, e quando ebbe formato un'accusa contro di loro come violatori della legge, li consegnò loro per essere lapidati" (Giuseppe Flavio, ibid.).
Alcuni studiosi esprimono dubbi sull'autenticità del primo brano di questi due brani; ritengono infatti che Giuseppe Flavio sia realmente l'autore del brano, ma che questo possa essere stato alterato da qualche Cristiano. Il motivo di questi dubbi è che Giuseppe Flavio non era un Cristiano, e quindi essi trovano difficile credere che egli potesse fare affermazioni in favore della divinità di Cristo. Ad esempio, l'affermazione che Gesù era "un saggio" la ritengono originale, mentre sospettano la frase "se è lecito chiamarlo uomo", in quanto essa lascia scorgere l'idea che Gesù potesse essere di natura divina. Allo stesso modo, trovano difficile che un non cristiano possa attribuire a Gesù il titolo di "Cristo".
Notiamo però che secondo il Vangelo ciò fu precisamente quello che fece Pilato; è scritto anche che Erode credeva nei miracoli di Gesù, ma che Gesù non volle compiere alcuno dei miracoli che Erode gli chiese di fare. Né Pilato né Erode erano Cristiani. Dopo la morte di Gesù, persino il centurione romano che era con le guardie arrivò a dire: "veramente costui era Figlio di Dio" (Matteo 27:54).

Anche lo storico Eusebio, vissuto agli inizi del IV secolo, conosceva questo passaggio di Giuseppe Flavio e lo accettò come originale; lo stesso fecero Girolamo e Ambrogio. Persino il tedesco A. von Harnack, noto per le sue violente critiche, lo considerò originale.

Roger Liebi scrive: "...dal punto di vista della critica dei testi (cioè dall'esame dei vecchi manoscritti tramandatici), non appare giustificato neanche il minimo dubbio in merito a una simile falsificazione. Vi è da aggiungere l'interessante constatazione che Eusebio (263-339) ha conosciuto questo passo, perché lo riporta due volte nei suoi scritti. Una volta nella «Storia della chiesa» I,12 e una volta nella «Demonstratio Evangelica» III,5. Vi è pure da notare che, fra gli altri, il Dott. H. St. John Thackeray, uno dei più importanti studiosi inglesi delle questioni concernenti Giuseppe Flavio, ha di recente constatato che questo passo mostra determinate peculiarità linguistiche che sono caratteristiche di Giuseppe Flavio".

Lo studioso A. Nicolotti commenta: "...se il passo su Gesù fosse stato costruito a tavolino da un interpolatore cristiano, sarebbe stato verosimilmente inserito subito dopo il resoconto di Giuseppe su Giovanni Battista, mentre in Giuseppe l'accenno a Gesù non segue il racconto di Giovanni. D'altra parte, sarebbe strano che Giuseppe abbia omesso di registrare qualche informazione su Gesù, dato che si occupa del Battista, di Giacomo e di altri personaggi del genere; né il cristianesimo, da storico qual era, gli poteva essere ignoto, essendo a quei tempi penetrato fin nella famiglia imperiale. Quando poi Giuseppe più avanti tratta di Giacomo, invece di indicare come si faceva di solito il nome del padre per identificarlo (Giacomo figlio di...), lo chiama "fratello di Gesù detto il Cristo", senza aggiungere altro, lasciando intendere che questa figura era già nota ai suoi lettori. Se a ciò si aggiunge che Flavio Giuseppe parla già di altri "profeti" (come appunto Giovanni, oppure Teuda), è perfettamente plausibile che si sia occupato anche di Cristo".

In ogni caso, anche scegliendo di non considerare i punti "sospetti" di questo passaggio, che diversi studiosi di larga fama (F. K. Burkitt, C.G. Bretschneider, A. von Harnack e R.H.J. Schutt) hanno invece difeso, rimane ugualmente una buona quantità di informazioni che avvalorano la visione biblica di Gesù. Leggiamo che era "un uomo saggio" e che "compì opere straordinare". E sebbene fosse stato crocifisso per mano di Pilato, i Suoi seguaci "non scomparvero", ma anzi continuarono a seguire la via di Cristo e furono conosciuti come Cristiani. Quando combiniamo queste affermazioni con la frase di Giuseppe: "Gesù, detto Cristo", ne emerge un quadro piuttosto dettagliato che si armonizza bene con i resoconti biblici. Appare sempre più evidente che il "Gesù biblico" e il "Gesù storico" sono la stessa persona.


Prove dal Talmud Babilonese
Ci sono solo pochi riferimenti espliciti a Gesù nel Talmud Babilonese, una collezione di scritti rabbinici ebrei, compilata verso il 70-500 d.C. circa. Il primo periodo di compilazione del Talmud è il 70-200 d.C. (Habermas, ibid.). Il passaggio più significativo che fa riferimento a Gesù è il seguente:

"Alla vigilia della Pasqua [ebraica], Yeshu fu appeso. Per quaranta giorni prima dell'esecuzione, un araldo . . . gridava: "Egli sta per essere lapidato perché ha praticato la stregoneria e ha condotto Israele verso l'apostasia" (Talmud Babilonese, trad. di I. Epstein, vol. III, 43a/281; cfr. Sanhedrin B, 43b).
Esaminiamo questo passaggio. "Yeshu" (o "Yeshua") è il nome di Gesù in lingua ebraica. Ma allora perché è scritto che Gesù "fu appeso"? Il Nuovo Testamento non dice che Gesù fu crocifisso? Questo è certo, ma il termine "appeso" indica proprio la crocifissione. Ad esempio, in Galati 3:13 leggiamo che Cristo fu "appeso", in Atti 10:39 che fu "appeso al legno", e in Luca 23:39 questo termine viene usato anche per i criminali che furono crocifissi assieme a Gesù. Troviamo questo termine anche in Giuseppe Flavio.
Il Talmud afferma inoltre che Gesù fu crocifisso alla vigilia della Pasqua ebraica, proprio come riportato nel Nuovo Testamento (Matteo 26:2; 27:15).

Ma che dire allora dell'annuncio dell'araldo, secondo cui Gesù sarebbe dovuto essere lapidato? La condanna che avevano in mente i Giudei era evidentemente la lapidazione (ciò si evince molto chiaramente dal Nuovo Testamento in Giovanni 10:31-33, 11:8, 8:58-59). Furono i Romani a cambiare tale giudizio, mutandolo in crocifissione (cfr. Giovanni 18:31-32).

Il passaggio spiega anche il motivo per cui Gesù fu crocifisso. Esso riporta che Egli praticava la "stregoneria" e che aveva "condotto Israele verso l'apostasia". Dal momento che questa affermazione proviene da una fonte ostile a Cristo, non meraviglia il fatto che questi Ebrei descrivessero la situazione dal loro punto di vista. È interessante, però, notare il parallelismo tra queste accuse e quelle rivolte dai farisei a Gesù nel Nuovo Testamento. Essi infatti, vedendo le liberazione da Lui compiute, lo accusavano di scacciare i demòni "con l'aiuto di Beelzebub, principe dei demòni" (Matteo 12:24). Notiamo anche che questa è una conferma del fatto che Gesù compì realmente delle opere miracolose. A quanto pare i Suoi miracoli erano talmente reali da non poter essere negati pubblicamente, dunque l'unica alternativa era attribuirli alla stregoneria! Allo stesso modo, l'accusa di aver condotto Israele verso l'apostasia, collima con il racconto del Vangelo secondo cui i capi di Israele accusarono Gesù di stare sovvertendo la nazione mediante i Suoi insegnamenti (Luca 23:2,5). Una simile accusa da parte dei religiosi dell'epoca, non fa altro che confermare la realtà della potenza degli insegnamenti di Gesù.
Dunque, se letto con attenzione, questo passaggio del Talmud conferma diverse affermazioni che il Nuovo Testamento fa su Gesù.


Prove da Luciano
Il retore scettico Luciano, nato a Samosata intorno al 120 e morto dopo il 180, attivo nell'età degli Antonini, ci ha lasciato un'opera intitolata "La morte di Peregrino". In essa, egli descrive i primi Cristiani nel seguente modo:

"I Cristiani . . . tutt'oggi adorano un uomo - l'insigne personaggio che introdusse i loro nuovi riti, e che per questo fu crocifisso. . . . Ad essi fu insegnato dal loro originale maestro che essi sono tutti fratelli, dal momento della loro conversione, e [perciò] negano gli dèi della Grecia, e adorano il saggio crocifisso, vivendo secondo le sue leggi" (Luciano, De morte Per., 11-13, trad. di H.W. Fowler).
Sebbene Luciano si beffi dei primi Cristiani per la loro scelta di seguire "il saggio crocifisso" anziché "gli dèi della Grecia", egli riporta diverse informazioni interessanti. Innanzi tutto, egli dice che i Cristiani servivano "un uomo", che "introdusse i loro nuovi riti". E sebbene i seguaci di questo "uomo" avevano chiaramente un alto concetto di Lui, molti dei Suoi contemporanei Lo odiavano per i Suoi insegnamenti, al punto che "per questo fu crocifisso".

Pur non menzionandone il nome, è chiaro che Luciano si sta riferendo a Gesù. Ma cosa aveva fatto Gesù per farsi odiare fino a questo punto? Secondo Luciano, aveva insegnato che tutti gli uomini sono fratelli dal momento della loro conversione. E fin qui niente di pericoloso. Ma cosa si intendeva con "conversione"? Significava abbandonare gli dèi Greci, adorare Gesù, e vivere secondo i Suoi insegnamenti. Non è difficile immaginare che una persona venga uccisa per aver insegnato queste cose in quell'epoca.
Inoltre, sebbene Luciano non lo dica esplicitamente, il fatto che i Cristiani rinnegassero gli altri dèi e adorassero Gesù, e facessero questo pur essendo consapevoli delle persecuzioni cui andavano incontro, implica che per loro Gesù era senza dubbio più che un essere umano. Perché tante persone arrivassero a questo, rinnegando tutti gli altri dèi, appare evidente che per loro Gesù era un Dio più grande di tutti gli altri dèi che le religioni della Grecia potevano offrire!


Ricapitoliamo, dunque, ciò che abbiamo appreso su Gesù da questo studio delle antiche fonti non cristiane.

Primo, sia Giuseppe Flavio che Luciano riconoscono che Gesù era un saggio. Secondo, Plinio, il Talmud, e Luciano, implicano che Egli era un insegnante potente e riverito. Terzo, sia Giuseppe che il Talmud indicano che Egli compì opere miracolose. Quarto, Tacito, Giuseppe, il Talmud, e Luciano, menzionano tutti il fatto che Egli fu crocifisso. Tacito e Giuseppe dichiarano che ciò avvenne sotto Ponzio Pilato. E il Talmud dichiara che il periodo era quello della vigilia della Pasqua ebraica. Quinto, ci sono possibili riferimenti alla risurrezione di Gesù sia negli scritti di Tacito che in quelli di Giuseppe. Sesto, Giuseppe racconta che i seguaci di Gesù credevano che Egli fosse il Cristo, cioè il Messia. E infine, sia Plinio che Luciano indicano che i Cristiani adoravano Gesù come Dio.

Rendiamoci conto di come anche prendendo in considerazione alcuni degli antichi scritti non cristiani, le verità su Gesù riportate nei Vangeli sono da essi avvalorate e confermate. Naturalmente, oltre alle fonti non cristiane ve ne sono anche innumerevoli Cristiane, come conseguenza della conversione di tanti a ciò che era ed è più che semplicemente un fatto storico.
Dato però che l'affidabilità storica dei Vangeli canonici è così saldamente stabilita, e che tramite essi innumerevoli persone hanno conosciuto Gesù personalmente nella loro vita, vi invito a leggere direttamente i Vangeli per avere un resoconto autorevole della vita di Gesù, e più ancora, per conoscerLo personalmente nella vostra vita!



A proposito delle dicerie diffuse sui Cristiani dei primi secoli

L'interlocutore pagano Cecilio, rifacendosi alle dicerie in voga al suo tempo, scriveva: "Essi [i Cristiani], raccogliendo dalla feccia più ignobile i più ignoranti e le donnicciuole, facili ad abboccare per la debolezza del loro sesso, formano una banda di empia congiura, che si raduna in congreghe notturne per celebrare le sacre vigilie o per banchetti inumani, non con lo scopo di compiere un rito, ma per scelleraggine; una razza di gente che ama nascondersi e rifugge la luce, tace in pubblico ed è garrula in segreto. Disprezzano ugualmente gli altari e le tombe, irridono gli dèi, scherniscono i sacri riti; miseri, commiserano i sacerdoti (se è lecito dirlo), disprezzano le dignità e le porpore, essi che sono quasi nudi! […] Regna tra loro la licenza sfrenata, quasi come un culto, e si chiamano indistintamente fratelli e sorelle, cosicché, col manto di un nome sacro, anche la consueta impudicizia diventi incesto. […] Ho sentito dire che venerano, dopo averla consacrata, una testa d'asino, non saprei per quale futile credenza […] Altri raccontano che venerano e adorano le parti genitali del medesimo celebrante e sacerdote […] E chi ci parla di un uomo punito per un delitto con il sommo supplizio e il legno della croce, che costituiscono le lugubri sostanze della loro liturgia, attribuisce in fondo a quei malfattori rotti ad ogni vizio l'altare che più ad essi conviene […] Un bambino cosparso di farina, per ingannare gli inesperti, viene posto innanzi al neofita, […] viene ucciso. Orribile a dirsi, ne succhiano poi con avidità il sangue, se ne spartiscono a gara le membra, e con questa vittima stringono un sacro patto […] Il loro banchetto, è ben conosciuto: tutti ne parlano variamente, e lo attesta chiaramente una orazione del nostro retore di Cirta […] Si avvinghiano assieme nella complicità del buio, a sorte" (Octavius VIII, 4-IX, 7).

A risposta di questo armamentario di accuse infamanti e di seconda mano (Ho sentito dire…), possono valere le parole che il cristiano Giustino rivolgeva in quegli stessi anni ad un altro accusatore del Cristianesimo, il filosofo cinico Crescente: "Veramente è ingiusto ritenere per filosofo colui che, a nostro danno, rende pubblicamente testimonianza di cose che non conosce, dicendo che i Cristiani sono atei e scellerati; e dice ciò per ricavarne grazia e favore presso la folla, che resta ingannata" (II Apologia, VIII).

Si noti che questo intervento raccoglie tutte assieme accuse che già circolavano dal secolo precedente, sottintese fin dalle parole di Tacito; ma se alcuni storici si prendevano la briga di verificarne la veridicità, come fece Plinio il Giovane, altri contribuivano a diffonderle.

Interessante il riferimento al culto della testa d'asino, una vecchia accusa già usata da Tacito contro gli Ebrei, dalla quale si era già difeso Giuseppe Flavio; di essa abbiamo anche una rappresentazione figurativa, un graffito di età severiana ritrovato sul Palatino, e ora conservato nell'antiquarium, raffigurante la caricatura di un uomo crocifisso con testa d'asino, con ai suoi piedi un altro uomo in atto di adorazione, il tutto accompagnato dalla scritta: "Alessameno adora il suo Dio".


Note storiche sulle persecuzioni contro i Cristiani nei primi secoli

Publio Adriano, successore di Traiano, imperatore dal 117 al 138, ricevette una lettera da Quinto Licinio Silvano Graniano, proconsole d'Asia nel 120 circa, nella quale si richiedevano istruzioni riguardo al comportamento da tenersi con i Cristiani, spesso oggetto di delazioni anonime e accuse ingiustificate. Egli rispose con un rescritto, che ci è pervenuto nella Storia ecclesiastica di Eusebio di Cesarea, indirizzato al successore di Graniano, Caio Minucio Fundano, in carica nel 122-123. In esso si legge:

"Se pertanto i provinciali sono in grado di sostenere chiaramente questa petizione contro i Cristiani, in modo che possano anche replicare in tribunale, ricorrano solo a questa procedura, e non ad opinioni o clamori. E' infatti assai più opportuno che tu istituisca un processo, se qualcuno vuole formalizzare un'accusa. Allora, se qualcuno li accusa e dimostra che essi stanno agendo contro le leggi, decidi secondo la gravità del reato; ma, per Ercole, se qualcuno sporge denuncia per calunnia, stabiliscine la gravità e abbi cura di punirlo" (Hist. Eccl. IV, 9, 2-3).

Gli apologisti, a partire da Giustino, che riporta il testo di questo rescritto in appendice alla sua prima Apologia, hanno interpretato favorevolmente questa disposizione, vedendo nella richiesta di Adriano il primo tentativo di distinguere tra l'accusa di nomen christianus e i suoi presunti flagitia; il semplice nome cristiano non doveva essere perseguito, e gli eventuali reati dovevano essere prima dimostrati tramite regolare processo, come per qualsiasi cittadino. In tal guisa interpretano anche molti studiosi moderni; tuttavia, ancora sotto Antonino Pio i Cristiani erano oggetto di persecuzione solamente in quanto tali.

Il successore di Antonino Pio, Marco Aurelio Antonino, imperatore dal 161 al 180, scrisse intorno al 170, in lingua greca, un'opera in 12 libri, intitolata "A se stesso", nella quale raccolse massime, pensieri, ricordi e meditazioni di contenuto filosofico. In essa trova spazio un accenno al martirio dei Cristiani:

"Oh, come è bella l'anima che si tiene pronta, quando ormai deve sciogliersi dal corpo, o estinguersi, o dissolversi o sopravvivere! Ma tale disposizione derivi dal personale giudizio, e non da una mera opposizione, come per i Cristiani" (Ad sem. XI, 3).

Come già Plinio il Giovane, così anche Marco Aurelio pare essere infastidito dalla ostinazione dei cristiani, che vanno incontro al martirio pur di non rinnegare la propria fede. Per l'imperatore, questo tipo di morte non è frutto di un giudizio interno, sano e ponderato, ma è il frutto di una "una mera opposizione". Ed è proprio sotto l'impero di questo sovrano "saggio" e filosofo, che prende forma la grande persecuzione che porterà alla morte, tra gli altri, di Giustino, Policarpo di Smirne, Carpo, Papilo, Agatonice, e dei cosiddetti Martiri di Lione.



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Le profezie della Bibbia adempiutesi in Gesù Cristo
Poche notizie su Gesù dalle fonti non cristiane?
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Poche notizie su Gesù dalle fonti non cristiane?

Poche notizie su Gesù dalle fonti non cristiane?


Se Gesù era così famoso come dice la Bibbia, non è strano che le fonti storiche non cristiane ne parlino poco?


Al contrario, proprio il fatto che le fonti non cristiane ne parlino tanto è straordinario. Tacito (storico romano del secondo secolo), Giuseppe Flavio (storico giudeo del primo secolo), e altri hanno fatto significativi riferimenti a Gesù Cristo. Uno studioso ha citato 39 antichi manoscritti non biblici, 17 dei quali non cristiani, che confermano il Nuovo Testamento con oltre cento dettagli sulla vita, la morte (1) e la resurrezione di Gesù (cf. Gary Habermas, The Verdict of History, Thomas Nelson Publishers, p. 169).

Meier (J.P. Meier, A Marginal Jew: Rethinking the Historical Jesus, Doubleday, 1991) e Harris (M. Harris, 3 Crucial Questions About Jesus, Baker, 1994) hanno indicato diverse ragioni per cui Gesù è rimasto un "Ebreo marginale" su cui è stato scritto poco dai non cristiani:

Egli non era considerato storicamente significativo dagli storici del suo tempo. Egli non scrisse al Senato Romano, né scrisse lunghi trattati filosofici in greco. Egli non viaggiò al di fuori delle regioni della Palestina, e non era membro di alcun gruppo politico. Se Gesù è conosciuto oggi è principalmente grazie alle Sacre Scritture, ai Cristiani e alle persecuzioni che essi conobbero. Sanders, confrontando Gesù con il famoso condottiero Alessandro, fa notare che quest'ultimo "cambiò così tanto la situazione politica in una vasta area del mondo che le notizie generali sulla sua vita pubblica sono di conseguenza molto ben conosciute. L'obiettivo di Gesù invece non era cambiare la situazione sociale, politica o economica della Palestina .. la superiorità dell'evidenza a favore di Gesù si nota quando noi stessi chiediamo qual era il suo pensiero" (E.P. Sanders, The Historical Figure of Jesus, Penguin Press, 1993; 3). Harris aggiunge che "difficilmente ci si potrebbe aspettare dagli scrittori Romani che essi potessero prevedere la conseguente influenza del Cristianesimo sull'Impero Romano e documentarne pertanto accuratamente" le origini. Come potevano immaginare che quel profeta nazareno avrebbe avuto un'influenza tale sul mondo?
Gesù fu giustiziato come un criminale, il che dimostra chiaramente la sua marginalità agli occhi del mondo dell'epoca. Questo è uno dei motivi per cui gli storici non cristiani hanno ignorato Gesù. Egli subì la più grande umiliazione agli occhi degli Ebrei (per la legge ebraica chiunque è appeso su una croce è maledetto, cfr. Deut. 21:23, Gal. 3:13), e anche agli occhi dei Romani (la crocifissione era la morte assegnata agli schiavi e ai ribelli).
D'altra parte, Gesù costituiva una minaccia molto piccola a confronto di rivoluzionari e sobillatori dell'epoca che si proclamavano "Messia". Roma dovette utilizzare le sue truppe per placare i problemi causati da un egiziano e dei suoi 4000 seguaci, di parla il libro degli Atti (21:38, cfr. Sanders, 51). In contrasto, nessuna truppa fu necessaria per reprimere i seguaci di Gesù. Per i Romani, che all'epoca erano i principali custodi della storia scritta, Gesù durante la sua vita non era diverso dalle migliaia di criminali che venivano crocifissi continuamente.
Gesù restò in disparte, attraversando le città e insegnando. Naturalmente non esisteva alcun network televisivo, e anche se fosse esistito, Gesù non utilizzò mai i sistemi costituiti per annunciare il suo messaggio. Egli viaggiò per le città, evitandone per la maggior parte - con l'eccezione di Gerusalemme - i maggiori centri urbani. Che atteggiamento avrebbero gli storici verso qualcuno che predicasse solo in luoghi come, ad esempio, le periferie di qualche città?
Le parole e gli insegnamenti di Gesù furono spesso duri verso le autorità religiose dell'epoca, che Egli definiva apertamente "ipocriti". Certamente non si fede molti amici tra i capi religiosi.
Gesù visse una vita che appariva oltraggiosa per i pregiudizi dell'epoca e che per questo scandalizzò molti. Infatti Egli non rifiutava la compagnia delle persone disprezzate e reiette dalla società: esattori delle tasse, prostitute, e quei pescatori che Egli scelse come suoi discepoli.
Gesù era una persona povera, rurale, e viveva in una terra governata da persone agiate. Sì, esisteva una discriminazione di classe sociale e già nel primo secolo!
Una considerazione finale da fare è che non molto materiale è sopravvissuto alla prova del tempo dal 1° secolo dopo Cristo fino ad oggi. Blaiklock (E.M. Blaiklock, Jesus Christ: Man or Myth?, Thomas Nelson Publishers, 1984) ha catalogato gli scritti non cristiani dell'Impero Romano - escludendo quelli del giudeo Filo di Alessandria - che sono giunti fino a noi e che non menzionano Gesù. Essi sono:

Una storia amatoriale di Roma di Vellius Paterculus, un ex ufficiale dell'esercito di Tiberio. Fu pubblicato nell'anno 30 d.C., proprio quando Gesù stava iniziando il suo ministerio.
Un'iscrizione che menziona Pilato.
Favole scritte da Phaedrus, un liberto macedone, verso il 40 d.C.
Sul periodo tra il 50 e il 60 d.C., Blaiklock ci dice: "Dei reggilibri distanziati di un piede [circa 30 centimetri, ndt] l'uno dall'altro sullo scrittoio sul quale sto scrivendo, circondando i testi risalenti a questi importanti anni". Sono incluse le opere filosofiche e le lettere di Seneca; un poema di suoi nipote Lucano; un libro sull'agricoltura di Columella, un ex soldato; frammenti della novella Satyricon di Gaio Petronio; qualche riga di un satirico romano, Persius; la Historia Naturalis di Plinio il Vecchio; frammenti di un commentario su Cicerone di Asconius Pedianus; e infine, la storia di Alessandrio il Grande di Quinus Curtius.
Di tutti questi scrittori, solo Seneca avrebbe potuto avere qualche motivo per menzionare Gesù. Ma considerando i suoi personali problemi con Nerone, è piuttosto improbabile che avesse interesse o tempo da dedicare al soggetto.
Inoltre:

Dall'anno 70 all'anno 80 d.C., abbiamo alcuni poemi ed epigrammi di Marziale, e opere di Tacito (un'opera minore di oratoria) e di Giuseppe Flavio (Contro Apione, Guerre Giudaiche). Nessuna di queste opere avrebbero potuto offrire un'occasione di menzionare Gesù.
Dall'anno 90, abbiamo un'opera poetica di Stazio; dodici libri del retore Quintilliano; la biografia di Tacito su suo suocero Agricola, e la sua opera sulla Germania (Blaiklock, 13-16).
A questo, Meier aggiunge (ibid., 23) che più in generale, la conoscenza della stragrande maggioranza delle persone dell'antichità "semplicemente non è accessibile a noi oggi tramite la ricerca storica e non lo sarà mai". E' quanto era stato detto nell'altro suo commento su Alessandro il Grande: tutto ciò che sappiamo oggi della maggior parte delle personalità dell'antichità come individui potrebbe essere raccolto su una manciata di fogli. Dunque sono in errore gli scettici che lamentano la scarsità di notizie sul Gesù storico dalle fonti pagane. A confronto della maggior parte delle personalità dell'antichità, su Gesù sappiamo molto e abbiamo una considerevole quantità di informazioni dalle fonti storiche non cristiane.


1) Nota: Un dettaglio che molti ritengono non possa essere passato inosservarto riguarda la crocifissione di Gesù. I vangeli, infatti, narrano che mentre Gesù era sulla croce, il sole si oscurò per tre ore (Marco 15:25,33-34). Ebbene, ciò è confermato in un frammento dello storico Tallo, che scrisse a Roma nell'anno 52 d.C. (il frammento si trova in Giulio Africano 3° secolo). Tallo cercava di giustificare quell'evento particolare dicendo che si era trattato di una eclissi di sole. Nel frammento si legge: "Tallo spiega nel terzo libro delle sue Historie che l'oscurità fu dovuta ad un'eclissi solare immotivata come sembra". Ma la crocifissione aveva avuto luogo il 15 di Nisan del 32 d.C. e verso questa metà del mese la luna era piena; è impossibile che in tempo di plenilunio si verifichi l'eclissi totale per tre ore.



Si veda anche:



Prove storiche da fonti non cristiane su Gesù Cristo


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Poche notizie su Gesù dalle fonti non cristiane?

Poche notizie su Gesù dalle fonti non cristiane?


Se Gesù era così famoso come dice la Bibbia, non è strano che le fonti storiche non cristiane ne parlino poco?


Al contrario, proprio il fatto che le fonti non cristiane ne parlino tanto è straordinario. Tacito (storico romano del secondo secolo), Giuseppe Flavio (storico giudeo del primo secolo), e altri hanno fatto significativi riferimenti a Gesù Cristo. Uno studioso ha citato 39 antichi manoscritti non biblici, 17 dei quali non cristiani, che confermano il Nuovo Testamento con oltre cento dettagli sulla vita, la morte (1) e la resurrezione di Gesù (cf. Gary Habermas, The Verdict of History, Thomas Nelson Publishers, p. 169).

Meier (J.P. Meier, A Marginal Jew: Rethinking the Historical Jesus, Doubleday, 1991) e Harris (M. Harris, 3 Crucial Questions About Jesus, Baker, 1994) hanno indicato diverse ragioni per cui Gesù è rimasto un "Ebreo marginale" su cui è stato scritto poco dai non cristiani:

Egli non era considerato storicamente significativo dagli storici del suo tempo. Egli non scrisse al Senato Romano, né scrisse lunghi trattati filosofici in greco. Egli non viaggiò al di fuori delle regioni della Palestina, e non era membro di alcun gruppo politico. Se Gesù è conosciuto oggi è principalmente grazie alle Sacre Scritture, ai Cristiani e alle persecuzioni che essi conobbero. Sanders, confrontando Gesù con il famoso condottiero Alessandro, fa notare che quest'ultimo "cambiò così tanto la situazione politica in una vasta area del mondo che le notizie generali sulla sua vita pubblica sono di conseguenza molto ben conosciute. L'obiettivo di Gesù invece non era cambiare la situazione sociale, politica o economica della Palestina .. la superiorità dell'evidenza a favore di Gesù si nota quando noi stessi chiediamo qual era il suo pensiero" (E.P. Sanders, The Historical Figure of Jesus, Penguin Press, 1993; 3). Harris aggiunge che "difficilmente ci si potrebbe aspettare dagli scrittori Romani che essi potessero prevedere la conseguente influenza del Cristianesimo sull'Impero Romano e documentarne pertanto accuratamente" le origini. Come potevano immaginare che quel profeta nazareno avrebbe avuto un'influenza tale sul mondo?
Gesù fu giustiziato come un criminale, il che dimostra chiaramente la sua marginalità agli occhi del mondo dell'epoca. Questo è uno dei motivi per cui gli storici non cristiani hanno ignorato Gesù. Egli subì la più grande umiliazione agli occhi degli Ebrei (per la legge ebraica chiunque è appeso su una croce è maledetto, cfr. Deut. 21:23, Gal. 3:13), e anche agli occhi dei Romani (la crocifissione era la morte assegnata agli schiavi e ai ribelli).
D'altra parte, Gesù costituiva una minaccia molto piccola a confronto di rivoluzionari e sobillatori dell'epoca che si proclamavano "Messia". Roma dovette utilizzare le sue truppe per placare i problemi causati da un egiziano e dei suoi 4000 seguaci, di parla il libro degli Atti (21:38, cfr. Sanders, 51). In contrasto, nessuna truppa fu necessaria per reprimere i seguaci di Gesù. Per i Romani, che all'epoca erano i principali custodi della storia scritta, Gesù durante la sua vita non era diverso dalle migliaia di criminali che venivano crocifissi continuamente.
Gesù restò in disparte, attraversando le città e insegnando. Naturalmente non esisteva alcun network televisivo, e anche se fosse esistito, Gesù non utilizzò mai i sistemi costituiti per annunciare il suo messaggio. Egli viaggiò per le città, evitandone per la maggior parte - con l'eccezione di Gerusalemme - i maggiori centri urbani. Che atteggiamento avrebbero gli storici verso qualcuno che predicasse solo in luoghi come, ad esempio, le periferie di qualche città?
Le parole e gli insegnamenti di Gesù furono spesso duri verso le autorità religiose dell'epoca, che Egli definiva apertamente "ipocriti". Certamente non si fede molti amici tra i capi religiosi.
Gesù visse una vita che appariva oltraggiosa per i pregiudizi dell'epoca e che per questo scandalizzò molti. Infatti Egli non rifiutava la compagnia delle persone disprezzate e reiette dalla società: esattori delle tasse, prostitute, e quei pescatori che Egli scelse come suoi discepoli.
Gesù era una persona povera, rurale, e viveva in una terra governata da persone agiate. Sì, esisteva una discriminazione di classe sociale e già nel primo secolo!
Una considerazione finale da fare è che non molto materiale è sopravvissuto alla prova del tempo dal 1° secolo dopo Cristo fino ad oggi. Blaiklock (E.M. Blaiklock, Jesus Christ: Man or Myth?, Thomas Nelson Publishers, 1984) ha catalogato gli scritti non cristiani dell'Impero Romano - escludendo quelli del giudeo Filo di Alessandria - che sono giunti fino a noi e che non menzionano Gesù. Essi sono:

Una storia amatoriale di Roma di Vellius Paterculus, un ex ufficiale dell'esercito di Tiberio. Fu pubblicato nell'anno 30 d.C., proprio quando Gesù stava iniziando il suo ministerio.
Un'iscrizione che menziona Pilato.
Favole scritte da Phaedrus, un liberto macedone, verso il 40 d.C.
Sul periodo tra il 50 e il 60 d.C., Blaiklock ci dice: "Dei reggilibri distanziati di un piede [circa 30 centimetri, ndt] l'uno dall'altro sullo scrittoio sul quale sto scrivendo, circondando i testi risalenti a questi importanti anni". Sono incluse le opere filosofiche e le lettere di Seneca; un poema di suoi nipote Lucano; un libro sull'agricoltura di Columella, un ex soldato; frammenti della novella Satyricon di Gaio Petronio; qualche riga di un satirico romano, Persius; la Historia Naturalis di Plinio il Vecchio; frammenti di un commentario su Cicerone di Asconius Pedianus; e infine, la storia di Alessandrio il Grande di Quinus Curtius.
Di tutti questi scrittori, solo Seneca avrebbe potuto avere qualche motivo per menzionare Gesù. Ma considerando i suoi personali problemi con Nerone, è piuttosto improbabile che avesse interesse o tempo da dedicare al soggetto.
Inoltre:

Dall'anno 70 all'anno 80 d.C., abbiamo alcuni poemi ed epigrammi di Marziale, e opere di Tacito (un'opera minore di oratoria) e di Giuseppe Flavio (Contro Apione, Guerre Giudaiche). Nessuna di queste opere avrebbero potuto offrire un'occasione di menzionare Gesù.
Dall'anno 90, abbiamo un'opera poetica di Stazio; dodici libri del retore Quintilliano; la biografia di Tacito su suo suocero Agricola, e la sua opera sulla Germania (Blaiklock, 13-16).
A questo, Meier aggiunge (ibid., 23) che più in generale, la conoscenza della stragrande maggioranza delle persone dell'antichità "semplicemente non è accessibile a noi oggi tramite la ricerca storica e non lo sarà mai". E' quanto era stato detto nell'altro suo commento su Alessandro il Grande: tutto ciò che sappiamo oggi della maggior parte delle personalità dell'antichità come individui potrebbe essere raccolto su una manciata di fogli. Dunque sono in errore gli scettici che lamentano la scarsità di notizie sul Gesù storico dalle fonti pagane. A confronto della maggior parte delle personalità dell'antichità, su Gesù sappiamo molto e abbiamo una considerevole quantità di informazioni dalle fonti storiche non cristiane.


1) Nota: Un dettaglio che molti ritengono non possa essere passato inosservarto riguarda la crocifissione di Gesù. I vangeli, infatti, narrano che mentre Gesù era sulla croce, il sole si oscurò per tre ore (Marco 15:25,33-34). Ebbene, ciò è confermato in un frammento dello storico Tallo, che scrisse a Roma nell'anno 52 d.C. (il frammento si trova in Giulio Africano 3° secolo). Tallo cercava di giustificare quell'evento particolare dicendo che si era trattato di una eclissi di sole. Nel frammento si legge: "Tallo spiega nel terzo libro delle sue Historie che l'oscurità fu dovuta ad un'eclissi solare immotivata come sembra". Ma la crocifissione aveva avuto luogo il 15 di Nisan del 32 d.C. e verso questa metà del mese la luna era piena; è impossibile che in tempo di plenilunio si verifichi l'eclissi totale per tre ore.



Si veda anche:



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La questione del Gesù storico: una introduzione

La questione del Gesù storico: una introduzione
Conferenza del prof. Carmelo Dotolo, tenuta presso il Centro Culturale L’Areopago della parrocchia di S.Melania l’11 marzo 2005
Il testo che mettiamo a disposizione on-line è la trascrizione della conferenza che il prof.Carmelo Dotolo ha tenuto presso il Centro culturale L’Areopago della parrocchia di S.Melania l’11 marzo 2005. In preparazione alla conferenza era stata preparata una sintesi dei criteri di storicità elaborati da p.R.Latourelle nella ricerca del Gesù storico, sintesi che era stata distribuita ai partecipanti all’incontro. Il testo si trova in appendice al fondo di questa pagina web.
Le parole del prof.Dotolo sono state trascritte dalla registrazione della sua riflessione e conservano pertanto lo stile parlato. Il testo non è stato rivisto dal suo autore.

L’Areopago


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Indice
La questione del Gesù storico: una introduzione Conferenza del prof. Carmelo Dotolo
Scheda sui principali criteri di storicità dei vangeli, secondo la sintesi di René Latourelle S.J.

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La questione del Gesù storico: una introduzione
Conferenza del prof. Carmelo Dotolo
Presentazione della conferenza da parte di d.Andrea Lonardo
Il prof. Dotolo è professore di Teologia delle religioni, un tema attualissimo, interessantissimo, presso la Pontificia Università Urbaniana. Gli abbiamo chiesto di introdurci al tema del Gesù storico. Come sapete questo è un tema centrale per la nostra fede e da sempre noi lo abbiamo nel cuore come credenti. Ma è un tema di attualità ancor più oggi.
Pensate, solo per fare un esempio, al problema del crocifisso. Sapete che l’Islam rifiuta il crocifisso non solo perché è un segno cristiano, ma, più profondamente, perché il Corano afferma, sebbene in modo molto sibillino, che Gesù non è mai stato crocifisso. Per la posizione islamica tradizionale Gesù, essendo un profeta santo, è asceso al cielo senza mai morire. Una religione come l’Islam che afferma di avere Gesù fra i suoi profeti più importanti nega, però, validità alla figura del Gesù storico, come ce lo trasmettono i vangeli. Allora è fondamentale ancora di più oggi che, in un dibattito culturale serio, realmente la scuola affronti la questione in modo rigoroso: Chi è Gesù? E’ morto in croce oppure no?
Pensate ancora alle riflessioni che abbiamo fatto in questi giorni sull’immeritatamente famoso “Codice da Vinci” di Dan Brown. Mi ha colpito nella piccola libreria annessa al cinema Nuovo Sacher di Nanni Moretti, un luogo dove la leggenda vuole che tutto sia quasi maniacalmente scelto con cura, vedere in vendita, insieme a cose di qualità, questo banalissimo libro. Un quotidiano come Repubblica, che si pregia di apparire come testata per persone di cultura, ha venduto lo stesso volume in allegato. In un liceo del nostro Municipio – così mi hanno raccontato studenti e genitori – un professore di italiano ha consigliato il romanzetto come un classico della letteratura.
Mi permetto di ripetere la battuta che faccio da un po’ di giorni: leggetelo, se avete tempo da perdere, ma fatevelo prestare, non compratelo; sono già troppi i soldi che ha guadagnato il suo furbo autore!
Il tema del Gesù storico si situa - al di là di queste battute iniziali che ho fatto solo per incuriosire un po’ e per accennare all’attualità del problema - all’interno della teologia fondamentale. La teologia fondamentale è quella branca della teologia che si occupa dei “fondamenti” della fede e della riflessione su di essa, in una doppia accezione. Da un lato cerca di dire quali sono i fondamenti dai quali derivano tutte le verità che crediamo, quindi cos’è innanzitutto la Rivelazione, cosa vuol dire che noi crediamo a Dio che si rivela. L’altro aspetto è invece la riflessione sui motivi della fede, sul fondamento del nostro credere: perché noi crediamo? Se la nostra intelligenza, il nostro cuore, oppure un ateo, una persona in ricerca, ci chiedono “Ma tu, perché credi? Cosa mi sai spiegare del perché della fede?” ecco che la teologia fondamentale cerca di mostrare le ragioni che l’intelligenza cristiana riesce a dare.
E’ molto interessante ed importante - è una cosa che vi invito ad avere sempre presente, anche come stile della vostra fede - il cercare sempre di porsi nell’ottica di capire come quello che noi crediamo può essere raccontato.
La dogmatica, invece, è la branca della teologia che spiega qual’è il contenuto della fede - quindi la Trinità, chi è Cristo, cosa è la Chiesa, ecc. Ma è evidente che queste due discipline della teologia – la fondamentale e la dogmatica – sono continuamente correlate. E’ proprio perché la fede è ciò che è che è credibile. Il suo contenuto e la sua credibilità non sono due realtà diverse. Sono come due aspetti uniti, perché dall’identità della fede cristiana, dalla sua pecularità, dipende anche il perché noi la crediamo. C’è una continua relazione fra queste due cose.
Con Carmelo Dotolo abbiamo studiato, sugli stessi banchi della Gregoriana, con i famosi sei libri del prof.R.Latourelle, il gesuita che ha dato forma alla disciplina della fondamentale.
Uno dei volumi porta il titolo di “Teologia della rivelazione” – tutti e sei sono editi dalla casa editrice Cittadella –ed affronta il fondamento della fede, la Rivelazione: cosa vuol dire che Dio si è rivelato, che non siamo noi ad arrivare a Dio, ma è Dio che si racconta a noi?
Da questo consegue il tema del Gesù storico: come facciamo noi a dire che Dio si è rivelato in Gesù? Cosa sappiamo di certo? In particolare si apre il capitolo dei miracoli di Gesù, della Resurrezione e così via. A questo p.Latourelle ha dedicato i suoi volumi “A Gesù attraverso i vangeli” e “Miracoli di Gesù e teologia del miracolo”.
Poi c’è un altro suo bellissimo testo che affronta il tema della credibilità a partire dal bisogno che l’uomo ha di un senso alla vita: “L’uomo e i suoi problemi alla luce di Cristo”. Perché l’uomo ha bisogno di credere? Come parlare oggi del senso della vita?
Infine un altro testo chiave del prof Latourelle, nostro maestro, sul tema della credibilità, si intitola “Cristo e la Chiesa segni di salvezza”. E’ il tentativo di parlare della Chiesa non solo come un dato di fatto - la Chiesa c’è perché Gesù l’ha voluta - ma domandandosi perché la Chiesa è un segno di credibilità. Perché la Chiesa aiuta a credere? Perché Gesù ha voluto al Chiesa, donandocela come motivo per credere?
Ma questa sera parleremo di uno solo di questi temi, introducendoci al Gesù storico. Ciò che ho accennato vale solo come una indicazione del contesto generale nel quale il tema di questa conferenza si inserisce. Avete sicuramente già letto la sintesi che abbiamo preparato sui criteri di storicità dei vangeli, secondo la proposta di p.Latourelle, che avremo come sfondo in questo nostro incontro (N.d.R. Questo testo è disponibile on-line, in fondo a questa pagina web).

Prof. Carmelo Dotolo
Sono contento di poter condividere con voi questo tema che, come ha detto don Andrea, è un tema affascinante. E’ affascinante perché è un tema centrale, così centrale da essere stato da sempre oggetto di problematiche piuttosto accese e di conflitti interpretativi. Vale a dire che dinanzi alla figura di un personaggio che corrisponde al nome di Gesù di Nazareth, detto il Cristo, si è scatenata nella storia della riflessione, una serie di prospettive diversificate, che hanno tentato in qualche modo o di sminuire il valore significativo che ha per la storia dell’uomo, o di ridurne la peculiarità. Basti pensare che ancora nel 1977-80 uno storico delle religioni, un certo Donini, affermava che Gesù era un fondatore leggendario di una religione che noi chiamiamo cristiana. Ora, affermare, da un punto di vista storiografico, che Gesù è un fondatore leggendario è dire una cosa difficilmente dimostrabile a partire dalle fonti che noi possediamo. Perché allora la questione del Gesù storico?

Sembrerebbe che l’aggettivo “storico” voglia fare emergere l’idea che noi invece ci troviamo di fronte ad un mito o dinanzi ad un personaggio che sicuramente ha qualcosa a che fare con la storia, ma che poi di fatto è stato sostanzialmente costruito, mascherato, orientato secondo gli schemi storici delle religioni che, quando devono affrontare qualcosa in relazione al divino, hanno bisogno di escogitare forme narrative tale per cui, sostanzialmente, deve essere chiaro che il personaggio in questione c’è e non c’è, è possibile analizzarlo e non è possibile. Il problema nasce nel 1700 - ed è indicativo che esploda in maniera molto forte in quest’epoca - in un momento storico in cui l’analisi della religione era soggetta ad una critica serrata. Ma è un problema antico. Già i primi scrittori cristiani, penso ad Agostino per citare il più famoso, sentiva il bisogno di fare chiarezza in una matassa abbastanza intricata. Quali sono i punti fondamentali o decisivi per l’analisi del Gesù storico? Credo siano tre, provo a schematizzare.
C’è un motivo di ordine teologico, quindi contenutistico, un motivo di ordine critico-letterario e un motivo di ordine culturale.

1 Il motivo teologico
Partiamo dal motivo di ordine teologico, che è decisivo per molti versi. Si tratta di questo: i vangeli ed il Nuovo Testamento ci mettono a disposizione un messaggio, un personaggio, che porta con sé qualcosa di straordinario nella comunicazione della significatività di Dio per l’uomo. C’è qualcosa di straordinario che entra nei circuiti della storia: l’affermazione che in un uomo concreto - un ebreo “marginale” rispetto alle categorie socio-culturali del tempo, come direbbero oggi alcuni studiosi - si è in qualche modo manifestata o rivelata, con terminologia che possiamo approfondire teologicamente, non tanto una delle possibili manifestazioni del divino di cui la storia delle religioni era a conoscenza in maniera più o meno chiara, ma addirittura si è fatto conoscere Dio. Dio, secondo la formula del vangelo di Giovanni, si è fatto uomo. Addirittura, con terminologia ancora più sottile, che in qualche modo risente dell’intreccio con la filosofia ellenistica e con la sapienza gnostica, “il Logos si è fatto carne”. Questa affermazione è solo apparentemente innocua, di fatto ha scatenato la critica sin dalle origine del cristianesimo.

Il cristianesimo porta con sé una strana vicenda, quella di dovere sempre e comunque giustificare se stesso. E la giustificazione di se stesso o, come direbbe la prima lettera di Pietro, il dovere dare delle ragioni, è parte integrante, appartiene al DNA dell’esperienza cristiana. Io sfido chiunque a porsi dinanzi a questa notizia e dire: “Beh, è normale, è ovvio, potrebbe appartenere alla probabilità dei casi”. Che un Dio si faccia uomo e che nella umanità concreta, reperibile secondo spazio e tempo, questo Dio, in questa umanità - e utilizzo adesso questa terminologia generica - esprima tutta la sua progettualità per l’uomo, non è affermazione che passi con troppa facilità. Anche perché questa affermazione provoca un capovolgimento dell’idea e dell’esperienza religiosa. Il capovolgimento è tale che l’uomo è chiamato a dover rivedere la sua idea di Dio, a dover rimettere in gioco la sua esperienza, a dover verificare cioè che Dio non è più soltanto una delle ipotesi possibili, ma che è una realtà talmente evidente da essere addirittura personale e storicamente inserita in una cultura. Il motivo teologico è grosso, di portata notevole.

Tanto è vero che si può affermare che il Nuovo Testamento, in fondo, risponde ad un interrogativo molto semplice: chi è Gesù di Nazareth? “Chi dite che io sia? Chi dice la gente che io sia?” Il Nuovo Testamento (e, insisto, i vangeli che hanno una loro priorità conoscitiva rispetto al resto del corpus neotestamentario, cioè al resto dell’altra letteratura, da Paolo in avanti) è una sinfonia di risposte che cercano in qualche modo, da prospettive complementari, di focalizzare la possibile identità di Gesù. Focalizzare questa identità cercando di cogliere in Gesù il senso profondo della sua persona e del suo messaggio. Il problema è che siamo dinanzi ad un evento così sorprendente, un evento che dalla storia della comprensione dei primi cristiani è sempre soggetto ad un urto con la ragione. Se noi sfogliamo la letteratura del Nuovo Testamento, quello che abbiamo, ci rendiamo conto che c’è sempre questa difficoltà ad accogliere qualcosa che è di fatto impensabile, indicibile: il dover in qualche modo ritenere che i gesti e le parole di un uomo possano essere i gesti e le parole del Dio che è all’origine della vita.

C’è sempre questa sorta di distanza che è segnata da stupore, ma anche da desiderio di capire fino a che punto Dio è capace di andare oltre la nostra immaginazione. Prendiamo un inno delle lettere paoline, quello contenuto in Filippesi 2,5-11, che è un inno molto antico, dicono gli studiosi. Circolava nelle comunità cristiane. Pensate ad una comunità cristiana come la vostra in cui sostanzialmente agli inizi di questa avventura meravigliosa di cui noi siamo in qualche modo partecipi, si iniziava a pregare, a riflettere, a sistematizzare l’esperienza attraverso alcune parole chiave. Questo inno dice una cosa che è emblematica della difficoltà e della incapacità di accoglienza di quegli uomini. Dice che questo uomo è colui che è diventato tale non ritenendo qualcosa di prezioso la sua identità con Dio. Una cosa grossa! Ed il testo greco è ancora più forte. Nelle comunità cristiane, lo stupore narrativo - che diventa anche preghiera, che è innico - è che quell’uomo è Dio. Adesso noi possiamo giocare con tutte le formule del caso, con tutte le prudenze etimologiche, perché queste sono presenti nella letteratura neotestamentaria, ma di fatto quando si dice che quell’uomo ha lasciato la μορφή, la forma di Dio, e si è fatto altro da sé per diventare uomo, e un tipo di uomo particolare, questo è qualcosa che è talmente forte che anche noi oggi faremmo la stessa difficoltà - e la facciamo, malgrado una tradizione molto ampia! - a ritenere che in quella storia ci sia qualcosa di più di una semplice indicazione di una idea del divino o di un semplice messaggero.

Questo è il dato teologico, il primo livello, quello fondamentale, quello che ha fatto scattare autori della letteratura filosofica e non. Perché una cosa interessante, se noi prendessimo la letteratura, a partire da Pascal, dall’inizio della modernità - lasciamo stare tutta la costruzione storica medievale, con tutte le difficoltà di organizzazione delle diverse anime cristiane – una cosa incredibile è come, da Pascal in avanti, in tutta la letteratura filosofica, che è quella che più ha insistito nel decostruire, cioè nel cercare di rompere l’affermazione che Gesù è Dio, che Gesù è il Cristo, non ci sia autore che non abbia preso in esame la figura di Gesù di Nazareth. Fino ai nostri giorni penso. E’ iniziata questa stranissima ricerca di tiro al piattello nei confronti di questo uomo che ha avuto la pretesa di essere Dio e di mostrarsi come Dio e di rivelare Dio. Non è un caso che il motivo della sua condanna è: “E’ un bestemmiatore, ha preteso di mettersi al posto di Dio”.

2 Il motivo storico-letterario
Il secondo livello è quello storico-letterario. Cosa si intende dire? Noi ci troviamo dinanzi ad una letteratura, il Nuovo Testamento, di fattura molto particolare. In qualche modo è espressione non tanto di un’elaborazione fatta a tavolino, come può accadere a qualsiasi scrittore il quale, sebbene non distante dalla realtà e dalla vita, quando costruisce un itinerario narrativo lo fa attraverso una serie di strategie che sono tipiche di ogni percorso letterario: studio, ricerca, appunti, canovacci, ecc.
I vangeli non sono una biografia, cioè non sono sostanzialmente ciò che ci si sarebbe aspettati per cercare di accedere alla conoscenza di Gesù di Nazareth, in maniera, permettetemi il termine, oggettiva. E’ evidente che chi prende il testo a distanza e lo prende al di fuori di una tradizione che ne ha in qualche modo coordinato l’interpretazione, o che ha dato alcuni strumenti dell’interpretazione, si trova davanti ad un testo elaborato secondo una prospettiva che non è quella di alcuni canoni storici e letterari che ci aspetteremmo. Se io prendo i vangeli, vorrei forse vedere o leggere una narrazione più lineare, un percorso che mi faccia comprendere determinati criteri o orizzonti nei quali io posso essere sicuro che ciò che sto leggendo non è semplicemente una possibile ricostruzione postuma, ma appartenga effettivamente allo svolgimento dei fatti. Se io prendo i vangeli avrei bisogno di un’organizzazione che mi faccia capire le cose secondo un ordine che invece attualmente non esiste, o comunque esiste secondo altri principi che poi cercherò brevemente di comunicarvi. Insomma, c’è una difficoltà, non possiamo nasconderci.

Sant’Agostino, che non era sicuramente uno sciocco, si era accorto che c’erano, non dico contraddizioni, ma delle opposizioni. Adesso queste cose possono farci ridere, perché apparteniamo ad un’epoca nella quale sono ormai state elaborate. Ma al tempo di Agostino il fatto che non fosse chiaro se lo stesso “discorso della montagna” Gesù l’avesse fatto sul monte o in pianura faceva problema. Se voi leggete il vangelo di Luca vi accorgete che il famoso discorso della montagna qui non è stato fatto in montagna ma in pianura. Perché questo faceva problema? Perché il ragionamento che è andato avanti per diciotto secoli era molto semplice; proviamo a riassumerlo, secondo la prospettiva di allora. Ci si domandava: chi sono gli autori dei vangeli? Sono due apostoli e due discepoli di apostoli. Questo ragionamento dava la garanzia che chi scriveva era effettivamente consapevole e conoscitore dei fatti. Gli apostoli hanno condiviso con Gesù quella breve parte dell’esistenza che è stata poi programmaticamente decisiva per il resto della storia del cristianesimo. E’ evidente allora – se fosse giusta questa impostazione di fondo appena descritta - che due apostoli non potevano riportare lo stesso discorso pronunciato in due posti diversi. Uno dei due si sbagliava.

I discepoli di apostoli (gli apostoli dei quali stiamo parlando erano, secondo la tradizione, Matteo e Giovanni, i due discepoli erano, invece, Marco e Luca), o almeno uno dei due, non riporta nemmeno il discorso. Marco non parla del discorso della montagna. Giovanni non riporta il discorso che parte dal “Beati voi” e giunge fino a quella conclusione bellissima “Cercate innanzitutto il regno di Dio perché ogni cosa vi sarà data in sovrappiù ed è inutile che vi affanniate”. Un passo significativo per la mia vita.

Pensiamo ancora ai fatti dei quali tra qualche settimana inizieremo la memoria, non tanto come fatto archeologico del passato, ma come esperienza di un cammino di conversione, pensate ai discorsi della passione, della morte e della resurrezione di Gesù che rivivremo nella settimana santa. C’è tutta una filmografia che si basa sulla cosiddetta prova-indizio del sepolcro aperto, basta citare “L’inchiesta” di Damiano Damiani. Se prendete i quattro vangeli non troverete una ricostruzione uguale: chi parla di una donna, chi di due, chi di tre, chi di un angelo, chi di due. E’ possibile che lo stesso fatto - e non è un fatto banale, perché sapete che l’evento della morte e resurrezione è un evento di apertura notevolissima; se non avessimo questo non staremmo qui a parlare - non abbia un’unica ricostruzione? Il livello letterario ha scatenato la letteratura critica che, a partire dal 1500-1600, iniziava ad appropriarsi dei testi senza più l’ipoteca interpretativa della Chiesa.

Ma l’osservazione più semplice è che di fatto Gesù non aveva lasciato nulla di scritto. La battuta “Gesù ha scritto solo una volta sulla terra, quando hanno preso l’adultera” è una battuta che si fa spesso, ma è un fatto vero. Come possiamo noi sostenere quello che abbiamo chiamato il livello teologico, che Gesù non era una specie di venditore di castagne ma era Dio, se questo uomo non è autore di nessun testo, se non ha proposto se stesso per iscritto? Per la storiografia di quel tempo, soprattutto di impostazione greca, alla Tucidide, era un problema. Tanto è vero che la formulazione del problema, così come è stato proposto nell’introduzione, è una formulazione che si ferma a metà. Perché il problema non è solo quello del Gesù storico, ma, come si iniziò a dire nel XVIII secolo, il problema era quello del Gesù storico e del Cristo della fede.

La questione non era tanto se il personaggio Gesù era storicamente esistito - questa era all’inizio una questione di secondaria importanza. Difficilmente si sosteneva la possibilità di creare, secondo le fonti vicine, extrabibliche o extraevangeliche, l’ipotesi della non-esistenza di Gesù. Il problema di altro tipo è: perché quel personaggio storico è stato interpretato come Cristo? Perché Gesù - nella sua storia concreta, con quello che ha detto e fatto - è Dio? Il problema essenziale è questo. Non abbiamo testi, c’è una confusione, non c’è una biografia, i vangeli hanno una struttura che non corrisponde alla logica della narrazione: qualcosa allora non funziona. Viene fuori l’ipotesi che provvidenzialmente ha aperto gli occhi alla ricerca della conoscenza dei vangeli. La critica di alcuni pensatori illuministi ci ha dato la possibilità di comprendere meglio quello che inizialmente era come una specie di pacco chiuso, un libro sigillato, composto in un certo modo, come mostrava una certa iconografia con lo scrittore sacro che tende l’orecchio e Dio che gli comunica ciò che deve scrivere. Chi di voi si ricorda il film “I dieci comandamenti”, di Cecil B.De Mille, con Charlton Heston nel ruolo di Mosè che sale sulla montagna e Dio con il raggio laser incide la tavola delle leggi. E non sto parlando del 1800, ma di un film del 1960, dove ancora si aveva l’idea che il testo fosse stato in qualche modo dettato.

La critica illuminista che fa nascere la questione del Gesù storico - perché tale questione è battezzata intorno al 1768-1780, anno più anno meno - ci fa capire che i vangeli non sono qualcosa di banalmente narrato, ma hanno una struttura molto profonda. Ripeto, l’età è indicativa, siamo intorno al 1700, si muovono critiche a ogni religione rivelata, che superi la ragione, che superi ciò che la razionalità può perimetrare. La ragione può accettare che ci sia un uomo pio, un uomo santo, un grande uomo, ma che un uomo sia Dio non si è mai sentito. Qual è la critica dei Lumi?

Samuel Reimarus, conoscitore di lingue semitiche e studioso delle religioni, ragiona in quegli anni più o meno così: “Attenzione, noi sappiamo che quest’uomo è morto, quindi si deve dedurre che sia nato ed è un fatto certo, almeno questo. Ma qualcuno dice che quel morto non è più morto, ma è, con metafora, risorto, cioè vivo. La ragione dice che quando qualcuno è morto rimane morto. Vivo non può più essere. Ma se è morto, perché ci hanno detto che è vivo? Cosa si sono inventati? Sospetto: non è forse da ipotizzare che il suo gruppo ha inventato il fatto della resurrezione per giustificare che in fondo il grande sogno che Gesù aveva alimentato nel suo popolo e con i suoi, di liberare i suoi, potesse continuare? Non è per caso che l’attribuzione che noi abbiamo, come messaggio significativo, che Gesù è il Cristo, cioè Dio, non sia altro che una attribuzione o una proiezione di un gruppo di uomini che a quel punto, vistisi smarriti, e avendo giocato la loro esistenza in qualcosa che dava loro la possibilità di credere e sperare in qualcosa di diverso, non sia un millantato credito? Hanno inventato, non tanto il personaggio storico, ma l’idea che quell’uomo sia Dio”.

Ecco la terminologia: il Gesù della storia, il Cristo della fede. Nell’Illuminismo, ma fino ad arrivare ai nostri giorni, perché questa polemica si è spenta intorno al 1960. Quindi non si è bruciata immediatamente ed oggi va avanti con altre modalità. In altre parole è accaduto che – così dicono i nostri critici – le prime generazioni cristiane si sono in qualche modo create una divinizzazione di Gesù, hanno mitizzato il personaggio storico conducendo quel livello di umanità, per certi versi anche eccezionale in alcune manifestazioni, addirittura adducendo una divinità, o sostenendo che quella persona sia il Cristo. Questa affermazione che sembra apparentemente essere rispettosa e, in qualche modo, attenta alla storia provocava di fatto come una specie di effetto domino, una crisi di ogni elemento storico. Se non è Cristo, avrà fatto i miracoli? Togliamo allora un po’ di miracoli. R.Latourelle, grande studioso contemporaneo del problema che avete sentito citare, diceva che se voi prendete il vangelo di Marco e ci togliete i miracoli, non rimane nulla. Il 66 % di quel testo è basato sui miracoli. Può questo uomo avere fatto o detto quello che ha detto in maniera così intensa: “Io sono”, “Vi fu detto, ma io vi dico”? Non è possibile! in fondo era uno dei tanti messia o millantatori politici e religiosi. Insomma sfogliando una immaginaria margherita veniva fuori secondo l’Illuminismo - è molto famosa in quest’ottica un’opera di Renan, “Gesù” - che Gesù era in fondo un buon maestro di morale, un uomo grande, ma non troppo, certamente interessante. Un uomo che difende una donna in un’epoca nella quale le donne valevano meno di quanto valesse una pecora, era sicuramente un uomo di grandi aperture, però poi alla fine, stringi stringi: si è fatto mettere in croce! E poi anche la morale... siamo sicuri che la morale di Gesù abbia un rigore razionale? Uno che dice di porgere l’altra guancia, che dice di camminare insieme per dare il mantello, che parla di amore del nemico e che addirittura dice che bisogna farsi prossimo anche laddove il prossimo non chiede nulla perché è semplicemente buttato lì, che morale è? Basta leggere un trattato di Aristotele o Schopenauer, non abbiamo bisogno di Gesù..

Alla fine non rimane nulla. Se poi noi togliamo anche quello che è contenuto nei vangeli dell’infanzia - perché è un guazzabuglio, non si capisce bene. Noi ancora oggi ci meravigliamo se qualcuno dice che i re magi non erano tre e deve intervenire Gianfranco Ravasi sul domenicale del Sole24ore per dire che nei vangeli non è mai citato il numero dei magi. Queste cose che a noi sembrano risibili, danno l’idea che se io tolgo tutte queste cose, cosa mi rimane? Se tolgo che è risorto, perché non corrisponde alla mia idea, anche il Gesù storico non ha più nessuna storia. Non è storico perché non sarebbe neanche registrabile storicamente. Cosa registro? Un personaggio che non ha fatto quello che si dice abbia fatto, che quello che ha detto non si sa se l’abbia detto, e che se ha detto qualcosa non è stato capito, ma allora perché stiamo perdendo tempo?

3 Il motivo “culturale”
Il terzo livello sintetizza gli altri due. Dobbiamo partire da questa idea. La provocazione degli illuministi ci ha fatto aprire gli occhi. Su un punto Reimarus aveva probabilmente ragione. Il ragionamento che si faceva fino al XVIII secolo, che gli scritti sono in qualche modo trascrizione di apostoli, che siano una sorta di registrazione sbobinata, non è corretto. Io sogno che ci sia il videoamatore che ha registrato il momento della resurrezione e soprattutto quello che ha filmato la creazione, ma i vangeli non sono una trascrizione o appunti di viaggio. Per il racconto di eventi storici o battaglie, basta leggere Le Goff e si risolvono i problemi. Anzi Le Goff è ritenuto più credibile di quanto lo sia uno studioso come Carlo Maria Martini, il quale ha studiato interamente il testo evangelico affermando che se noi abbiamo un testo tramandato correttamente secondo la tradizione manoscritta questo è proprio il vangelo, perché gli altri testi dell’antichità sono frutto di una serie di composizioni i cui tratti originali sono molto più difficili da trovare. Non voglio vendervi il prodotto, ma sappiate che se c’è un testo ricostruibile parola per parola, fatta eccezione per qualche piccolo vocabolo, è proprio il testo evangelico.

Questa è la forza dei vangeli, ma anche la fragilità di questi testi. Il testo dei vangeli è un testo, per dirla con una formula televisiva, testato clinicamente. E’ cioè un testo la cui elaborazione, sebbene fuoriesca dai canoni tipici della letteratura, è proprio per questo motivo, il più attendibile possibile. Innanzitutto perché il testo dei vangeli nasce come lettura retrospettiva dell’esperienza che un gruppo di uomini ha vissuto con Gesù di Nazareth. Quindi è un testo che non fa una narrazione ipotetica, ma una verifica narrativa di un’esperienza vissuta. Quello che ci hanno detto non è soltanto qualcosa che qualcuno ha potuto registrare in una conferenza nascosta che Gesù ha fatto in un luogo, ma è l’elaborazione attraverso diversi livelli, in cui è stata portata per iscritto l’esperienza. “Noi abbiamo scritto ciò che abbiamo visto e sperimentato”. La prima lettera di Giovanni dice:

Ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato.

Non è la narrazione di una fiaba, ma la verifica vissuta, sperimentata e testimoniata da noi. Qui è interessante che, per la prima volta, nel campo della letteratura si introduce un principio che nella giurisprudenza e nella filosofia è fondamentale: il principio della testimonianza. La testimonianza che questi uomini hanno in qualche modo elaborato narrativamente, non è il lato debole del racconto che Gesù è Dio, ma la parte fondamentale. Perché senza testimonianza nella vita non si può ricostruire nessun fatto, se non quello che soltanto io ho visto. Nel momento in cui lo racconto, testimonio. Pensateci bene. Di fatto queste persone cosa hanno comunicato mettendolo per iscritto? La loro esperienza che è diventata espressione di una testimonianza verificata dalla vita delle comunità cristiana delle origini. E proprio questa testimonianza è diventata il luogo di cernita, organizzazione, narrazione dei vangeli. Proprio questa testimonianza ha deciso di selezionare quei materiali, quei fatti, quelle parole, quei discorsi, dando loro forma organica.

Allora i vangeli nascono come sguardo retrospettivo, a partire dall’evento fondamentale della morte e resurrezione. Prima noi non abbiamo testi scritti, prima di questo evento, probabilmente, come era tipico della cultura rabbinica di quel tempo. C’era solo la memorizzazione di eventi e parole, anche perché tutto sommato non c’erano tanti anni di distanza. Gli apostoli, coloro che hanno vissuto con lui - perché il termine apostoli indora la cosa - hanno visto e hanno potuto ricollegare l’evento che ha fatto scattare in loro la scintilla. Ma allora quell’uomo che ha fatto quelle cose, che ha detto quelle cose, non era semplicemente un profeta, un maestro! Si è mostrato vivo, si è lasciato toccare. E se si è lasciato vedere e toccare è qualcosa di più che ci torna in mente e che testimoniamo, allora ti ricordi quando ci diceva quelle cose, quando ha fatto quei gesti, quando ha parlato di quelle cose? Così il vangelo ha iniziato a ritessere, a ricucire, fatti, eventi, parole, che erano inizialmente frammentari, che capivano e non capivano. E’ ovvio, quando si è in cammino è difficile fare una sintesi del cammino stesso, bisogna fare una pausa, fermarsi e guardare. Ci vuole un avvenimento che ti aiuti a fare questo movimento di ri-comprensione del tuo vissuto. Questo avviene anche per la nostra vita. Mentre viviamo abbiamo difficoltà a capire il senso di quello che ci accade in modo immediato. Abbiamo bisogno di qualcosa che lo faccia emergere.

I vangeli sono una costruzione a tre livelli. Il livello ultimo è quello che abbiamo noi oggi in mano, la redazione. Pensate ad un giornale, è lo stesso processo. Gli evangelisti non erano scrittori a tavolino, erano testimoni che hanno vissuto e per un dono particolare hanno avuto il compito di mettere insieme, attraverso un processo molto articolato, quel testo. Tanto è vero che noi diciamo vangelo secondo Marco, secondo Luca, ecc. ecc. “Secondo” vuol dire “secondo il gruppo”, “secondo l’ispirazione”, “secondo la visuale” che Marco ha dato. La bellezza dei vangeli è che insieme formano una sinfonia.

Il secondo livello, precedente, è quello delle comunità che hanno fatto esperienza, questo a me sembra molto importante. E’ l’esperienza di quegli uomini che fa da tratto d’unione tra la redazione dei vangeli e la vicenda di Gesù. Non hanno scritto se non quello che hanno sperimentato.
Il che significa che se noi facciamo la stessa esperienza che hanno fatto loro, pur nella diversità dei tempi e dello spazio, noi possiamo incontrare Dio nello stesso modo nel quale loro lo hanno incontrato. Per cui loro non ci vendono fumo, ma unicamente quello che hanno sperimentato. L’unica cosa è mettersi nella diversità e nella ricchezza che ognuno di noi è e nelle differenze storico-socio-culturali e fare quell’esperienza.

Ma il nucleo fondamentale è Gesù di Nazareth, questo è il primo livello che genera gli altri due. Proprio colui che sembrava essere l’invenzione è colui che ha prodotto questa logica dell’interpretazione e la necessità di mettere per iscritto. Ha provocato questo perché quel personaggio non era semplicemente uno dei tanti possibili uomini saggi che la storia può inanellare, ma qualcuno che ha fatto loro sperimentare qualcosa di diverso.
Ecco perché i vangeli sono l’insieme della storia che Gesù ha provocato e quindi della sua storicità, della interpretazione, della fede della comunità cristiana. Perché la fede è sempre interpretante. Interpreta un evento e così facendo se ne appropria, perché questo è il nostro modo di vivere.
Il Gesù storico ci dice che nella sua storia c’è la possibilità di incontrare Dio e che non millanta credito, perché è stata clinicamente testata.

d.Andrea Lonardo
Voglio semplificare il ragionamento che stiamo seguendo, per chiarirlo ulteriormente. Se voi vedete i passaggi, i tre livelli, che il prof. Dotolo ci ha appena enunciato, quello degli evangelisti, quello delle comunità e quello di Gesù stesso, andando a ritroso, questi tre passaggi storici sono stati elaborati dall’Illuminismo in forma critica, per concludere: se c’è una comunità in mezzo tra Gesù e i vangeli, vuol dire che è tutto falso. Invece la nostra riflessione conserva i tre passaggi per dire esattamente il contrario: nei tre passaggi si perde la certezza di alcuni particolari – ma questo non ci scandalizza più, proprio perché gli evangelisti non sono testimoni diretti, oculari, e, quindi, su alcuni particolari non sono bene informati – ma proprio la concordanza delle comunità che trasmettono i vangeli ci riporta alla certezza storica ed ai dati fondamentali della vita di Cristo Gesù. Quei particolari che appaiono in contrasto fra di loro non li possiamo ricostruire storicamente, ma non ci scandalizziamo per questo, perché anzi il passaggio evangelisti-comunità apostolica-Gesù resta saldo. Non possiamo fare una biografia completa di Gesù, non sappiamo in che giorno e in che ora è successo un fatto singolo della sua vita, ma sappiamo che quell’evento che viene raccontato in comunità diverse realmente trasmette la realtà della vita di Gesù. Come se ognuno di noi facesse una sintesi degli anni passati insieme qui a S.Melania: ci sarebbero delle differenze, ma l’essenza di quello che abbiamo vissuto sarebbe tutta dentro al racconto, dentro ogni racconto. Ed, ancor più, trasparirebbe dalla lettura dell’insieme dei racconti.

prof. Carmelo Dotolo
I vangeli non hanno la preoccupazione di ricostruire i fatti, ma di narrare i fatti che sono diventati significativi. Nella lingua tedesca c’è questa differenza tra la storia fattuale e la storia come fatto significativo. Che Gesù mangiasse è un fatto, ma che Gesù abbia fatto alcune cene particolari è un evento. Per cui il problema non è tanto ricostruire le cene. La cena, nella logica dell’evento, era per Gesù e i suoi molto di più del semplice fatto di mangiare e bere. La ricostruzione fattuale secondo quella maniacalità cronachistica di cui noi vorremmo essere sicuri non è possibile. Mi rendo conto che è un’esigenza psicologica di tutti noi, tutti vorremmo agguantare il più possibile l’oggetto del nostro interesse. La scoperta dell’identità di Gesù non è semplicemente la presa d’atto di un fatto che ti sta di fronte come ti sta di fronte questo orologio. Ma la prospettiva è che Gesù invita ad un cammino tale per cui quei fatti diventano eventi ed eventi che hanno un valore che supera anche la storia. Per cui ogni volta che noi celebreremo un banchetto secondo le categorie che Gesù ci ha suggerito, noi faremo la stessa esperienza, nella diversità della storia, esperienza che ci fa entrare nel mistero, che è Gesù e che siamo noi, che non è risolvibile nella semplice fattualità, ma nel significato che quel fatto lascia emergere.

d.Andrea Lonardo
Facciamo un esempio, per chiarire meglio: il processo di Gesù. Uno potrebbe fare una serie di obiezioni storiche: chi ha sentito le parole del processo, quando Gesù stava dinanzi al sinedrio? E’ evidente che, se anche non sapessimo rispondere precisamente a questa domanda, se anche trascurassimo la testimonianza che alcuni del sinedrio erano favorevoli a Gesù ed hanno potuto poi raccontare l’andamento dell’interrogatorio agli apostoli, tutti, però, sapevano che Gesù è stato condannato perché si faceva simile a Dio. Non c’è dubbio sul motivo storico della condanna. Le letture marxiste dicevano, nei decenni passati, che Gesù è stato condannato perché era un agitatore politico, ma è una baggianata. Pilato sapeva benissimo che per i romani Gesù non costituiva alcun problema. Se anche noi non sappiamo esattamente a livello cronachistico alcuni particolari del processo, sappiamo benissimo che è stato condannato perché si faceva Figlio di Dio. Questo è il senso dell’evento. Uno può dire: è un pazzo. Ma, la cosa fondamentale è che Gesù pensava di essere simile a Dio. Questo è il fatto fondamentale. Non si può storicamente dire che Gesù si comprendesse semplicemente come un maestro di morale. Gli apostoli hanno detto: questo non è un pazzo. Perché lo hanno incontrato vivo, perché altrimenti alla sua morte sarebbe finito tutto.
Noi non possiamo difendere ogni singola parola di fronte ad una domanda cronachistica, non abbiamo una ricostruzione dettagliata, ma certo abbiamo una sintesi e la comprensione del perché Gesù è stato condannato. Alcuni autori vorrebbero far passare la tesi che le comunità cristiane si sarebbero inventate che Gesù era Figlio di Dio, mentre lui non lo avrebbe minimamente pensato. Ma allora perché è stato condannato? Invece Gesù è stato condannato perché bestemmiava, perché si faceva simile a Dio. Uno può criticare Gesù perché diceva cose divine, ma non può storicamente dire che non le abbia mai dette.

Scheda sui principali criteri di storicità dei vangeli, secondo la sintesi di René Latourelle S.J.
N.B. Il testo da cui è tratta questa sintesi è reperibile integralmente nella sezione
Approfondimenti del nostro sito www.santamelania.it .

1. Criterio di attestazione molteplice. Viene enunciato così: «Si può considerare autentico un dato evangelico solidamente attestato in tutte le fonti (o nella maggior parte) dei vangeli»: Marco, fonte di Matteo e di Luca; la Quelle, fonte di Luca e di Matteo; le fonti speciali di Matteo e di Luca ed, eventualmente, di Marco; gli altri scritti del NT, in particolare gli Atti, il vangelo di Giovanni, le lettere di Paolo, di Pietro, di Giovanni, la lettera agli Ebrei. Il criterio ha maggior peso se il fatto è reperibile in forme letterarie diverse, attestate anch’esse in fonti molteplici. Così, il tema della simpatia e della misericordia di Gesù nei confronti dei peccatori, appare in tutte le fonti dei vangeli e nelle forme letterarie più diverse: parabole (Lc 15,11-32), controversie (Mt 21,28-32), racconti di miracoli (Mc 2,1-2), racconto di vocazioni (Mc 2,13-17). Questo criterio è di uso corrente nella storia universale. Una testimonianza concordante, proveniente da fonti diverse e non sospette di essere intenzionalmente collegate tra loro, merita di essere riconosciuta da tutti. Al limite, la critica storica dirà: testis unus, testis nullus. La certezza poggia sulla convergenza e sull’indipendenza delle fonti.
La difficoltà maggiore che lo storico incontra nell’applicazione di questo criterio ai vangeli, riguarda naturalmente1’indipendenza delle fonti.

2. Il criterio di discontinuità. Il consenso su questo criterio è praticamente unanime. Viene formulato cosi: «Si può considerare autentico un dato evangelico (soprattutto quando si tratta delle parole e degli atteggiamenti di Gesù) irriducibile sia ai concetti del giudaismo sia ai concetti della chiesa primitiva».
Così, l’espressione Abba, usata da Gesù per rivolgersi a Dio, dimostra un’intimità di rapporto che è qualcosa di inaudito rispetto al giudaismo antico. Solo Gesù ha il potere di rivolgersi a Dio come ad un padre, e soltanto lui può autorizzare i suoi a ripetere con lui: «Padre nostro». Di fronte alla legge, Gesù non ha l’atteggiamento dei farisei ostinati sui dettagli dell’osservanza esteriore; la sua attenzione verte immediatamente sullo spirito della legge. Il suo atteggiamento, per esempio, nei confronti del sabato e delle purificazioni legali, rappresenta un caso di rottura con il mondo rabbinico. Allo stesso modo, la sua visione del Regno differisce radicalmente da quella dell’ebreo medio. Quest’immagine unisce la grandezza del regno davidico all’umiltà della predicazione ai poveri, e la glorificazione finale del figlio dell’uomo alla sofferenza redentrice del Servo di Jhwh.
Vediamo alcuni casi di discontinuità con i concetti della chiesa primitiva:
- Il battesimo di Gesù lo annovera tra i peccatori: la chiesa primitiva, che proclama Gesù «Signore», come ha potuto inventare una scena in contrasto così violento con la sua fede? Lo stesso va detto della triplice tentazione, dell’agonia, della morte in croce.
- L’ordine dato agli apostoli di non predicare ai Samaritani ed ai Gentili non corrisponde più alla situazione di una chiesa che si apre a tutte le nazioni.
- Tutti i passi del vangelo in cui, malgrado la venerazione della chiesa primitiva per gli apostoli, si sottolinea la loro incomprensione, i loro difetti e perfino la loro defezione (tradimento di Giuda, rinnegamento di Pietro), contrastano con la situazione postpasquale.

3. Il criterio di conformità. «Si può considerare come autentico un detto o un gesto di Gesù che è non solo in stretta conformità con l’epoca e l’ambiente di Gesù (ambiente linguistico, geografico, sociale, politico, religioso), ma anche e soprattutto intimamente coerente con l’insegnamento essenziale, il centro del messaggio di Gesù, cioè la venuta e l’instaurazione del regno messianico». A questo riguardo, sono esempi tipici: le parabole, tutte centrate sul regno e sulle condizioni del suo sviluppo; le beatitudini, originariamente proclamazione della buona notizia della venuta del regno messianico; il Padre Nostro, primitivamente ed essenzialmente preghiera per l’instaurazione del regno; i miracoli, intimamente legati al tema del regno di Dio e al tema della conversione; la triplice tentazione, conforme al contesto della vita di Gesù e al suo concetto del regno: richiesta insistente di un prodigio, da parte degli ebrei, e rifiuto costante di Gesù; attesa di un messia politico e temporale, da parte degli ebrei, e predicazione di un regno interiore, da parte di Gesù; contrapposizione del regno di Dio e del regno di Satana.
I due criteri di discontinuità e di conformità si distinguono e si completano al tempo stesso. E la conformità con l’ambiente che consente di situare Gesù nella storia e di concludere che egli è veramente del suo tempo, mentre il criterio di discontinuità rivela Gesù come un fenomeno unico ed originale. Egli si distacca dal suo tempo e al tempo stesso vi si ricollega.

4. Il criterio di spiegazione necessaria. Ne proponiamo la formula seguente: «Se, di fronte ad un insieme notevole di fatti o di dati, che esigono una spiegazione coerente e sufficiente, si offre una spiegazione che chiarisce e raggruppa armoniosamente tutti questi elementi (che, altrimenti, resterebbero degli enigmi), possiamo concludere di essere in presenza di un dato autentico (fatto, gesto, atteggiamento, parola di Gesù)». Questo criterio mette in moto un insieme di osservazioni che agiscono per via di convergenza e la cui totalità esige una soluzione intelligibile, cioè la realtà di un fatto iniziale. Questo criterio viene usato abitualmente in storia, in materia di diritto e nella maggior parte delle scienze umane. Nel caso dei vangeli, ha ragione la critica di ritenere come autentica una spiegazione che risolve un grande numero di problemi senza farne nascere di più grandi, o senza farne nascere nessuno.
Così, molti fatti della vita di Gesù (per esempio, il suo atteggiamento nei confronti delle prescrizioni legali, delle autorità ebraiche, delle Scritture; le prerogative che egli si attribuisce; il linguaggio che usa; il prestigio che possiede e il fascino che esercita sui discepoli e sul popolo) hanno un senso solo se noi ammettiamo all’origine l’esistenza di una personalità unica e trascendente. Una tale spiegazione è più consistente di quella del ricorso ad una chiesa creatrice del mito Gesù. Nel caso dei miracoli, ci troviamo di fronte a una decina di fatti importanti che la critica più severa non può ricusare, e che richiedono una spiegazione sufficiente: l’esaltazione di fronte all’apparizione di Gesù, la fede degli apostoli nella sua messianicità, il posto dei miracoli nella tradizione sinottica e giovannea, l’odio dei sommi sacerdoti e dei farisei a causa dei prodigi operati da Gesù, il legame costante tra i miracoli e il messaggio di Gesù sulla venuta decisiva del regno, il posto dei miracoli nel kêrygma primitivo, il rapporto intimo tra le pretese di Gesù come figlio del Padre e i miracoli come segno della sua potenza.
Tutti questi fatti esigono una spiegazione, una ragione sufficiente.

5. Un criterio secondo o derivato: lo stile di Gesù. Per stile non intendiamo qui tanto lo stile letterario ma lo stile vitale, personale di Gesù. Lo stile è il modo di pensare che modella il linguaggio; è lo slancio, il movimento dell’essere che si inscrive non solo nel linguaggio, ma negli atteggiamenti e nel comportamento globale. E’ quell’impronta inimitabile della persona su tutto ciò che essa fa e dice. Le componenti di questo stile, tuttavia, potrebbero essere stabilite solo a partire dai criteri fondamentali di attestazione molteplice, di discontinuità, di conformità e di spiegazione necessaria. Per questo parliamo di stile secondo o derivato. Una volta riconosciuto e definito, lo stile diventa a sua volta criterio di autenticità.
A proposito del linguaggio di Gesù, Schürmann fa notare che esso è caratterizzato da una coscienza di sé di una maestà singolare, senza confronto; da una nota di solennità, di elevazione, di sacralità; da un accento al tempo stesso di autorità, di semplicità, di bontà, di urgenza escatologica. Gesù inaugura nella sua persona un’era nuova.
Nel suo comportamento, osserva Trilling, si può notare «un amore sempre uguale per i peccatori, pietà per tutti quelli che soffrono o sono oppressi, una durezza impietosa verso ogni forma di sufficienza, una santa collera contro la menzogna e l’ipocrisia. E soprattutto un riferimento radicale a Dio, Signore e Padre».


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